Nel cuore segreto della Tuscia, dove la terra custodisce intatto il respiro divino, l’acqua sgorga calda, viva, sacra. Qui l’acqua non è semplice fonte: è voce degli abissi, carezza infuocata del sottosuolo, messaggio eterno degli dèi che in questi luoghi, più che altrove, hanno lasciato la loro impronta. Qui, dove il paesaggio è forgiato tra rocce di tufo, boschi sacri e silenzi sospesi, l’acqua termale emerge come un miracolo primordiale: fluida incarnazione del divino, ponte tra cielo e terra.
Secondo gli antichi, non era solo natura. Era Mefitis, dea dei vapori sacri, che esalava dal ventre della terra per purificare e guarire. Era Nethuns, l’eterno signore delle acque profonde, che modellava con il suo tocco fiumi curativi e sorgenti fumanti. E sotto la crosta ardente, Sethlans, dio del fuoco e della fucina, vegliava sull’unione potente degli elementi: acqua e fuoco, insieme, in un abbraccio alchemico che cura il corpo e risveglia l’anima.
Si racconta che quando gli dèi erano in collera, la terra si spaccasse e da quelle ferite scaturivano acque bollenti in grado di spegnere la rabbia del cielo e lenire il dolore umano. Questi luoghi divennero sacri: gli Etruschi vi gettavano offerte, chiedendo guarigione, mentre i Romani vi costruivano terme come templi, dove l’acqua parlava e il vapore saliva come una preghiera.
Qui, nella Tuscia eterna, ogni sorgente termale è un altare liquido. Immergersi nelle sue acque non è solo abbandonarsi al piacere: è risveglio dell’anima, un ritorno all’origine, là dove gli dèi camminavano accanto agli uomini e l’acqua non dissetava soltanto, ma trasformava. Ancora oggi, chi si lascia avvolgere da questo calore intenso, sente qualcosa vibrare: un sussurro antico, una benedizione. Un segreto ancestrale.
Nella Tuscia, terra di confine e di mistero, l’acqua è molto più che una risorsa naturale: è simbolo, rito, cura, spirito. È l’eco viva di civiltà scomparse, il respiro caldo della terra, la voce di un passato che ancora oggi scorre, accoglie, trasforma. In questo angolo d’Italia sospeso tra la memoria e il mito, l’acqua affiora ovunque: dalle sorgenti fumanti del Bagnaccio e del Bullicame fino a quelle meno conosciute, ai laghi vulcanici di Bolsena, Bracciano e Vico, fino ai ruscelli che lambiscono le antiche necropoli etrusche. Tutto parla di lei: l’acqua. Tutto sembra nato per celebrarne il suo potere.
È in questo teatro naturale intessuto di sacralità che si trovano le Piscine Carletti di Viterbo, vasche termali all’aria aperta dove il vapore si mescola al silenzio e il corpo riscopre l’ascolto. Non sono semplici piscine: sono un passaggio, un’esperienza quasi iniziatica, un ritorno alle origini. Qui l’acqua sgorga da sorgenti ipertermali a quasi 60°C, portando con sé un’energia antica, ricca di sali e minerali, che da secoli viene utilizzata per lenire, guarire, rigenerare. Il paesaggio che le circonda è essenziale, quasi ascetico: un prato, qualche albero, la danza lenta del vapore che sale lento. Ma è proprio questa semplicità a renderle così potenti.
Le radici di questi luoghi affondano nella notte dei tempi. Molto prima dei Romani, furono gli Etruschi, popolo enigmatico e profondamente legato ai culti naturali, a comprendere il valore sacrale delle acque termali. Per loro, ogni sorgente era una porta tra mondi, un tramite con le divinità infernali e celesti. Nei loro centri abitati, costruiti vicino a fiumi e fonti, l’acqua era protagonista di riti di passaggio, purificazione e rinascita. È questo stesso spirito che ancora si percepisce camminando nella mistica Tuscia.
Con l’arrivo dei Romani, Viterbo – l’antica Surina Nova – divenne un crocevia del termalismo imperiale. La Via Cassia, che tagliava in due la Tuscia, univa Roma alle stazioni termali del nord e portava qui viaggiatori, pellegrini e soldati in cerca di ristoro.
Dolori articolari, ferite non completamente guarite, affaticamento muscolare e tensione psicologica erano condizioni comuni. Le acque termali di Viterbo, ricche di zolfo e minerali, offrivano una risposta naturale ed efficace a questi mali. Immergersi in queste acque calde significava alleviare il dolore, favorire la cicatrizzazione delle ferite, migliorare la circolazione sanguigna e rilassare i muscoli contratti dalla fatica.
Non meno importante era l’aspetto psicologico: le terme costituivano un luogo di pace, dove soldati e pellegrini potevano ritrovare un senso di normalità, recuperare le energie e riconnettersi con sé stessi e con la comunità. Le vasche fumanti delle terme viterbesi erano, e sono, veri e propri centri di guarigione e rigenerazione.
Il quieto benessere di Surina Nova venne poi drammaticamente sconvolto dalle orde barbariche che transitavano lungo la consolare. Terme e abitato furono devastati, ma alcuni si rifugiarono, soprattutto durante il periodo longobardo, nella vecchia città, la Vetus Urbs da cui, per alterazione, si ebbe Veturbo, oggi Viterbo.
La più probabile origine di Suri-Soranus risale ad un primordiale culto del sole. Al Dio Sorano, adorato sul monte sacro di Soratte, era dedicata pure l'antica Surina, che coinciderebbe con l'odierna Viterbo, ma pure Soriano nel Cimino e Sorano in Toscana, tutti centri dedicati a Suri, il Dio del Sole.
In questo scenario di acqua e di fuoco, il Bullicame, poco distante dalle vasche termali Carletti, fu una delle sorgenti più celebri e potenti, tanto da essere citata anche da Dante nel suo Inferno. Le Carletti, pur non menzionate direttamente nei testi antichi, fanno parte dello stesso sistema idrotermale: lo stesso respiro profondo della terra, la stessa forza rigenerante.
Oggi, proprio come allora, le acque sulfuree termali – bicarbonato-alcaline-terrose – continuano a donare i loro benefici: alleviano dolori articolari e muscolari, curano la pelle, rilassano la mente. Ma chi le frequenta regolarmente sa che il vero dono va oltre la fisiologia: è una sensazione di radicamento, di connessione, di benessere che nasce dall’unione con gli elementi. È la sensazione di appartenere ad un luogo sacro che non ha bisogno di parole, solo di ascolto.
Qui, in questa terra straordinaria, l’acqua si fonde con gli altri elementi in una danza antica quanto il mondo. È l’incontro con il fuoco sotterraneo che la scalda e la spinge in superficie, è il contatto con la terra viva che la filtra e la nutre, è il dialogo continuo con l’aria, che ne solleva il respiro sotto forma di vapore. In questo equilibrio perfetto, ogni bagno diventa un rito: il corpo si immerge nell’acqua, sente la presenza del fuoco che pulsa nel sottosuolo, della terra che lo accoglie e del vento che lo accarezza. È un’esperienza sensoriale e spirituale, che risveglia memorie antiche, quando l’uomo non si sentiva separato dalla natura ma era parte di essa, immerso in un mondo fatto di forze invisibili ma reali.
E questo luogo è solo uno dei tantissimi straordinari ‘santuari dell’acqua’ che punteggiano la Tuscia. I resti di quattordici stabilimenti romani costruiti tutti nei paraggi dell'antico tracciato della Cassia attestano ancora oggi che valeva la pena mettersi in viaggio per raggiungere le terre della Tuscia e immergersi nelle sue acque straordinarie.
Oltre al Bulicame, le Carletti e le terme del Bagnaccio si possono menzionare sorgenti termali minori, interrate o non accessibili, quali le Masse, le Zitelle, le Terme del Bacucco e fonti minori ipertermali come il Troscione, S. Albino, Gigliola, Uliveto, S. Valentino, S. Giorgio, Crociata, della Grotta, Piazza d’Arme, Asinello, S. Cristoforo.
Oltre queste c’è la sorgente dell’Acquarossa, situata lungo la Strada Teverina vicino ai pozzi romani, si tratta di una falda ‘ipotermale’, cioè un’acqua termale fredda (22°-24°), dal caratteristico colore rossiccio e dal sapore metallico e frizzante per la presenza di forti quantitativi di acido carbonico.
Tra i ‘santuari dell’acqua’ della Tuscia, una menzione speciale va indubbiamente al lago di Bolsena, che si apre come uno specchio incantato, imponente e profondo. Non è un semplice lago vulcanico, bensì una caldera, la più grande d’Europa nel suo genere: è una porta d’acqua verso il mistero, un varco tra i mondi.
Le sue acque smeraldo custodiscono leggende dimenticate e sussurri di civiltà misteriose. Secondo alcune tradizioni esoteriche, il lago sarebbe una delle possibili entrate terrestri al regno di Agharti, la mitica città sotterranea dove risiedono i Maestri di Saggezza, custodi della conoscenza eterna. E così, l’acqua, qui, non è solo vita: è soglia, è messaggera del profondo, è memoria liquida di un tempo che non ha tempo. Bolsena diventa quindi non solo luogo sacro, ma ponte fra il visibile e l’invisibile, dove il sacro femminile, l’elemento acquatico e la forza tellurica maschile si intrecciano in un’unica, magnetica presenza.
La Via Francigena, che per secoli ha visto passare pellegrini in cammino verso Roma, attraversa questi paesaggi magici. Ancora oggi, molti viaggiatori scelgono di fermarsi qui per rigenerarsi, proprio come facevano i viandanti di ogni tempo, attratti dal potere delle acque e dalla quiete dei luoghi incontaminati. È una tradizione che continua, ininterrotta, attraverso i secoli, queste acque speciali continuando ad offrire calore e benessere anche quando fuori il vento sferza e la terra si fa gelata. Restano lì, fedeli a se stesse e agli uomini, come una promessa mantenuta.
C’è qualcosa di profondamente mistico in queste fonti: chi viene qui per la prima volta ne resta incantato. Chi torna, lo fa come si torna ad una sorgente interiore.
In un’epoca dominata dal rumore, dalla fretta e dai comfort artificiali, le acque termali della Tuscia rappresentano una presenza arcaica e potente. Un ritorno all’essenza. Un invito ad immergersi – fisicamente e spiritualmente – in qualcosa di più grande, di più vero, di più antico. Qui, nel cuore della terra, l’acqua non è solo cura del corpo. È un atto di comunione con l’anima del mondo.














