Quanti conflitti, solo minacciati o che poi sono diventati una tragica realtà, hanno avuto come pretesto le pretese su microscopiche porzioni di terra? Infiniti, anche se, spesso, la rivendicazione su un territorio è solo una cortina fumogena per nascondere altri interessi. A cominciare dall'allungare le proprie brame su ingenti riserve energetiche. Ma, come sempre più di frequente accade negli ultimi anni, le contese territoriali servono anche ad abbassare la pressione delle controversie interne. Come quella generata da una crisi economica che spinge il popolo a protestare, minando alla base il principio cardine di un potere, spesso autoritario: il consenso.

È forse questa la chiave migliore per potere leggere quando sta accadendo di fronte alle coste della Turchia, dove l'isola di Kastellorizo (oggi parte integrante della Grecia, dopo essere stata occupata da questo o quello, italiani ed inglesi - quest'ultimi macchiatisi di saccheggi indegni di una nazione civile - inclusi) è entrata nel mirino di Ankara che sempre più di frequente la indica come parte integrante del suo territorio nazionale, di fatto rivendicandone il possesso.

È la solita storia ed anche questa di Kastellorizo non si distacca dal copione. Il califfo di Ankara, Erdogan, dopo avere riempito di promesse e ancora promesse la sua gente, ora si ritrova a dovere fronteggiare una crisi economica resa ancora più acuta dal Covid-19. Quindi è costretto a trovare argomenti che distraggano un intero popolo dal pensiero che egli è, per come lo dipingono molti ed in numero crescente, un dittatore che, arrivato al potere democraticamente, una volta sul trono ha deciso che nessuno potrà sostituirlo.

Cosa c'è di meglio che pungolare il sempre vivo sentimento patriottico dei turchi, facendo balenare l'idea di una ''mini-guerra'' per spezzare le reni alla Grecia e conquistare (o riconquistare, secondo il suo pensiero) un isolotto pressoché disabitato e che lo sarebbe definitivamente senza turisti?

Le brame di Erdogan poggiano su alcune evidenze, la prima delle quali è che Kastellorizo si trova a poco meno di due miglia dalla costa turca. Una condizione che per Atene è anche un peso economico, dovendo issare la sua bellissima bandiera (con tutto il contesto amministrativo, di sicurezza, energetico, sanitario che questo comporta) su una piccola isola, ben lontana dalla Grecia. La realtà è che, affacciandosi dalle finestre di Kastellorizo, si vedono le case della turca Kas, cosa che accredita la fregola annessionistica di Ankara.

Quella che si sta giocando nel Mediterraneo è una partita delicatissima dalla quale l'Europa non può sentirsi estranea, perché l'impari scontro militare tra Grecia e Turchia, che vedrebbe la prima soccombere nel giro di poche ore, si tradurrebbe in una vittoria anche politica di Erdogan, che, di fronte all'inanità di Bruxelles (ma anche di Washington), si sentirebbe autorizzato ad alzare il tiro.

La cosa che ormai appare evidente che alla Turchia il ruolo di potenza regionale va stretto e quindi deve imporre la sua presenza anche in teatri che non sono quelli tradizionali. Come sta facendo con la Libia, dove però rischia di farsi del male.

A Kastellorizo l'eco della bramosia di Ankara giunge ancora flebile, ma meno di quanto si pensi. Vedere girare intorno all'isola delle navi che issano orgogliosamente la bandiera turca (anche se ufficialmente sono solo battelli per prospezioni e indagini sismiche) non è il massimo della tranquillità.

Bei tempi quelli in cui le barche che arrivavano scaricarono la troupe che consentì a Gabriele Salvatore di regalarci il bellissimo Mediterraneo. Un mare che dovrebbe essere di pace, ma che rischia di diventare l'occasione per mostrare i muscoli.