“Il Fregio” di Gustav Klimt è un'opera unica e grandiosa, della Secessione Viennese, molto complessa, che ha corso il rischio di essere distrutta come “Arte Degenerata”. Oggi è possibile ammirarla a Vienna nel seminterrato del Palazzo della Secessione; per nostra fortuna ce l'ha fatta, fortunosamente, a salvarsi dalla furia nazista. I suoi contemporanei non l'avevano apprezzata, ritenendo, insieme a questa, “osceni” e “depravati” molti suoi dipinti, che noi oggi consideriamo opere d'arte, a tal punto che le Istituzioni, dopo averle commissionate, le avevano rifiutate. Oggi riteniamo che l'opera di Klimt abbia anticipato i tempi: i suoi contemporanei non erano pronti a capirla e ad accettarla, soprattutto alla fine dell'Ottocento, in una realtà retriva e provinciale come quella di Vienna. Klimt ha lottato contro questa mentalità, anche contro i suoi interessi, ha voluto “svecchiare” l'arte del suo Paese.

A metà Ottocento, anche i parigini si sono scandalizzati per la “Colazione sull'erba” di Manet, perchè in essa una fanciulla nuda, senza giustificazioni storiche, nè religiose e neppure mitologiche, se ne sta, serenamente con un'amica, a dividere la merenda con due signori vestiti di tutto punto, elegantemente seduti, godendosi un pomeriggio di vacanza. Ma ciò che ha scandalizzato ancor di più è stata la sua “Olimpia”, opera del 1863 come la precedente “Colazione”. Olimpia è chiaramente una prostituta che sta aspettando il prossimo cliente, mentre la cameriera di colore le porge l'omaggio floreale di un affezionato ammiratore.

Ciò che ha colpito di più il pubblico è stato però il suo sguardo sfacciato, che si rivolge agli osservatori con la consapevolezza di una gran dama sicura di sè, mentre dovrebbe, secondo la mentalità del tempo, abbassare lo sguardo, consapevole della sconvenienza del suo mestiere.

Nel 1866 Courbet ha superato tutti i “tabù” quando ha dipinto la scandalosa opera “L'origine del mondo”, in cui ritrae in modo incantevole e molto realista, il ventre villoso di una fanciulla che cela il volto. L'artista ha dipinto quest'opera su commissione del diplomatico ottomano Halilb Bey Serif Pascià, grande viveur, che tiene l'opera nascosta e la mostra a pochi intimi, ma che, a causa del vizio per il gioco, è stato costretto a vendere nel 1868 al barone Ferenc Hatvang. L'opera alla fine è stata acquistata dallo psicanalista francese Jacques Lacan e in seguito acquisita dal Museo D'Orsay, dove è attualmente esposta, ma solo dal 1995! C'è voluto del tempo perchè si osasse l'inosabile.

L'opera è sconvolgente nel suo crudo e perfetto realismo, ma il suo titolo è di una poesia commovente: non è lì veramente il centro della nostra vita, dove si perpetra la continuità umana? Nessuna altra opera incarna la nostra realtà con più crudezza e dolcezza. Ma Courbet ha sfidato l'arte anche in un altro modo, quando ha spinto Napoleone III° a sferzare col suo scudiscio le natiche della sua fanciulla nell'opera “Le bagnanti” del 1853: le forme sgraziate hanno ferito il gusto dell'imperatore, uso alle più belle visioni femminili. Perchè questo? Non per censura, ma per l'obesità e la cellulite della donna, che mostra le sue carni di popolana in tutta la sua realtà prosaica.

Le donne nude che vediamo in centinaia di opere del passato, giustificate dalla storia o dal mito, sono infatti perfette nelle forme, idealizzate, come la Venere del Botticelli, che è una meravigliosa fanciulla raffigurata secondo i canoni rinascimentali di perfezione, che poco ha a vedere con le forme delle donne del tempo, in carne per la vita sedentaria e di bassa statura.

Renoir ha dipinto molte stupende modelle obese, ma che conservano, nella loro abbondanza, la grazia: Modigliani, in visita dall'artista sulla Costa Azzurra a Les Collettes, lui che idealizza la donna a tal punto da allungarne i colli, gli arti e le membra, ha sbattuto la porta in faccia a Renoir, andandosene, disgustato dalle cosce e dalle natiche, ma soprattutto dalle braccia troppo abbondanti delle modelle delle sue opere.

I nudi di Modì sono così perfetti e realistici, che i gendarmi, nel 1917, hanno costretto alla chiusura la Galleria Berthe Weill, che li espone, a causa delle proteste del pubblico che passa davanti alle sue vetrine e che ne è turbato al punto da denunciarle!

Klimt ha fatto un ulteriore passo in avanti nella rappresentazione femminile: le sue donne sono tra le più belle dell'Arte, ma rappresenta non più la bellezza, nè la dolcezza. Sono donne crudeli e assassine come la Giuditta, sprezzanti o irriverenti come la fanciulla dei “Pesci d'oro”, che con malizia offre le sue natiche al pubblico e che Klimt, irritato dalle continue accuse di oscenità ha minacciato di dedicare “ai miei critici”, modificando il titolo precedente, per dispetto.

Nell'arte, le immagini più antiche della donna hanno rappresentato soprattutto la maternità e la fertilità, come ci dimostrano le statuette paleolitiche di steatite. Un grande passo avanti è stato fatto dai greci che hanno celebrato un ideale di bellezza che si potrebbe dire moderno, fin dal V secolo a.c. L'idea, a quel tempo, è associata, oltre che alla proporzione del corpo anche alla grazia. Ma è Prassitele che rappresenta, con una statua, Afrodite che sta per immergersi nell'acqua, creando una donna che ha la consapevolezza della sua nudità perchè con la mano destra si copre il pube, mentre con la sinistra afferra il drappo per coprirsi: uno dei primi sublimi esempi del nascente pudore e della civetteria ante litteram del nascondersi per mostrare.

Nel Medioevo il ruolo della donna si identifica con la Vergine Maria, protagonista assoluta di quel tempo in Occidente. Nel Rinascimento la donna non è più solo rappresentata in veste di Santa, ma vengono esaltati i suoi gesti quotidiani come regina della sua dimora. L'evoluzione successiva è la dualità della donna, vista sia come simbolo dell'amore fisico e sensuale, che come attenzione per la filosofia e la conoscenza. È la bellezza del tutto, come ebbe a dire il Vasari.

È verso la fine del'800 che la donna viene vista come fonte di perdizione e tentatrice. Munch la vede come una "femme fatale", che vuole divorare l'uomo attraverso la sua sensualità. Ed è proprio questo che ci esprime Klimt col suo “Fregio”, così profondo e così significativo della realtà umana: è l'allegoria della strada che l'umanità deve percorrere per raggiungere la felicità. Il cavaliere, rappresentato con le fattezze di Mahler, il grande compositore che all'epoca di Klimt dirige l'Opera viennese, deve sconfiggere le forze del male, resistere alle tentazioni, che sono rappresente da donne che, attraverso la supplica, invitano il cavaliere ad agire per raggiungere la felicità attraverso la salvifica arte della musica e della poesia.

Le donne che incontra sono nude, hanno giovani corpi, chiome abbondanti con colori sempre diversi, atteggiamenti provocanti, anche quando sono in supplichevole richiessta di aiuto. Le stesse Gorgoni, figlie del mostro Tifeo, nella loro completa nudità, provocano, con i capelli agghindati e intrecciati con nastri dorati che ricordano antichi gioielli. Le supplici più provocanti, l'impudicizia, la sregolatezza e la lussuria gravida, mostrano le loro grazie e più che imploranti paiono provocanti. Persino l'angoscia, nel suo rinchiudersi nel dolore, ha un fascino che viene amplificato dai veli che enfatizzano in luogo di nascondere.

Nell'ultima parte del “Fregio”, le donne sono asessuate ed angelicate, paradisiache, indifferenziate nella loro ripetitività: e poi compare l'ultima donna, il premio ineffabile, che l'eroe finalmente raggiunge, arrivando al regno dell'ideale, del puro amore. Il potere dell'Eros viene rappresentato attraverso una fusione di corpi che però annullano la testa, parte pensante e spirituale dell'uomo, che pare annientato dal potere erotico della donna, a cui si affida, indifeso. La sua lotta, attraverso tutte le tentazioni, lo porta ad essere un amante soggiogato, che si arrende al potere dell'Eros.

Emerge l'immagine della donna in una doppia veste di tentatrice pericolosa e di consolatrice ultima, rivelando l'ambivalenza nei suoi confronti, che in tante opere Klimt ha dimostrato, passando dalla componente demoniaca della sua eroina Pallade Atena, alla cattiveria e al fanatismo che rivela la donna rappresentata nella Nuda Veritas: tra i riccioli selvaggi e la bocca malevola e fanatica, che tanto aveva urtato il perbenismo dei viennesi, proprio ai tempi in cui Sigmund Freud rendeva edotto il pubblico della linea di congiunzione tra la realtà, la sessualità e le loro conseguenze.

Anche la “Giuditta” di Klimt, eroina biblica tante volte rappresentata nelle opere d'arte di molti pittori, è una donna fatale e crudele, una femmina assassina. Nei “Pesci d'Oro”, l'artista rappresenta donne sensuali e provocatrici, dalle bocche socchiuse, con lunghi lussureggianti capelli che ondeggiano per catturare la volontà mascolina e annientarla.

Ma è nell'opera “Speranza” che Klimt provoca un vero e proprio attentato al puritanesimo austriaco, tant'è vero che il primo committente, Friz Warndorfer la tiene celata. Attorno alla donna ritratta, in avanzato stato di gravidanza, grava un'atmosfera quanto meno inquietante e neppure l'espressione della donna, che si volge verso l'osservatore, è rassicurante, perchè sopra il suo capo dominano “i demoni della vita”, che minacciano col loro espressionismo il futuro del nascituro.

C'è molta ambiguità in quest'opera perchè sul capo, dalla rigogliosa chioma rossa, si notano teneri e delicati fiorellini bianchi, simbolo dell'innocenza, che la incoronano. Nell'insieme l'opera evoca una femminilità pericolosa e ingombrante: il significato simbolico è la protesta contro il perbenismo della società del tempo, che l'artista ha combattuto fin dall'inizio, quando vuole “svecchiare” l'arte ammuffita, secondo lui, di Vienna.

Nelle “Tre età della vita” Klimt descrive l'allegoria del trascorrere della vita, attraverso le diverse età della donna, dall'infanzia alla vecchiaia, rappresentandole tutte in modo mirabile e incantevole, anche l'anziana. L'artista ha guardato con freddo realismo la realtà umana, nulla risparmiando al fruitore. Ma non gli basta, va oltre, osa l'inosabile... dipinge la donna nel momento culminante del piacere dell'Eros in “Danae”. È il trionfo dell'istintività sull'amore romantico: non per nulla Klimt vede nella donna una maggiore capacità di realizzazione di una sessualità sincera e istintiva, libera dai vincoli della morale borghese, che si affida al sentimento e nello stesso tempo sa godere del momento sublime della passione.

Klimt conosce e studia Freud dell'Interpretazione dei sogni, approfondisce il Faust di Goethe e si sofferma su Nietsche, col suo mito del Superuomo. Ma l'uomo è poco rappresentato nelle sue opere, per di più è di spalle, come se fosse un elemento accessorio rispetto alla donna dominatrice, cercata ossessivamente, in cui mai trova pace, mettendo in risaldo l'ambiguità del suo sentire di fronte a queste “sirene”, che sono state l'oggetto privilegiato della sua pittura, la sua ossessione. Una donna, il suo oscuro oggetto di desiderio, catalizzante attrazione e repulsione, “dolcezza che incanta e piacere che uccide”, cantava Baudelaire. La donna che sa donare la vita, ma anche distruggerla come le sue eroine.

Come si può ravvisare l'origine di questa dualità nell'artista? L'uomo non si può scindere dall'artista e come tale esprime nella sua arte i demoni che l'hanno attanagliato nella vita di relazione. Klimt è stato un famoso seduttore: tutta Vienna parla del suo “harem” privato, che si è costruito lontano da occhi indiscreti, dove fanciulle seminude, sue modelle e amanti, per lo più prostitute, per cui si comprende come l'artista fosse stato contagiato dalla sifilide, si offrono alla sua opera d'artista come alle sue voglie. È famoso il suo camicione che lo copre fino ai piedi, ma che lui porta senza nulla sotto, per essere più libero.

Si narrava che facesse giochi erotici e incoraggiasse l'omosessualità tra le donne, per trarne beneficio. Incapace di restare fedele ad una donna sola, cerca di godersi tutte le donne che incontra, dalle fanciulle in fiore, come Alma Mahler, alle donne sposate e non si preoccupa se semina figli da ogni parte, si parla di quattordici conosciuti, di cui solo tre riconosciuti ufficialmente. Perciò in seguito anche la sua eredità è stata tanto complessa nella spartizione tra gli eredi. Ma il suo sogno è quello di un'unione di anima e corpo tra i sessi, finalmente fusi armoniosamente.

Gli artisti comunicano attraverso l'arte: nel suo capolavoro “Il bacio” del 1905, si nota come l'opera, che finalmente viene lodata dal pubblico, dopo tante polemiche, è l'appassionata celebrazione del tema amoroso, descritto con grande delicatezza. Viene esaltato un momento di tenera intimità, che ogni essere umano dovrebbe vivere. È un momento di estasi, sottolineato dallo spazio irreale in cui la coppia è collocata. I fiori che fanno da piedistallo sono sovrastati da un ampio cielo punteggiato da miriadi di stellette dorate. Le mani intrecciate aggiungono ulteriore enfasi e contribuiscono all'atmosfera di beatitudine in cui i due amanti sono immersi.

Non vi è alcuna connotazione sensuale in quest'opera, soltanto dolcezza e tenerezza, quello che più è mancato al cantore della bellezza femminile che certo le donne che ha amato non condividevano, per le sue ripetute infedeltà! Resta il fatto che le donne che ha dipinto sono tra le più belle della Storia dell'Arte, perchè ne ha catturato, insieme alla bellezza, anche l'anima.