Paolo e Francesca, Ciacco, Ugolino, Farinata. Sono nomi che qualsiasi lettore della Divina Commedia conosce. Ma se non ci fosse stato Dante, cosa sapremmo di tutti questi personaggi?

Poco, forse niente. Anche perché Dante pesca a piene mani dalla cronaca spicciola, “di paese” diremmo oggi.

Il poema dantesco non è il primo che si occupa di immaginari viaggi nell’Oltretomba. Questo topos letterario è presente sin dall’antichità più remota, risalendo addirittura al sumerico poema di Gilgamesh. Ma è nelle persone incontrate durante questo cammino che Dante si distingue da tutti gli altri “turisti dell’aldilà”.

Solitamente i viaggiatori dell’Oltretomba incontrano le anime di personaggi famosi: santi, personaggi della Bibbia, eroi mitologici, re e principi. Anche Dante vede questi personaggi: ma essi quasi mai diventano i protagonisti del canto, mentre invece Dante interagisce e immortala uomini e donne del suo presente.

Il caso più emblematico si ritrova nel canto quinto dell’Inferno, il girone dei lussuriosi. Virgilio mostra a Dante varie anime che si sono macchiate del peccato dell’adulterio e le nomina: abbiamo Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena di Troia, Paride, Tristano. Regine antiche, eroi omerici, cavalieri della Tavola Rotonda. Eppure, Dante sceglie come protagoniste del canto le anime di Francesca Polenta da Rimini e del suo amante Paolo Malatesta. Sono i protagonisti di un fattaccio di cronaca nera locale: due nobilotti uccisi dal geloso marito di lei, Gianciotto Malatesta, che li aveva sorpresi in adulterio. Certo, erano due nobilotti locali, ma di loro quasi certamente non sarebbe rimasta alcuna traccia nei libri di storia se Dante non avesse deciso di raccontare la loro vicenda e non di ripetere storie già conosciute da tutti.

Vi sono anche altri casi, ancora più emblematici. Il protagonista del canto sesto dell’Inferno è un certo “Ciacco”. Non sappiamo altro di questo personaggio, nemmeno il nome: “Ciacco” è un soprannome che significa “maiale” e lui stesso dice che i fiorentini così lo chiamarono a causa del vizio della gola. Uno dei classici soprannomi che ancora oggi vengono dati nei piccoli paesi a personaggi noti a tutti. Lo stesso per un altro dannato, del quale sappiamo un po’ di più, ovvero Filippo Argenti, così soprannominato perché ferrava con ferri d’argento il suo cavallo.

Farinata e Ugolino sono due personaggi già più importanti, avendo partecipato alle lotte politiche del loro tempo, ma anche di questi sarebbe rimasta forse una noterella a piè di pagina tra le innumerevoli comparse sul palcoscenico della storia.

E non solo all’inferno abbiamo questa predilezione per i personaggi che la storia a relegato sullo sfondo: ricordiamo nel Purgatorio Pia de’ Tolomei, che dice semplicemente “ricorditi di me che son la Pia” oppure Oderisi da Gubbio, un oscuro seppur bravo miniaturista scelto a simbolo della caducità della fama: pur nominandolo, Dante non prende come esempio il ben più famoso Cimabue, il maestro di Giotto. Parla di un miniaturista minore.

Il limbo sembra il luogo dove si incontrano più anime “famose” come Omero, Cesare, Aristotele, Ettore ma queste restano poco più che nomi di un elenco. Anche altre anime come quelle di Caifa, Giuda, Maometto, Cassio e Bruto sono tratteggiate in maniera veloce, Nel Paradiso diversi santi intervengono, ma non ci restano impressi come Cacciaguida, l’avo di Dante, o Piccarda Donati.

Unica eccezione è Ulisse. È l’unico personaggio davvero famoso che diventa protagonista di un canto e che Dante tratteggia in maniera approfondita. Ma forse perché questo gli dà l’opportunità di inventarsi un mito: la vicenda dell’Ulisse dantesco è completamente diversa da quella dell’Odisseo omerico: in Dante l’eroe non torna ad Itaca ma, dopo il soggiorno da Circe, si avventura oltre le colonne d’Ercole. Di solito si giustifica il canto dicendo che Dante ignorava il greco. La questione è molto probabilmente più profonda, perché comunque Dante era al corrente del mito di Ulisse grazie alle opere latine. L’Alighieri alludeva al viaggio oltre lo stretto di Gibilterra tentato dai genovesi fratelli Vivaldi, poi scomparsi nel nulla. Anche in questo caso, pur mascherata dal mito, vi è un’allusione ai fatti contemporanei.