La sera è cominciata con l’Ultima Cena. Ma è finita bene, splendidamente, perché l’ensemble L’Homme Armé non tradisce.

Firenze. Il Cenacolo del Fuligno, dove si svolgeva il concerto Soloindue, in calendario il 21 settembre al festival FloReMus Rinascimento Musicale Fiorentino, è attribuito a Pietro Perugino, il divin pittore, e osservandolo, il ricordo volava a quello di San Salvi, opera di Andrea del Sarto, per il Vasari pittore senza errori, luogo storico dei Concerti al Cenacolo che L’Homme Armé organizza dal 1994.

Allo sguardo del pubblico, insomma, era in atto un duetto-duello di affreschi.

Poi è arrivata lei, Giovanna Baviera, con il suo “cantar alla viola”. E ha creato una magia rarissima e tale da non smorzarsi nemmeno dopo gli applausi, quando un auditorio imbambolato è uscito dicendo: “Non so che dire”. Con la gioia di essere senza fiato, godendosi un estatico riecheggiare.

Lo stesso Fabio Lombardo, direttore dell’Homme Armé, fondato 42 anni fa con Renato Baldassini che lo presiede, si è dichiarato abbastanza sfornito di parole, ma scintillante di felicità per aver invitato a FloReMus una musicista prodigiosa, da solista e anche al concerto finale, quattro giorni dopo, “Virgo et Mater. Intorno alla musica sacra di Giovanni Pierluigi da Palestrina”, con il gruppo d’eccellenza formato da Marta Fumagalli, Andrés Montilla Acurero, Elisabetta Vuocolo, Paolo Fanciullacci, Riccardo Pisani, Gabriele Lombardi, Davide Benetti e Andrea Perugi.

“Per Giovanna Baviera mi viene in mente la sprezzatura” ha commentato Lombardo. La sprezzatura di Baldassarre Castiglione nel Libro del Cortegiano: “[…] e dimostri ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi”.

Il pubblico del festival FloReMus era trasognato. Giovanna Baviera, artefice dell’incanto, che sensazione provi? È possibile spiegarlo?

Ricevo tantissimo. Esco sul palco per un concerto del genere con un programma in cui sono sola. Più che sola. Solista in tutti i sensi: canto e mi accompagno. Sono due persone in una e vivo una situazione di vulnerabilità positiva. Quindi parto offrendo questa vulnerabilità che, se viene recepita, se c’è un pubblico entusiasta, come è stato domenica, per me è di grandissimo incoraggiamento. Si instaura una specie di dialogo non parlato e io mi lascio sempre più andare, il pubblico riceve e ridà molta energia positiva che, lo so, è un’espressione un po’ così, ma è difficile descrivere esattamente cosa si prova.

A metà ti sei tolta la giacca. Le gale della camicetta sono come “fiorite” e diventate l’immagine di quel dialogo silente del quale parli fra te artista e la platea. Oppure…faceva caldo?

Faceva caldo… (sorride n.d.r.).

La tua solitudine ha fatto un’impressione fortissima. Si ascoltano tanti solisti, con ammirazione, però “il cantar alla viola”, l’accompagnamento del tuo canto sulla viola da gamba, sembrava renderti anche un vessillo di conquiste femminili. Posso chiedere se sei d’accordo?

Chiedimelo, perché è molto interessante. Un paio di mesi fa guardavo delle fonti su Tarquinia Molza (Modena 1542-1617 n.d.r.) che è stata, oltre che poeta, una virtuosa del cantare accompagnandosi su vari strumenti, inclusa la viola da gamba, e mi sono accorta di come queste fonti si focalizzino tantissimo sull'aspetto fisico suo e di tutte le musiciste del periodo. Molto frustrante, dalla prospettiva moderna, però buon per lei che fu bella. Caspita, mi son detta, ci sono poche informazioni su quello che suonava e faceva, che per me sarebbe molto utile sapere, invece c’è proprio sull’esecutrice uno sguardo completamente maschile.

Mi fa molto piacere quello che dici perché io cerco di andare sul palco in maniera più autentica possibile. So che il fatto di essere donna porta con sé una certa serie di conseguenze su come sarò vista e percepita, mille cose, no? Filtri su filtri. Però cerco di almeno di usarlo per potermi esprimere con autenticità. Credo in questo rendersi vulnerabili, ci ho pensato anche quando mi hai fatto la domanda, perché tante volte si vedono pianisti, violinisti, violoncellisti solisti, ma c’è qualcosa di diverso nella voce sola, nella sua delicatezza, nella sua fragilità. E penso che sia un messaggio forte, femminista, ma anche generale, da membro di una comunità umana.

Torniamo a Tarquinia Molza, chiamata l’Unica.

Era una nobile modenese che è diventata famosa per vari motivi. Non se ne sa molto perché, appunto, ci sono poche fonti che descrivono la sua vita e il suo operato, ma si sa che fu istruita in maniera abbastanza particolare per una donna della sua epoca. Si interessava al latino, al greco, all’ebraico, agli studi letterari umanistici che, in teoria, non erano previsti per lei. In segreto studiò canto, liuto, altri strumenti. Il suo primo marito, che poi morì, Tarquinia è stata vedova per la maggior parte della sua vita, lo scoprì e concesse alla moglie il diritto di studiare. Che contesto assurdo, comunque! Che una debba chiedere al marito il permesso di studiare musica, per fortuna il suo capì.

Tarquinia diventò celebre non solo per la sua abilità di accompagnarsi alla viola da gamba, ad altri strumenti e per il talento canoro, ma anche perché riusciva a fare delle cose proprio musicalmente virtuose, per esempio a leggere un pezzo da due parti separate. Sai che in quel in quel periodo la musica non era scritta in partitura, bensì in parti separate, no? E Tarquinia è conosciuta, descritta e lodata, nelle fonti scritte da uomini, che ogni tanto si accorgevano delle capacità femminili.

C'erano altre virtuose donne, ma nel suo caso veniva apprezzato in particolar modo ciò che proprio non era concesso alle altre: fu un’intellettuale della musica. In un periodo suonò e cantò nel Concerto delle dame, al quale partecipò, forse, anche nel ruolo di insegnante, ma è un dato non accertabile. Finché fu congedata dalla Corte di Alfonso II d'Este per via di quella che lei chiamò un’infamia, un’accusa diffamatoria da parte di un altro musicista, questioni di gelosia per un suo presunto rapporto con il compositore fiammingo Giaches de Wert. Se l’è cavata anche dopo, comunque: a Modena ebbe un salotto, si direbbe in tempi moderni, e fino alla morte fu circondata da musicisti e intellettuali. Era stata l’unica donna, da qui il soprannome, a ricevere la cittadinanza onoraria di Roma.

Il Festival FloReMus?

Collaboro con loro dal 2023, il primo concerto è stato Mirate gli atti un trio con Michele Vannelli e Alberto Allegrezza dedicato a Tarquinia Molza e, nella stessa edizione, Fabio Lombardo mi ha chiamata anche per cantare con L’Homme Armé. Da allora c’è un bel rapporto e vengo ogni anno. Questa volta sono stata una settimana a Firenze e ho apprezzato anche le conversazioni di FloReMus: sono andata a quella sul dilemma rinascimentale della Terra al centro del Cosmo.

Come è nata la tua carriera?

È stato un percorso un po' a caso. Ho studiato musicologia all’università, in Irlanda, mia mamma è irlandese, dopodiché mi sono accorta che la musicologia non faceva per me perché avevo bisogno di un rapporto un po' più pratico con la musica. Fortunatamente ero violinista all'origine e ho scoperto la viola da gamba, strumento molto, molto, particolare. Una bellissima scoperta e ho studiato con l'unico insegnante di viola da gamba dell'Irlanda di allora. Dopo l'università presi un anno di pausa e visto che il mio fidanzato del tempo andava a Basilea, mi sono ritirata a Basilea e iscritta alla Schola Cantorum Basiliensis.

Anche il canto è venuto un po' per caso. Avevo sempre cantato in cori amatoriali. A un certo punto mi sono detta che mi sarebbe piaciuto cantare più seriamente. Questo pensiero coincise con un concerto di VivaBiancaLuna Biffi, artista eccezionale, che ha anche un programma di frottole dove si accompagna cantando. È stata una meraviglia: ho vissuto come pubblico un contatto più diretto con lei di quello che avevo potuto provare prima e mi sono detta: voglio fare quello. Quindi mi sono preparata, cioè ho imparato a cantare. È stato il primo passo. Circa nove anni fa.

Irlandese di madre. Il padre?

Siciliano.

Le due componenti contano?

Sì, di sicuro contano. Non saprei dire esattamente come perché sono elementi che fuoriescono in situazioni molto disparate. Forse sì, hanno anche avuto una qualche influenza sul mio modo di fare musica. I miei sono molto musicali, ma non musicisti. Però, crescendo in un ambiente di incontro tra due mondi molto speciali, mi ha sempre un po' affascinato il “cosa posso combinare?”. Un elemento comune nelle due isole è la maniera di comunicare, diciamo, non lineare. Sono stati colonizzati da tanti e, magari, si sono difesi con l’attorcigliarsi del discorso.

Componi, anche.

Compongo e improvviso in stile. Non sono compositrice nel senso moderno del termine.

Suggestivo Such dimmest light as never che Eva Reiter ha scritto per te.

È brava, bravissima. È davvero bello quel pezzo, sono fortunatissima. Nel 2021 a un festival in Austria il direttore mi disse: “Se vuoi suonare un pezzo contemporaneo, noi facciamo la commissione”. Mi sono fidata ciecamente ed è andata molto bene.

Contiene un po' tutto il mondo e tutte le epoche.

Sì, è vero. Ed è bello nel mezzo del programma perché è un momento di dilatazione. Ti chiedi che cosa sta succedendo, no?

Nelle note di sala di Soloindue. Il cantar alla viola dal Rinascimento a oggi spieghi che, per la maggior parte, le opere eseguite sono intavolature o rielaborazioni di brani polifonici per viola e voce. (Enciclopedia Treccani: l’intavolatura è un sistema di notazione largamente diffuso dal secolo XV al XVII nel campo dell'arte strumentale).

Sì, forse è interessante sapere il lavoro che faccio per questo programma. Un filone è intavolare pezzi. La maggior parte sono pezzi vocali a quattro voci, a cinque voci sarebbe anche possibile, ma qua non ce ne sono, che ho arrangiato, diciamo, intavolato per la viola. C'è un trattato in cui Ganassi, nel 1540 e qualcosa, descrive proprio questa pratica, quindi si sa che si faceva. E poi il Caccini per le cose un po’ più tarde. Sono interpretazioni mie: visto che lo facevano con pezzi vocali a quattro voci, perché non farlo anche con le monodie dove c'è la voce cantata e il basso numerato, il basso continuo, sotto?

L’altro filone del programma è costituito da pezzi composti per viola e voce: quelli contemporanei di Simon MacHale e Eva Reiter e quelli antichi di Tobias Hume, del repertorio inglese. Lì ci sono anche le fonti pubblicate e sai se sono pezzi a tre voci e la musica per quello che si sedeva qua e qui. Quindi si capisce che era pubblicato per una persona. Un cantante, un violista. Abbastanza chiara l’intenzione.

Con le vendite del CD Soloindue di Albus Fair Editions, sostieni una ONG fondata nel 1991 che si occupa di pediatria, il PCRF (Palestine Children's Relief Fund).

Sono piccolezze. E una si chiede: ma perché non ci avevo già pensato? È stato bombardato un centro oncologico tre giorni prima del concerto Soloindue e mi si è risvegliata la coscienza sul ruolo che il musicista può avere all’interno della comunità. La situazione mi ha spinto a fare qualcosa. Il minimo.