Prosegue il tuo percorso dedicato all’infanzia: dopo le visioni dell’amato Castello di Avella, ora la tua musica incontra una stanza, quella dei burattini…

La stanza dei burattini rappresenta, in senso lato, una metafora della nostra vita, di cui l’infanzia è il momento più bello, genuino e ingenuo. Chi è il “mangiafuoco” che muove i fili delle nostre vite ogni giorno indicandoci la strada?

È un lavoro che ho scritto alla fine del 2016 e che ho deciso di pubblicare solo ora. È la metabolizzazione delle mie esperienze artistiche presso il Teatro San Carlino di Roma con il quale collaboro come pianista da anni. Un luogo ricco di magia che trascende la realtà e che ci proietta nei luoghi più intimi del nostro animo. Una sorta di macchina del tempo. In fondo la musica e tutta l’arte in genere ci permettono di viaggiare nel tempo e nello spazio!

Inevitabilmente l’attenzione è colpita dal supporto: il vinile. Per altro perfetto per la partizione, da un lato piano solo, dall’altro l’orchestra. Quanto è importante offrire all’ascoltatore anche la tangibilità?

Ho deciso di pubblicare il lavoro in vinile, a parte per la bellezza del supporto, anche e soprattutto per l’atto quasi religioso dell’esperienza dell’ascolto in sé. Scartare il disco e tenerlo tra le mani ci proietta in uno stato di preparazione all’ascolto, ancora prima di farlo girare sul piatto. Lo si guarda, lo si contempla, un’esperienza fisica prima che sonora e sensoriale. Oggi la musica corre veloce in digitale su qualsiasi supporto e online. Dovremmo fermarci ad ascoltare, non correre insieme a lei. Credo che il vinile in questo ci venga incontro… e poi quanto sono belli!? A proposito di bellezza, La stanza dei burattini contiene al suo interno la riproduzione in cartoncino dell’immagine di copertina dipinta dal mio caro amico Marco Pompoli.

Inevitabile menzionare NovAntiqua, con la quale hai cominciato a collaborare: quali sono le peculiarità di questa etichetta?

NovAntiqua è una realtà giovane e dinamica di cui sono venuto a conoscenza da non molto tempo grazie al mio amico e collega Ivano Leva. Tanto quanto basta per capire di essere di fronte a dei veri cultori della musica. Un’etichetta di musicisti fatta per i musicisti (e non solo). Pubblicano dei lavori di fattura notevole, molti dei quali già acquistati e rivoltati come calzini dal sottoscritto. Il loro è un lavoro di ricerca che soddisferà i palati più curiosi ed esigenti. Invito tutti a visitare il loro sito. Sono molto contento di pubblicare questo lavoro per NovAntiqua.

Nelle note di copertina il maestro Marazia sottolinea la indefinibilità della tua musica: essere “polistilistici” è un problema o un’opportunità?

Senza dubbio un’opportunità. Potrebbe diventare un problema se per essere “polistilistici” si provasse a forzare la mano nella scrittura. Ho sempre ascoltato, studiato e suonato tutti i generi musicali anche se la mia formazione è fondamentalmente classico-accademica. Il “sincretismo” dei linguaggi che uso durante la composizione è stato per me la chiave di apertura al mondo dei miei suoni. Un processo che mi è venuto sempre abbastanza naturale.

La stanza dei burattini è una suite: qual è la tua interpretazione di questa forma compositiva?

La “suite” è stata la forma più congeniale a racchiudere il materiale compositivo inerente alla scrittura del lavoro e quindi i diversi numeri musicali che lo compongono. Una serie di stanze vuote da riempire di suoni, collegate tra loro da un corridoio che ho percorso durante la stesura del manoscritto e che conservo gelosamente come tutti gli altri manoscritti delle mie opere. Scrivo sempre usando matita e carta. L’odore della grafite e della carta ogni volta rappresenta per me un valore aggiunto. Una droga che mi aiuta ad andare avanti nel processo.

Da tempo il tuo cammino è orientato al rinnovamento del linguaggio classico innestando elementi jazz e world: fin dove pensi sia opportuno o possibile spingersi?

Non credo che attraverso la mia musica stia dicendo qualcosa di nuovo. Piuttosto credo che i linguaggi nell’arte, e nel caso più specifico nella musica, siano ciclici. Da pianista posso affermare che dopo Chopin avremmo potuto tranquillamente chiudere i coperchi dei pianoforti. Credo invece che il trucco sia fare proprie le lezioni che ci hanno lasciato i maestri del passato e trasfigurarle attraverso il proprio stile e linguaggio. È un processo che richiede tempo e maturità. L’importante non è quanto o quale tipo di giallo o di blu si usino nel dipingere la propria tela e se questi colori siano stati già visti, piuttosto credo che quel giallo e quel blu debbano arrivare diretti alla pancia, al cuore e alla mente. Non conta se siano nuovi o vecchi.

Theodor W. Adorno scriveva: “L’arte è magia liberata dalla menzogna di essere verità”. Noi artisti abbiamo il dovere di far sognare le persone e tutti noi abbiamo l’esigenza e il bisogno di poter sognare attraverso l’arte.

Viviamo nel nostro mondo, nelle nostre stanze, come se fossimo dei burattini mossi dai fili dei nostri desideri. Cerchiamo quotidianamente dei sussulti per poter essere liberi e felici... e poi ci accorgiamo che a volte è meglio dormirci su, cullati dal suono di una dolce ninna nanna. E se al risveglio fosse stato tutto un sogno? Solo un lungo sogno? Nella stanza dei burattini... tu vienimi a cercare e io ti regalerò una favola.