La bibliografia dedicata ad Amedeo Modigliani, non manca. Icona immortale, costantemente al centro di nuove monografie. Difficile, quindi, trovare una voce nuova e fuori dal coro nel narrarne le gesta. Impresa vinta – tuttavia - dal livornese Diego Luschi, il quale – in questa piacevole intervista – ci spiega quale direzione ha preso per la sua ricerca in merito, culminata con lo splendido volume Vi Sento, edito da Viola Editrice.

Come nasce la scelta di Amedeo? Quali nuovi aspetti pensi di aver portato alla luce?

La scelta di Modigliani nasce innanzitutto da una grandissima passione per l’arte, e potremmo dire tutte le arti, considerando arte tutto ciò che smuove l’intelletto a creare bellezza e conoscenza: sono da sempre affascinato da quella scintilla che anticipa la creazione, da quella specie di cortocircuito, e da quella esplosione che ne segue. La mia voglia di andare oltre, non fermandomi alle apparenze, mi ha sempre portato a scrutare e pensare, a immaginare, cosa ci possa essere dietro a un’opera.

Modigliani è stato un genio del Novecento, il primo che ha saputo trasportare la psicologia in pittura. Questo romanzo offre un vero spunto artistico e segue la genesi della sua opera, e del suo pensiero artistico, di quegli “amori” che lo hanno fatto maturare, offrendo continui flashback per consentire a tutti di non brancolare nel buio e di appassionarsi a questo uragano emotivo che è stato Modigliani. Ho voluto trattare Modigliani come se dovessi io stesso recitarlo e come ogni attore che si rispetti sono andato, per impersonarlo, a leggere e studiare ciò che lui amava profondamente; oltre a questo c’è da dire che nelle ricerche è emersa l’importanza della madre, tale Eugenia Garsin, che tra le tantissime cose che faceva, donna di grande cultura, insegnava francese e traduceva Gabriele d’Annunzio: chi meglio di Andrea Sperelli aveva potuto introdurre Amedeo alla psicologia? Chi poteva averlo staccato in maniera netta dall’esperienza dei suoi coetanei livornesi post macchiaioli? La letteratura, tra le arti, era stata la prima a capire l’importanza della psicologia e Modigliani da attento lettore e ragazzo di grandissima cultura lo aveva capito.

Il libro si legge tutto d’un fiato ed è composto da una serie molto coesa di frammenti. Ci parli della tua ricerca in merito?

Innanzitutto grazie, è un grandissimo complimento. Il romanzo quando l’ho finito di scrivere la prima volta era quasi il doppio, mi pare fosse all’incirca duecentosessanta pagine, ma io volevo far provare al lettore una esperienza (experience, come alcune mostre interattive) in grado di coinvolgere a tal punto che le varie “pillole culturali” potessero fare da anticamera del piacere. La mia ricerca è partita dal confronto con gli esperti e critici, tra i più importanti, e dallo studio di testi considerati validi e attendibili, cercando di andare ad eliminare le contraddizioni e tutto il “gossip” che in un secolo di falsità è stato cucito attorno all’artista labronico. Ottenuto un romanzo molto più voluminoso dell’attuale ho deciso di ottimizzarlo allo scopo di offrirlo come un piccolo momento di arte per tutti.

È stato difficile trovare una chiave di scrittura omogenea?

Il mio primo romanzo uscì nel 2009 da allora non ho smesso di scrivere ma ho semmai cercato l’evoluzione della mia scrittura per riuscire a trasmettere il mio modo di intendere l’arte ovvero come un flusso continuo di pensieri, parole, azioni, luoghi, tutti uniti in una sorta di enorme corteo che porta da quella scintilla iniziale, che già ho raccontato prima, all’opera finita. Siamo l’immensità di maschere che ci abitano, questo doveva raccontare il mio romanzo, tanti frammenti da unire, alle volte una frase, un concetto, un’azione, un sentimento, una lettura, l’ispirazione improvvisa oppure un bel momento passato con un amico, tutti a marciare compatti per arrivare a formare il pensiero che muove la mano sulla tela. Assemblare tutte le esperienze che soltanto se unite possono fare intendere la grandezza di un artista di livello assoluto, questo era l’obiettivo della mia scrittura.

Modigliani ha subito molte fascinazioni, ma non è mai entrato a far parte di una corrente artistica vera e propria. Come possiamo spiegarlo, partendo dal tuo punto di vista privilegiato sulla sua vita?

Modigliani ha fatto nel Novecento quello che Cezanne ha fatto nella seconda parte dell’Ottocento ovvero anticipare, di intuire in maniera geniale, dove sarebbe andata l’arte nei decenni successivi. In un taccuino, datato 1907/08, Modigliani si annota: “Quello che sto cercando non è né il vero né l’irreale ma il subconscio, il mistero di ciò che è istintivo nella razza umana”. Questo pensiero anticipa di circa diciassette anni il manifesto surrealista (1924). I movimenti che vive a Parigi in questo momento non rappresentano niente di ciò che si è prefisso, e sebbene siano degli spunti di riflessione importanti, lui è convinto che lo studio dell’essere umano sia la necessità del nuovo secolo.

Posso già chiederti a quali progetti futuri stai lavorando?

Sono una persona che vive di passioni e a cui piace emozionarsi e lottare in ciò che crede. Per Modigliani avevo sentito il bisogno di dare un piccolo contributo alle grande lotta ai falsari, e alle falsità, portata avanti dal critico ed esperto Carlo Pepi; allo stesso modo, in questo periodo, seguo con enorme interesse le vicende di Mina Welby e Marco Cappato. Credo che anche per l’Italia sia giunto il momento di civilizzarsi, di dare l’opportunità a chi ha una malattia incurabile, irreversibile, degenerativa e, soprattutto, che soffre di dolori atroci, di avere la possibilità di scegliere se continuare oppure farla finita. Credo nell’autodeterminazione e non sopporto l’idea che si possa obbligare un essere umano a soffrire. Il romanzo a cui sto lavorando, e che è ormai quasi pronto, parla di una persona intrappolata nella propria mente e che vive in un luogo parallelo, una vecchia stazione, con la dolorosa compagnia del Male e di un vecchio treno abbandonato. La storia della sua vita, ormai quasi dimenticata persino da lui, e dell’amore verso due donne, viene ricostruita pian piano attraverso alcuni frammenti di poesie di Giorgio Caproni di cui proprio il protagonista, si scoprirà, è un profondo conoscitore, e traduttore, e prima che questa tortura avesse inizio aveva terminato un testo intitolato La morte poesia.