Da Shanghai a Parigi, dall’Australia a Brooklyn, da ogni angolo del mondo, il nudo diventa arte con gli scatti di Spencer Tunick. Corpi svestiti come parte di una grande opera globale che astrae l’individuo per diventare qualcosa di più, che ammalia e sorprende.

Cominciando la sua carriera nel 1991, a New York, “il fotografo dei nudi”, definisce i suoi lavori “sculture vive” o “paesaggi fisici”, una semplice manifestazione sociale, di sensibilizzazione a sostegno della libertà di espressione artistica. Attraverso le immagini di nudo, il fotografo statunitense classe ‘67, racconta il paesaggio, livellando la bellezza dei corpi senza veli, rendendo uguale uno agli altri.

Milioni e milioni sono le persone che inviano la propria candidatura per partecipare ai suoi progetti, che accorrono da tutto il mondo, gente comune, attivisti, per far parte di una delle realizzazioni. Tutte figure di volontari che prestano i loro corpi come elegante addobbo pittorico di una più grande rappresentazione, che unisce umano e urbano.

Simili a sculture, i suoi lavori, rappresentano la condivisione di un’esperienza emotiva di liberazione, una forma di vulnerabilità sostenuta da una forza imperturbabile senza nessuna volgarità o ostentazione.

Gli ambienti fotografici di Tunick manifestano un senso di unione, di emancipazione, di indipendenza estetica da qualsiasi forma di oppressione sessuale o intellettuale. Il modo di osservare e considerare i corpi di Spencer Tunick è talvolta in contraddizione con alcune visioni di nudità, per questo motivo l’autore decide di sfidare questa percezione invitando gli uomini a osservare le sue opere da un punto di vista estetico razionale e critico come attraverso la veduta di un obiettivo.

L’artista offre, inoltre, spunti di meditazione su singolo e moltitudine, su individualità e massa, e introduce pensieri sull’idea del corpo massificato. Infatti per lo più nelle sue istallazioni, compaiono gruppi numerosi di individui, maschili e femminili, che si misurano con spazi pubblici, piazze e monumenti, contesti naturali incontaminati, architettonici, luoghi simbolo di città internazionali, attenendosi rigorosamente alle istruzioni dell’artista. Solo in pochi casi ha ritratto nudi individuali o in piccoli gruppi, inserite comunque in situazioni insolite con la plasticità di attori in un set cinematografico.

I suoi scatti, riproducono anche gigantografie tra le più rinomate: da Monaco di Baviera a Mexico City, da Hull a Vienna, stampate su 14 teli di grande formato, con uno sviluppo pari a 3 metri per lato.

Piuttosto nutrito si presenta il percorso artistico di Tunick: dai primi ritratti individuali di American Zone, attraverso Nude adrift ed i suoi Early European Projects sino alle prime riprese sulle masse, Reaction Zone, alla grande antropologia collettiva umana e allei mega-azioni di Mexico City.

Controverso e perseguitato sotto il profilo giudiziario, Spencer Tunick, ha avviato la sua attività espressiva con spiazzanti irruzioni di modelle nude nell’ambito dei centri più rigidamente incravattati di New York, nei templi d’acciaio e vetro del post calvinismo laicizzato, creando scandalo e subendo pesanti azioni legali da un’America che ama ancora coltivare, pubblicamente, un’anima puritana.

Così il fotoreporter americano, ha lasciato il proprio Paese per l’Europa o per l’Australia, luoghi meno sessuofobi, nei quali ha potuto realizzare performance di massa, grazie all’apporto volontario delle modelle e dei modelli, presi dalla strada. Il suo primo progetto, Naked, nasce negli Stati Uniti e ha fatto tappa a Londra, Lione, Melbourne, Montréal, Caracas, Santiago, San Paolo, Buenos Aires, Sydney, Newcastle, Roma e Vienna con interventi sempre diversi.

Nel giugno del 2003 sono state 7000 le persone che hanno posato per Spencer Tunick a Barcellona. Quattro anni dopo sono stati 18 mila i volontari nella piazza principale di Città del Messico.

Il periodo di pandemia ha cambiato le abitudini e i programmi degli artisti, che hanno dovuto adattare e reinventare il proprio modo di lavorare. C’è chi ha modificato anche l’ambiente professionale. Come è avvenuto per il fotografo statunitense, Spencer Tunick, nel suo ultimo progetto, Stay Apart Together. Qui l’autore sceglie, come set per le foto la propria casa, dove i partecipanti, volontari nudi di diversi Paesi, vengono fotografati, con il viso coperto con mascherine o sciarpe, tramite screenshot dal computer di Tunick, app di videoconferenze e fruibile sul profilo Instagram. Migliaia di foto di persone ma on line.