Qualche tempo fa uscì un bell’articolo sul quotidiano italiano La Repubblica a firma di Enrico Franceschini in cui l’autore esponeva una tesi molto interessante e decisamente attuale: con che lente di lettura capire meglio un personaggio così discusso come quello di Vladimir Putin se non con quella tanto decisiva per la storia della cultura russa di Fëdor Dostoevskij?

Nell’articolo il punto di partenza del ragionamento viene offerto niente di meno che da Henry Kissinger, vecchio lupo di mare della geopolitica mondiale, già consigliere per la sicurezza nazionale e Segretario degli Usa per le presidenze di Nixon e Ford, vincitore del Nobel per la Pace nel 1973.

L’affermazione di Kissinger a proposito della “quasi mistica tolleranza russa alla sofferenza”, rilasciata in una intervista sul Financial Time ad Edward Luce, capo della redazione americana del prestigioso quotidiano americano, era la seguente: "L'Occidente non ha capito quanto fosse profondo il desiderio della Russia post-sovietica di sentirsi rispettata e che l'atteggiamento della Nato veniva letto da Mosca come una "sfida alla propria identità". Alla richiesta di chiarimenti riguardo a tale affermazione che presupponeva una normale e prevedibile reazione autoritaria di Putin, Kissinger rispose: "Non penso che Putin sia un personaggio come Hitler. Putin viene fuori da Dostoevskij".

Personalmente ho trovato tale dichiarazione di Kissinger molto interessante, sicuramente più delle tante frasi precostituite in circolazione sull’argomento. In generale ogni volta che vedo citato Dostoevskij trovo che si stia parlando di qualcosa che va oltre la normalità, sempre che questa esista veramente. Dostoevskij, infatti, ha scavato come pochi nella complessità spirito umano, così come, con una visione del tutto lucida, ha tracciato, tra le sue dichiarazioni e i suoi romanzi, un ritratto dell’anima russa che ancora oggi risulta unica, profonda, inequivocabile, senza retorica e ipocrisia. Già questo basterebbe, a mio parere, a considerare Fëdor Dostoevskij un gigante assoluto della storia dell’evoluzione culturale umana. Se aggiungiamo il suo essere un gigante tra i giganti della sua epoca dal punto di vista letterario, psicologico, filosofico e antropologico, ecco che il mio considerarlo il più completo romanziere d’ogni tempo è, lo ammetto un atto d’amore completo e sconfinato.

Ma torniamo all’articolo in questione.

Dopo questa citazione per niente scontata, Franceschini continua dicendo che " …per capire cosa intenda bisogna avere letto Delitto e castigo, L'idiota e I fratelli Karamazov. Se vogliamo azzardare un'interpretazione, significa che Putin, secondo Kissinger, non rappresenta il male assoluto (Hitler), bensì un insieme e un potenziale di male e di bene (come Raskolnikov, figura simbolica dell'opera del grande scrittore russo). Quale dei due aspetti prevalga, dipende anche da noi."

La storia ci ha abituati a ritenere che un leader politico, qualunque leader politico, sia capace di pensare e compiere qualunque atto, potenzialmente tutto ciò che è possibile portare a termine, al di là del bene e male, (usando una locuzione tanto cara a Dostoevskij); in quanto tale il capo politico dotato di forza, carisma, consenso popolare e determinazione, sa essere anche pericoloso, addirittura al punto di sfiorare o sfociare nell’antitesi stessa della democrazia. Spesso infatti, come sappiamo, il passo dalla democrazia alla dittatura, è breve e repentino.

Il popolo, di questa visione fagocitante e illiberale, si ciba tuttora e se ne è sempre cibato. Di libertà ne ha già poca, almeno che gli sia data sicurezza! Questo banalissimo processo psicologico ha permesso che nella storia tante conquiste del potere, anche violento, soprattutto antidemocratico, fossero avvallate se non appoggiate dai ceti sociali meno abbienti e meno socialmente liberi.

La paura del cosiddetto “uomo forte” del resto della società, del resto, ha però portato al potere tanti personaggi mediocri, tecnocratici, burocratici, che di fatto ci hanno accompagnati nel limbo maledetto della "non azione", della "non decisione". L’esempio è presto fatto, basti pensare a quello che sta succedendo alla ahimè disgraziata Unione Europea, una grande nazione mai veramente nata (ideali iniziali a parte), senza un vero leader, senza un esercito comune, senza leggi davvero condivise, senza una fiscalità comune, senza soprattutto valori che la rendessero unita e modello da imitare.

Ci si sorprende che l’Europa sia ormai vacillante, in preda ad autoritarismi celati, sovranismi, populismi e stati in fuga come la Gran Bretagna. Da che mondo è mondo però, una nazione senza i presupposti che ho citato non ha la minima possibilità di diventare veramente tale, di diventare autorevole e di essere, banalmente, amata. L'implosione dell'Europa era già insita fin dall'inizio ed ora, incapaci di prevedere perchè incapaci di ricordare, siamo come basiti e impotenti di fronte al suo sgretolamento continuo. . Ad oriente dell’Europa troviamo la Russia. Una Russia che dopo gli incredibili e repentini sconvolgimenti vissuti dall’Unione Sovietica, dopo il crollo improvviso del muro di Berlino, dopo Chernobyl, ha trovato in Vladimir Putin il cosiddetto uomo forte, un ex Kgb che di fatto ha eliminato ogni concorrenza interna, impedito lo sgretolamento completo della nazione, rilanciato la più o meno celata guerra fredda al capitalismo occidentale, ricominciato a far sventolare il vessillo tricolore russo decorandolo di nazionalismo. In poche parole e per essere sintetici, ha abbassato il livello di libertà del popolo, ha permesso quella (limitata e controllata) degli alleati plutocratici, aumentando la sensazione di sicurezza della nazione.

Un Putin decisionista, onnipresente, interventista, vendicativo: un personaggio del tutto lontano dai parametri europei fin qui conosciuti, almeno dai tempi della fondazione dell’Europa moderna post fascista e nazista e per questo, per molti, un Putin terribilmente minaccioso.

A questo punto, per ricollegarmi all’articolo iniziale de La Repubblica, provo a dare una mia chiave di lettura sul personaggio, al di là di giudizi moralmente sbilanciati, pur se legittimi. Provo a mettermi nell’ottica letteraria, filosofica e antropologica. L’analisi dell’aspetto culturale della società è la mia vita, non voglio esimermi dal compito, sovrastato da antipatie e da discordanze etiche. L’oggettività dell’opinione forse è impossibile ma resta pur sempre l’ago della bussola che sempre dovremmo perseguire.

A parer mio Franceschini compie una giusta azione nel provare a comprendere il personaggio Putin partendo dal mondo letterario e filosofico di Dostoevskij: senza lo spirito dello scrittore immenso che è egli stato, della Russia (e dell’Europa, sottolineo: dell’Europa) non possiamo capirne che poco, molto poco. Credo però che l’oggetto del confronto tra Putin e il personaggio modello di Dostoevskij che meglio lo rappresenti, non sia il protagonista di Delitto e castigo e cioè Raskolnikov. Franceschini lo fa ma non sono d’accordo.

Lascio ai tanti lettori di Delitto e castigo farsene un’opinione personale. Io confronterei piuttosto Putin a Stavrogin. Da Delitto e castigo passerei al parallelismo con il protagonista de I demoni. Non è cosa da poco, non è un’operazione puramente di vezzo letterario, tutt’altro. Eppure, tra i grandissimi capolavori di Dostoevskij enumerati nell’articolo da Franceschini, l’unico non citato è proprio I demoni. Chi ha avuto il piacere di immergersi ne I demoni, oltreché in Delitto e castigo, credo che comprenderà il senso delle mie parole.

Raskolnikov è un giovane che è appena stato stravolto dalla filosofia del nihilismo ma non ne è ancora padrone. È colto da mille titubanze, dubbi, esitazioni, prima del delitto e ancor più dopo. Stavrogin invece, che in qualche modo rappresenta l’evoluzione del nihilismo dell’anima dostoevskiana matura, ha raggiunto ormai il compromesso perfetto tra la sua biografia ed il mondo delle idee immobili ed eterne. Raskolnikov si pone il problema, Stavrogin l’ha già a suo modo risolto. Raskolnikov è a cavallo del limite, Stavrogin è già al di là del limite, al di là appunto del bene e del male.

Anche l’aspetto fisico di Stavrogin ci parla di tutto questo. Il suo aspetto, il suo volto in particolare, sembra quasi ricordare quello di una maschera di cera: immutabile, freddo e irrefrenabilmente attraente per ogni donna che lo conosca personalmente. È carismatico, algido, come se fosse privo di qualsiasi sentimento positivo o negativo, come se non fosse interessato a emergere o sopraffare o dimostrare qualcosa. Semplicemente è del tutto privo di dubbi interiori, nella convinzione assoluta e indiscutibile che sarà lui a cambiare per sempre la storia. Il parallelismo con Putin è indiscutibile, da ogni punto di vista.

Certo, sempre di Fëdor Dostoevskij alla fin fine si parla ma del Dostoevskij più maturo, decisamente più complesso e profondo (chi lo ama la differenza la trova eccome), il grande pensatore per cui il male non è mai pienamente male e il bene non è mai pienamente bene, almeno come manifestazione nell’arco della nostra grottesca vita quotidiana. Il nichilismo di Nietszchiana memoria è in fondo stata la grande profezia dei nostri tempi da parte del nostro Dostoveskij: nessuno come lui ha saputo raccontare e descrivere la vera anima russa e tutte le sue parossistiche contraddizioni. Nessuno come lui, probabilmente, è riuscito a mostrarci in generale le luci e le tenebre dell’animo umano, di cui questi tempi non ne sono altro che il frutto maturo e di cui Putin ne è il simbolo indiscutibile.