Il cielo si scuote
il sole e la luna si oscurano
le stelle cessano di brillare.

(Gioele 2,10)

Noi siamo già nell’ultima ora.

(Catechismo della Chiesa Cattolica, n° 670)

Una profezia biblica avverata quasi in tempo reale, una profezia contenuta dentro la visione profetica dell’Apocalisse e una serie di profezie moderne molto precise. Cosa unisce queste tre polarità? Proprio la visione e l’annuncio di una tenebra straordinaria che all’improvviso giunge e punisce e purifica l’intera terra, l’intera umanità in una fase decisiva della storia della salvezza.

Come primo accadimento profetico abbiamo la nona “piaga” d’Egitto, annunciata da Mosè e realizzata da Dio per liberare Israele dall’oppressione del Faraone. Una piaga che consiste in tenebre fittissime, soprannaturali, tali che nessuno può in esse più muoversi né possono essere vinte da alcuna forma di illuminazione. Tenebre che risparmiano gli israeliti. Quasi un contrappasso fisico, ma di una fisica non terrena, contro la cecità spirituale dei potenti e della maggioranza della popolazione. Le piaghe d’Egitto, come tutte le principali vicende della storia di Israele, in relazione alla storia del Cristianesimo assumono un ruolo emblematico, paradigmatico che già San Paolo sottolineò affermando che “i nostri padri furono tutti sotto la nube, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in Mosè nella nube e nel mare…” (1Cor.10,1.2).

L’apostolo usa il termine greco typoi per presentare le principali vicende dell’antico Israele quali modelli viventi, immagini tipologiche che attraversano i millenni restando sempre co-temporali a ciascuna epoca. Vicende sia storiche che eterne in quanto “gesta Dei per homines”. La stessa recente dottrina cattolica, come emerge dal Catechismo della Chiesa cattolica di Giovanni Paolo II, riprende questo pensiero, già prima israelitico nel concetto di “memoriale” di Pesach, nel considerare come la vita della Chiesa, nuovo Israele, rinnovi e ricapitoli la vita di Cristo, dentro la quale si svolge nel tempo.

Il tempo storico della salvezza cristiana quindi si rivela un tempo di “evoluzione cristofanica” continua, come la stessa vita terrena di Cristo fu un rivivere e un rinnovare Israele. Non sale Cristo dall’Egitto per tornare a Nazaret come Israele nell’Esodo? Non torna Cristo nel deserto dopo il suo battesimo? Non è Cristo scacciato da Gerusalemme come il capro espiatorio?

Il tema di un castigo divino tramite un periodo di tenebra soprannaturale torna nell’Apocalisse di Giovanni. La quinta coppa dell’ira di Dio infatti (Ap. 16,10), che appartiene alla serie dei “sette flagelli”, gli ultimi castighi divini contro la malvagità umana, si esplica non a caso nella manifestazione di una tenebra speciale che avvolge il trono della bestia anticristica e tutti i suoi seguaci. Qui abbiamo un momento profetico decisivo, finale, dentro una narrazione profetica vasta e cosmica.

Uno dei passaggi cruciali dell’ultimo settenario apocalittico, con il quale si consuma l’ira di Dio e vengono i tempi nuovi. Medesimo il segno purificatorio e punitivo: delle tenebre mandate da Dio (non dalla natura) ma differente il contesto e il tempo spirituale. La sesta coppa porterà alla dissecazione dell’Eufrate, preparativa di Armaghedon, e la settima sconfiggerà Babilonia. Simile anche la reazione di ostinazione: come il Faraone non si converte neppure di fronte al terribile castigo dell’oscurità annunciata da Mosè e subito accaduta così alla fine dei tempi similmente la maggioranza degli uomini non si convertirà, succubi della bestia anticristica, neppur quando si vedranno sconfitti dalla tenebra divina.

Una tenebra visibile e sovraumana che fisicizza le tenebre spirituali dominanti sulla terra. Eppure ogni fase di purificazione profetico-apocalittica non impedisce né esclude il libero arbitrio, nella coerenza teologica presupposta. Evidentemente la profezia di Giovanni mostra un mondo così corrotto da non poter essere più in grado di comprendere che alla manifestazione della superiorità di Dio si è chiamati a rispondere con la conversione, non con le bestemmie. Abbiamo infine una serie di profezie già moderne, vicine nella successione temporale, che sembrano come precisare e circostanziare i due poli profetici che abbiamo citato.

Si tratta di profezie annunciate da santi come Gasparo del Bufalo, Anna Maria Taigi, Anna Caterina Emmerik, Sorella Maria di Gesù crocefisso e Padre Pio, fra i molti. Santi che vivono momenti storici di passaggio, nei quali sembra avanzare una modernità sempre meno cristiana. Qui l’annuncio e la visione mostra una concordanza impressionante di pochi ma chiarissimi elementi connotativi: un tempo di tre giorni di tenebra divina dove solo le candele benedette potranno illuminare. Un tempo di grande purificazione nel quale i malvagi saranno distrutti e l’umanità ridotta ad un piccolo resto. Tre giorni di oscurità ma anche di fulmini, fuoco dal cielo, terremoti, fumo pestilenziale, demoni che agiscono liberamente sulla terra. Unica possibilità di sopravvivenza lo stare chiusi in casa pregando e attendendo nella speranza e nella fede.

Tre giorni di tenebra nei quali ci saranno alcuni che soccomberanno senza essere malvagi. Sono gli ultimi martiri di cui parla l’Apocalisse? (Ap. 6,11) Queste profezie, pur comparse nella modernità, appaiono a loro volta assolutamente bibliche nel loro contenuto. Si rivelano infatti una sintesi di due narrazioni profetiche distinte ma in realtà di identico tenore. Come i tre giorni di tenebra saranno una fase di distruzione per gli empi e i malvagi ma di liberazione e purificazione per i giusti, così nella Bibbia troviamo due correnti narrative simili.

Una si incentra sul tema del “gran giorno del Signore” quale momento improvviso di trionfo di Dio e di inaugurazione di un’epoca rinnovata e felice. L’altra narrazione si fonda sul concetto di “giudizio contro le nazioni” quale epifania straordinaria della giustizia divina contro le potenze mondane che opprimono il popolo di Dio. Si tratta della medesima visione profetica, articolata in tre aspetti complementari e contestuali: quello trionfale, in “positivo”, quello punitivo e quello restaurativo della gloria del popolo di Dio. Qui la tipologia emblematica è la colonna dell’Esodo: tenebrosa di giorno e infuocata di notte, minacciosa contro gli Egiziani che inseguono e protettiva verso il popolo di Israele.

Assai ricchi i riferimenti biblici: da Osea a Gioele, da Isaia a Zaccaria, da Ezechiele a Michea, in decine di passi dal simile tenore escatologico-apocalittico. Si tratta quindi di una sorta di “giudizio sulla storia” che apre ad un periodo di palingenesi dove avverrà la conclusione dell’evangelizzazione di tutta la terra. Profezie bibliche che ci parlano di una messianicità regale socialmente non realizzata ancora, né realmente millenaristica in quanto restaurativa di una condizione di sanità-normalità dell’umanità, preparatoria del Giudizio finale e della fine della storia. Si coglie una logica coerente: se Dio non favorisse l’avvento di un periodo storico differente e nuovo non si potrebbe dire che nella storia il male abbia prevalso sul bene? Ma questa conclusione contrasterebbe con la bontà provvidenziale di Dio. E potrebbero i cristiani evangelizzare tutto il mondo, come previsto nei Vangeli, nell’attuale situazione di decadenza e corruzione? Senza una previa primavera spirituale donata da Dio? Corrisponde infatti all’importanza del libero arbitrio che Dio ha conferito alla natura umana l’avvicendarsi al periodo anticristico di un periodo storico “cristico”. Una sorta di ricaduta sociale del libero arbitrio in relazione alla fede vangelica nel suo rapporto con la storia dell’umanità. Non fa riferimento il Cristo ad un tempo di “restaurazione” parlando con i suoi apostoli? Non parla di un suo ritorno nella storia in un periodo di scarsa fede? (Luc.18,8; Atti, 1,6.11)

Abbiamo quindi tre poli profetici che si sostengono e illuminano a vicenda, rendendo questo ultimo gruppo di profezie il più sconvolgente e inquietante di tutta la tradizione biblico-cristiana, dove visioni antiche e annunci moderni si sovrappongono e confondono. Il numero tre infine appare emblematico nella simbologia vangelica, come i tre giorni di Cristo nel sepolcro, i tre giorni di ricerca fino a ritrovarlo nel Tempio da fanciullo, e i tre giorni di cecità purificatoria che vive San Paolo dopo l’illuminazione sulla via di Damasco. Non insegna il Catechismo che la Chiesa deve seguire nella storia le vicende della vita di Cristo, inclusa l’ora della Passione e della sua morte? E che solo il manifestarsi pieno del “mistero dell’iniquità” precederà il ritorno di Cristo? (Cat. n°675-77).

I tre giorni di tenebra sembrano aprire ad un tempo di resurrezione spirituale e cristiana per l’umanità, quale sorta di setacciatura delle anime e purificazione degli stessi elementi naturali. Non la fine dei tempi, che coincide con il Giudizio Universale, ma l’inizio dell’ultimo tempo storico prima della fine della storia. Un circolo profetico-ermeneutico lungo millenni al cui centro si erge un accadimento tanto breve quanto decisivo per il futuro dell’umanità e rispetto al quale la differenza di trattamento di ciascuno sarà data dalla differente reazione dell’anima individuale rispetto ad un effimero “trionfo delle tenebre” la cui letteralità e fisicità sembra un contrappasso dantesco.