Steso per terra, con l’immagine sfocata delle persone intorno e un dolore lancinante all’addome, Antonio sentì che, nonostante tutto, quello che stava accadendo era perfetto. Vide un ragazzotto frugare nel suo portafoglio e non si oppose. Provò a chiedere aiuto ma la bocca traboccò di sangue. Si limitò allora a guardare intorno a sé il mondo che stava per lasciare. Solo una volta cercò ancora lo sguardo familiare di qualcuno tra i presenti. Quando vide che lei era lì, quando nonostante gli anni passati riconobbe quel volto, capì che era giunto il suo momento e smise di opporre resistenza.

Era stato laggiù anche vent’anni prima. All’epoca aveva 48 anni e prima di partire nessuna idea di dove fosse il Brasile. Nel piccolo paese di montagna dove abitava l’orizzonte era stato sempre troppo limitato per permettere allo sguardo di spingersi lontano. Da generazioni lassù si nasceva e si moriva. E a valle si scendeva solo in rari casi di necessità. Le città della pianura, poi, ancora più lontane, apparivano come entità temibili e misteriose. I pochi del paese che c’erano stati ne avevano parlato come di luoghi spaventosi e degenerati.

Era successo che Paulo, l’ultimo figlio del Bepi, il panettiere del villaggio emigrato in Brasile in tempo di guerra, fosse improvvisamente tornato. I maligni dissero che fosse venuto a controllare le proprietà di famiglia, che volesse accertarsi che non ci fossero più parenti in giro in modo da poter prendere possesso dei loro terreni.

Paulo era un ragazzone alto, dal fisico atletico. La sua carnagione era scura, come gli occhi e i capelli. Non assomigliava a suo padre né ad altri del villaggio. Sorrideva a tutti, questo sì, ma ciò non era bastato a renderlo simpatico. Ci vollero parecchi giorni prima che gli indigeni lo potessero accogliere come uno di loro. Solo con il tempo cominciò a farsi vedere in giro e a frequentare l’unico bar, il posto dove ogni giorno si riunivano gli uomini a giocare a carte. Non disdegnava il vino il buon Paulo e tra le prime cose che disse molti ricordano i suoi commenti proprio sulla sacra bevanda. “In Brasile” diceva, “il vino c’è ma non così buono.” E così, un bicchiere dopo l’altro, raccontò di quel Paese lontano, storie di foreste animate da centinaia di uccelli multicolori, spiagge assolate, bambini sorridenti, musica e donne meravigliose. Il suo italiano, un po' zoppicante, metteva allegria. Gli uomini al bar cominciarono ad affezionarsi a lui e ai suoi racconti, riuscendo ad immaginare ogni giorno di più quel mondo lontano e affascinante. Paulo ad un certo punto però sparì e per diversi giorni di lui non si seppe più nulla. Qualcuno si accorse della sua assenza, ma non tutti. L’inverno era alle porte e nel villaggio c’era un gran fermento: qualcuno raccoglieva l’ultima legna secca mentre altri procedevano a rinforzare il tetto. Ci fu anche chi giurò di aver visto il pettirosso a caccia di cibo in giro per il paese, segno che il freddo sarebbe arrivato molto presto.

Poi un giorno Paulo tornò.

Quella notte c’era stata la prima nevicata e nel bar del paese il camino scoppiettava mentre gli uomini erano intenti a giocare a carte attorno al tavolo. In molti notarono qualcosa di strano nel comportamento di Paulo, si vedeva che non era quello di sempre. Appariva estroverso, quasi euforico. Quando cominciò a parlare fece discorsi strampalati e confusi. Stupì la sua generosità, Paulo, quella volta, offrì da bere a tutti varie volte e lui stesso bevette in modo smodato. Al termine della serata, durante l’ultimo giro di carte, sorprese i presenti annunciando di essere pronto a pagare un viaggio in Brasile a tutti, nel caso avesse perso. La fortuna quella sera non gli sorrise e da allora la parola Brasile divenne la più pronunciata nel paese.

Successe però che forze ostili a quel progetto cominciarono ben presto a coalizzarsi. Alfonsino e Arnaldo, per esempio, due dei sei uomini presenti quella sera, furono immediatamente ammoniti dalle rispettive mogli e dopo poche ore si arresero. Anche Ermanno e Giuseppe, rispettivamente fornaio e medico del paese, pur combattuti tra tentazioni e rimorsi, rinunciarono. Nonostante si fosse parlato di un viaggio breve, era assolutamente impensabile che la comunità potesse rinunciare al pane a pochi giorni dall’inizio dell’inverno. E poi chi avrebbe fatto nascere i bambini? No, no, almeno per quanto riguardava loro due, dubbi non ce ne furono. Rimasero in due, Antonio e Giuseppe. Quest’ultimo però apparve in difficoltà in quanto proprietario di una stalla con numerose bestie e nessuno in paese disposto a tenerle in sua assenza. Gelosia? Cattiveria paesana? Entrambe, probabilmente.

Alla fine, del gruppo di fortunati, il destino scelse Antonio.

Conosciuto per la sua bontà d’animo nonché per la sua forza fisica, Antonio all’epoca faceva il boscaiolo/falegname ed era sposato con una donna di nome Elvira, madre di Elisa, una timida bambina di 10 anni. Il suo mestiere, almeno teoricamente, non risultava essere un impedimento. L’inverno era il momento dell’anno in cui, non potendo tagliare alberi, Antonio si dedicava alla creazione di ciotole con l’ausilio del tornio: per una volta le sue ciotole avrebbero potuto attendere! Anche Elvira era serena, felice per il suo Antonio. Tutte le storie sul Brasile giunte da Paulo – e che Antonio le aveva riportato – avevano creato in casa un’atmosfera piena di eccitazione e di attesa, quasi fosse già Natale. Lei mai avrebbe avuto il coraggio di affrontare un simile viaggio ma in cuor suo sentì dal primo momento che, se si voleva migliorare la propria vita, bisognava fare qualcosa per trasformarla e ciò inevitabilmente prevedeva dei rischi. Lei superò la sua paura mostrandosi pronta a rischiare insieme ad Antonio e per questo acconsentì, senza esitare, al progetto di viaggio del suo amato consorte.

Il momento più toccante di quei giorni fu la messa della domenica, quando nella piccola chiesa del paese, don Michele benedì Antonio e Paulo ricordando l’importanza dell’apostolato nella vita di ogni buon cristiano. Il mattino della partenza nevicava copiosamente. L’ultima immagine che Antonio si portò nel cuore fu quella della finestra di casa nella notte, un punto dorato nel buio, con Elvira ed Elisa vicine, che lo salutavano.

Certo il viaggio non fu una passeggiata. Senza il sostegno di Paulo, Antonio probabilmente non ce l’avrebbe mai fatta. Era stato tutto troppo e troppo nuovo per lui, una grande vertigine senza fine. Fino al giorno prima della partenza non aveva mai immaginato che nella vita si sarebbe un giorno ritrovato in mezzo ad una così grande varietà di persone e a luoghi tanto diversi da quelli conosciuti. Partito con giaccone pesante, cappello e scarponi, gli ci volle parecchio per decidersi di cambiarsi nonostante la temperatura intorno diventasse sempre più alta. Solo all’aeroporto di Lisbona accettò di indossare dei pantaloni corti di cotone e una maglietta leggera al posto della giacca ma non rinunciò fino all’ultimo agli scarponi e al cappello. Molti turisti di passaggio si fermarono a guardare quell’omone dalle lunghe gambe bianche con gli scarponi ai piedi, alcuni scattarono anche delle fotografie. Arrivato a Rio di Janeiro nella notte, a causa del fuso orario non riuscì a chiudere occhio per parecchie ore. Solo all’alba, completamente sfasato, si lasciò vincere dalla stanchezza e crollò, cullato dal forte brusio proveniente dalla strada e dalla vista della pala di un ventilatore che, ipnoticamente, aveva continuato a volteggiare sopra il suo letto.

Quando si svegliò fece molta fatica ad orientarsi. Non riconosceva assolutamente il posto in cui si trovava e sentiva strane voci provenire dalla stanza accanto. In che lingua stavano parlando? In più il caldo era assolutamente insopportabile e aveva una sete tremenda.

Dalla porta socchiusa apparve la faccia familiare di Paulo e ciò bastò a rassicurarlo. Poi la porta si spalancò completamente ed entrarono tanti bambini scatenati e anche altri adulti che però Antonio non riconobbe. Paulo discorreva con loro in una lingua diversa dalla solita, una lingua molto bella, calda e musicale. “Agora dexamos descansar tio Antonio” disse Paulo rivolgendosi ai bambini. Risposero ridendo tutti eccitati. Una bambina si avvicinò al letto porgendo ad Antonio un piatto con della frutta carnosa e profumata decorata con dei fiori dai colori sgargianti. “Benvenuto in Brasile!” esclamò a quel punto Paulo.

Antonio rispose sorridendo, felice. Si sentì a casa.

Che ore erano? Aveva perso ogni cognizione del tempo. Ma fu sorpreso da se stesso, dalla facilità con cui si era adattato a quella nuova condizione. Si sentiva così protetto e coccolato. Dalla finestra filtrò in quell’istante una luce intensa e dorata. Si alzò allora dal letto e dopo essersi rimesso gli scarponi ed essere rimasto a torso nudo, aprì la porta della stanza deciso a cominciare l’esplorazione di quel mondo nuovo.

La casa di Paulo era modesta ma pulita. Era costituita da due ampi saloni terrazzati e tre stanze da letto. Antonio notò che non c’era traccia di stufe o camini in quella casa ma la sorpresa più grande fu scoprire che lì le finestre non avevano i vetri ma solo zanzariere. Paulo viveva lì con la moglie Tamires e i loro tre figli, Beatriz, Isabela e Vitor. Quando si accorsero della sua presenza i bambini gli corsero incontro tutti festosi e sorridenti. Pochi minuti dopo ritrovarono tutti insieme a tavola, la cena era pronta. Era molto bello vedere Paulo nel suo ambiente, appariva molto diverso, molto più rilassato. Antonio mangiò con avidità tutto quello che gli veniva messo nel piatto, trovò ottima la carne alla griglia che lì chiamavano “churrasco” e divorò numerose polpette di fagioli lottando affettuosamente con i bambini per accaparrarsi i tradizionali dolcetti al cioccolato detti “brigadeiros”.

Quando terminarono il pasto Paulo offrì ad Antonio un liquore molto forte, più forte di tutte le grappe provate in vita sua. E lo prese poi sotto braccio conducendolo verso la grande terrazza esposta a Sud da dove con lo sguardo si poteva abbracciare la vista del mare e gran parte del retroterra.

“Hai visto? Anche qui ci sono le montagne!” disse Paulo sorridendo. Antonio in effetti si sentì bene alla vista di quei rilievi anche se lì gli alpeggi erano molto più boscosi e la vegetazione saliva fino alle cime. “Hai fatto bene a portarti i tuoi scarponi, domani ti saranno utili” aggiunse Paulo. Ora però rilassati e prova a girare scalzo, come noi…

Antonio sorrise un po' imbarazzato, capiva che gli scarponi gli davano sicurezza. Ma alla fine accettò. E se li sfilò con grande sorpresa dei presenti. Quando si tolse anche le calze apparvero i suoi piedi, pallidi come lenzuola e scarnificati e arrossati all’altezza delle dita. Piedi che da anni non vedevano il sole. Tamires gli allungò un paio di saldali fatti con foglie di banano intrecciate che Antonio accettò di buon grado indossandoli prontamente. Che leggerezza, pensò tra sé e sé. Nel frattempo, grosse nuvole si erano addensate sopra le loro teste e si capiva che stava arrivando un temporale. La foresta dietro la casa si animò riempendosi del frastuono assordante degli uccelli e di altri versi di animali mai uditi prima. Antonio, a torso nudo e con i sandali di foglie di banano ripensò a quando in montagna l’aquila faceva la sua comparsa nel cielo primaverile e le marmotte iniziavano a fischiare allarmate. Poi giunse la pioggia, uno scroscio violento e poi subito dopo un altro, più tenue, ma inarrestabile. Tutta la famiglia riparò di corsa in casa.

Il giorno successivo fu interamente dedicato alla visita del parco naturale di Tijica.

Antonio rimase estremamente colpito dalla straordinaria varietà di piante ed animali presenti nella foresta: pappagalli variopinti volteggiarono per tutto il tempo sopra le teste della piccola comitiva formata da Paulo, Tamires, Antonio e da Marcos, una giovane ma non per questo meno esperta guida locale dal corpo magro e flessuoso come certi arbusti tropicali. Il caldo si fece sentire non meno degli insetti che non smisero un attimo di perseguitare i componenti del gruppo. Giunti ad una radura dove c’era una cascata con un laghetto tutti si buttarono in acqua nonostante gli ammonimenti della guida che temeva la presenza di serpenti. Non successe lì ma due ore più tardi: Antonio fece la conoscenza con un grosso cobra. Vipere in montagna ne aveva viste nella vita ma mai di quelle dimensioni e comunque tendenzialmente molto schive. Quel ramo scuro tra le foglie che Antonio scostò per passare e che si animò tra le sue dita lo colse proprio di sorpresa. La sua salvezza fu l’intervento del giovane Marcos che anticipò lo scatto del rettile e tirò indietro Antonio che per reazione ebbe una crisi di pianto. Lungo il sentiero tracciato tra alberi monumentali e liane nodose videro più tardi anche bellissimi coleotteri e farfalle dai colori sgargianti, quasi ipnotici. Quando arrivarono a casa Antonio, fino a pochi minuti prima euforico e partecipe, ebbe un crollo dovuto probabilmente alla stanchezza accumulata e alla tensione per tutte quelle emozioni. Dopo essersi fatto una doccia, preferì congedarsi temporaneamente dai suoi amici e con grande sollievo si ritirò in camera e si distese sul letto.

L’ultima immagine che ebbe prima di addormentarsi fu curiosamente quella di Don Michele, lo vide mentre gli sorrideva e gli mostrava un piccolo affresco scrostato della chiesa del villaggio. Secoli prima qualcuno aveva dipinto uno sfondo di alberi con delle figure e uccelli colorati e anche un serpente.

Le emozioni parevano non finire mai in quel posto. E Paulo, che rivelava sempre all’ultimo i programmi del giorno, pareva divertirsi nel vedere la faccia del suo amico, stupito e commosso di fronte agli eventi. Così quando il dì successivo si presentarono davanti alla porta di una piccola casa di periferia, Antonio non capì bene quello che lo stava aspettando. Bussarono alla porta numerose volte, si udì il verso di un cane provenire dall’interno. Un mastodontico banano copriva parte del tetto e il giardino intorno alla casa era trasandato e inselvatichito.

Si udì una voce di donna: “Chi diavolo è alla porta?” Antonio fu sorpreso nel sentire parlare italiano. Quando la porta si aprì vide una vecchina tutta curva farsi avanti tenendo in mano un bastone. Da quella sua posizione riuscì a lanciare un’occhiata fulminea ai presenti prima di esclamare: “Paulo! Che sorpresa! Chi è questo bel signore con te?” È italiano come te!” rispose Paulo emozionato. “Viene dal tuo paese! Anche lui è di……….” aggiunse ma fu interrotto da un grido di gioia della donna.

“Uuuuuuuuuhhh!” fece la vecchietta sorridendo con tutta l’espressione del viso. Antonio trasalì, quella donna anziana era la copia esatta di sua nonna Giulia e se non fosse stato per quella vegetazione lussureggiante intorno, ascoltando il suono di quella voce avrebbe giurato di essere al suo paese. Tutto divenne ancora una volta casa. Quando entrarono la sensazione aumentò ancora di più. A differenza della casa di Paulo, questa era arredata come la sua, i mobili erano quelli massicci e in legno scuro della gente della valle e sui muri erano appese foto di antenati molto simili a quelle che si potevano vedere nelle case del suo paese. Ma chi era quella donna? E cosa ci faceva laggiù? Rispose lei stessa e lo fece usando alcune frasi in dialetto che emozionarono moltissimo Antonio. Ormai nessuno al paese parlava più quella lingua ma lui se lo ricordava quando da bambino andava a trovare la nonna e rimaneva incantato da quella lingua misteriosa e un po' magica.

Giulia era la mamma di Paulo. Il papà Bepi erano anni che era scomparso ma quella donna era rimasta lì, aveva fatto da sola, allevato 4 figli e combattuto contro la solitudine e la nostalgia. Nonostante ciò, per qualche motivo incomprensibile, non aveva mai pensato di tornare in Italia, nel suo paese di origine. Il Brasile l’aveva accolta ed era diventato il suo paese. Ma che memoria aveva quella donna! Nonostante andasse per 92 anni, si ricordava perfettamente di ogni casa del paese ed era capace di descrivere nel dettaglio l’interno della chiesa e il forno dove una volta alla settimana veniva fatto il pane. Per non dire dei dintorni, comprese le cime, come il Cimon Grande, l’unico posto dove alla fine dell’estate si potevano trovare le stelle alpine. “Il mio Bepi me ne portava cesti interi…”

Attraversarono un piccolo soggiorno per giungere ad una veranda dove c’era una rudimentale cucina. Nonna Giulia, seppur malferma con sempre in mano il fido bastone, si prodigò in tutti i modi per far sentire a casa il visitatore straordinario e si mise a tirar fuori ciotole di cibo già cotto e altro cominciò a cucinare.

“Caro mio, ti voglio far sentire come a casa tua! Ma dimmi, tu non sarai mica il figlio di Guglielmo, mi sembri lui da giovane…”. Antonio non riuscì a credere a ciò che stava udendo. “Hai conosciuto mio padre?”. “Ma certamente, mai conosciuto un uomo più affascinante. Eravamo in molte al villaggio ad ammirarlo. Ogni scusa era buona per passare dalla falegnameria e cercare di scorgerlo, sempre così serio e laborioso…”

“Oh Gesù” esclamò Antonio visibilmente commosso. “Guarda!” disse Giulia e tirò fuori da un cassetto un mestolo di legno visibilmente usurato. “Questo lo fece tuo padre, per me, sessant’anni fa.” E fece il gesto di porgerglielo con solennità, quasi fosse una reliquia.” Ma lui già allora non aveva occhi che per tua madre...”.

“Scusate gentile Giulia, io sono venuto in Brasile per una scommessa, nessuno mi aveva detto che qui avrei trovato questo tesoro prezioso, intendo lei, ovviamente. Lei e tutti questi racconti di immenso valore. Io non ho mai conosciuto mio padre. L’anno in cui io nacqui fu l’anno della valanga…”.

“Oh, che terribile disgrazia.” disse la nonnina. “Me lo scrissero i parenti, sì, ricordo bene. Una vera tragedia… ma ora niente tristezze, dobbiamo celebrare questo momento di gioia, Paulo per favore prendi quella bottiglia di vino che ho conservato in cucina…”. Si sedettero a tavola. Le vetrate della veranda incorniciavano un’ampia porzione di giungla e un grande arcobaleno apparve proprio in quell’istante. “Venite, sediamoci a tavola, è tutto pronto.” disse nonna Giulia.

Mangiarono un arrosto di carne succulento con insalata fresca e una purea di patate rosse che ad Antonio ricordò ancora una volta la sua infanzia. Paulo sorrise per tutto tempo e solo a tratti intervenne nella conversazione che fu quasi tutti incentrata sui ricordi e sulla vita del villaggio. Poiché i due erano impegnati a parlare fitto fu Paulo alla fine quello che bevette di più e il vino, molto invecchiato, era di quelli forti, così ben presto la sua voce cominciò a farsi sentire fino al punto da imporsi su tutte le altre: “Mamma, ora lasciamo che Antonio si goda un po' di Brasile, sei d’accordo?” disse cercando nell’amico un po' di complicità. “Ma certo e poi non sarà mica questa l’ultima volta che viene a trovarci, vero Antonio?” rispose nonna Giulia aprendo un vasetto di uva sotto spirito. “Ecco, assaggia almeno una di queste prima di andare…”.

In realtà Paulo e Antonio lasciarono la casa solo dopo un’ora perché con tutte le migliori intenzioni l’occasione era troppo ghiotta per quella donna che poche volte nella sua vita aveva vissuto l’emozione di vedersi comparire a casa un suo compaesano.

Si salutarono calorosamente e Antonio dovette accettare una borsa piena di oggetti della memoria da conservare, alcuni semplicemente da riportare al paese o consegnare come una busta bianca dove Paulo sospettava ci fosse del denaro, probabilmente vecchie lire fuori corso ma andava bene così, sarebbe stato troppo complesso spiegare a Giulia cosa era successo in Europa negli ultimi anni.

Una volta saliti in macchina Paulo, visibilmente alticcio, propose ad Antonio un po' di relax e partirono in direzione della grande spiaggia di Grumari, che era secondo Paulo: “La spiaggia più bella di tutto il Brasile”. Antonio in compenso non aveva mai visto il mare in vita sua.

Giunsero a destinazione che era pomeriggio inoltrato e si era alzato un vento tiepido ma sostenuto. Il mare era piuttosto increspato e c’erano bambini schiamazzanti e felici che giocavano in mezzo alle onde.

Per Antonio il mare era una realtà misteriosa. Sdraiato sulla spiaggia, con indosso un costume a fiori di due taglie più grandi della sua, Antonio un po' guardava il mare e un po' osservava i suoi piedi pallidi dalle dita arrossate e sofferenti e pensava che probabilmente quella era la prima volta che li vedeva alla luce. Tutti sembravano avere piedi particolarmente belli in quel posto, gli uomini ma soprattutto le donne che giravano scalze e non parevano preoccuparsi neppure di coprire certe nudità. Una esibizione di seni sodi e abbronzati che Antonio non poté fare a meno di notare soprattutto per l’estrema naturalezza con cui venivano mostrati.

Sorseggiando il succo di un grosso frutto giallo e rosso non meglio identificato e rispondendo negativamente per l’ennesima volta all’invito di Paulo a raggiungerlo in acqua, Antonio si concentrò per alcuni minuti su quella visione di nudità femminile e per analogia ritornò col pensiero a casa, alla moglie Elvira e ai suoi pudici rituali serali, quando alla luce di una candela, lei si spogliava ma mai si mostrava veramente e comunque sempre in quella semioscurità. Quando il sole divenne una palla infuocata e ancora più frenetico divenne il movimento di persone sulla spiaggia Antonio, quasi per compensazione, spostò i pensieri alla parete absidale della chiesa del suo paese. Là, a riparo da occhi indiscreti, si ricordò di un antico affresco conosciuto da pochi. L’opera mostrava le nudità di Adamo ed Eva. Non c’era il mare ma la vegetazione era folta e selvatica come nel posto in cui si trovava e c’era abbondanza di frutta e anche un serpente. Forse anche don Michele aveva conosciuto il Brasile.

Si svegliò nella notte, il corpo mosso da forti brividi, le immagini vivide provenienti da un sogno che qualcosa aveva interrotto. Nel sogno una donna, sua madre, gli apriva la porta di casa e lo accoglieva. Intorno tutto freddo e neve, le cime intorno avvolte dalla bufera, poche finestre accese nella notte. “Ecco figlio mio, ora la porta è aperta” disse la madre che da vicino appariva molto più giovane e stranamente non sorrideva, non era gioiosa come Antonio la ricordava. Il sogno bruscamente interrotto lo lasciò sospeso, angosciato. C’era come il presagio di qualcosa di inafferrabile. Antonio restò immobile nel letto in attesa dell’alba quasi che il sole potesse salvarlo o quanto meno lenire un po' la sua angoscia. Dalla foresta giungeva intanto il suono corale degli animali che salutavano l’arrivo del sole. Quando Paulo entrò nella stanza in tarda mattinata lo trovò profondamente addormentato e pensò così di non disturbarlo.

Il pomeriggio fu quasi tutto dedicato ai preparativi per la partenza, Antonio accompagnò Paulo a comprare del legname per rifare il tetto di casa e fu apprezzato per la sua competenza nella scelta del miglior materiale nonostante in più di una occasione si fosse trovato di fronte ad essenze mai viste prima, legname dalla fibra così densa e dura che le sue seghe non sarebbero riuscite a scalfire. Fuori dal capannone Paulo sorprese l’amico facendo il gesto di fermare un taxi di passaggio. “Ho una sorpresa per te, oggi è l’ultimo giorno, dobbiamo festeggiare e divertirci un po'. Al tassista, una volta saliti a bordo, disse solo “Rocinha!” ma Antonio non aveva idea di cosa volesse dire. Dopo circa mezz’ora di viaggio la città cominciò a trasformarsi, le case coloniali con i giardini lasciarono il posto a edifici sempre più modesti e malandati. Alla curiosità di Antonio, Paulo rispose sorridente: “Finale con emozioni forti!”.

Il taxi si fermò in una viuzza che non era nemmeno più asfaltata. Paulo pagò e scese invitando l’amico a seguirlo tra baracche di lamiera e ricoveri di fortuna costruiti con i materiali più disparati. Mille occhi li seguivano dalle fessure buie, ogni tanto sbucavano fuori bambini e animali. Antonio vide anche alcuni ratti e ancora chiese a Paulo quali fossero le sue intenzioni ma lo vide così deciso e a suo agio in quel posto che decise di non dire più nulla per non ostacolare i piani dell’amico. Giunsero di fronte ad una baracca di legno dipinto di verde acceso con una tenda di tela sdrucita rossa a mo’ di porta. Paulo entrò come se fosse a casa sua. Se l’esterno appariva squallido l’interno pareva un girone infernale con materassi e mobili improvvisati ammassati alla rinfusa in locali fatiscenti dai quali proveniva un fetore ed una umidità insopportabili. Sul pavimento, in terra battuta, scorrazzavano galline e cani e bambini semi svestiti in lacrime. Ogni tanto, da dietro una tenda, appariva una donna che urlava qualcosa.

Attraverso quegli squarci Antonio riuscì a scorgere altri spazi, altre stanze, dove si muovevano uomini a torso nudo fumando, mentre altri restavano seduti davanti a tavoli ricoperti di lattine e bottiglie vuote e urlavano parole incomprensibili rivolgendosi alle ragazze presenti. C’erano molte ragazze, molto diverse da quelle viste in spiaggia, si capiva che là la vita era più dura. Finalmente giunsero in una specie di salottino, un divano sfondato ed un tappeto scolorito tentavano di dare un tono elegante all’ambiente. Davanti a loro apparve una donna, piccola di statura e con i capelli molto lunghi. Antonio non riuscì a togliere lo sguardo dalla sua bocca, resa ancora più vistosa dall’abuso di rossetto. La donna si chiamava Tereza e pareva una vecchia conoscenza di Paulo. Dopo averla abbracciata le presentò Antonio: “Es a primera vez que o meu amigo vem por aqui. Voce tem una garota especial pra ele?

La donna lanciò prima uno sguardo intenso ad Antonio e poi rivolgendosi a Paulo: “Claro. Esta a filha mais jovem, mas vai gastar uma nota”. E poi guardò ancora Antonio che nel frattempo cercava disperatamente di capire cosa stesse succedendo davanti a lui. “Voce sabe que o dineiro nao es problema para me…” rispose sghignazzando Paulo.

A quel punto successe l’imprevedibile, Paulo salutò Antonio e scomparve dietro ad una tenda e la donna dalla grande bocca prese Antonio sottobraccio e lo scortò pochi metri più in là fino in una piccola stanza dove Antonio vide un letto e un grande specchio in cui era riflessa l’immagine di una ragazzina in piedi, vestita solo con una canottiera e le mutande. La donna disse ancora qualcosa rivolgendosi alla ragazza e poi scomparve. Antonio, solo, in quella stanza misera e semibuia faticava ancora a capire perché si trovasse lì e soprattutto perché Paulo lo avesse abbandonato così. Quando cominciò a udire le risate di Paulo provenire dall’altra stanza e poi i gemiti di una donna e i colpi ritmici del letto contro il muro capì.

“Come ti chiami?” chiese prendendo coraggio a quattro mani. La ragazzina nel frattempo si era tolta la canottiera e si era avvicinata all’uomo. “Manuela” disse solo una volta con un sussurro. E Antonio vide le sue piccole mani armeggiare intorno ai suoi pantaloni e non poté evitare di guardare i piccoli seni acerbi e per un attimo pensare alla sua amata figlia in quel momento lontana migliaia di chilometri.

Cosa ci faceva lui in quel luogo fatiscente in compagnia di una donna-bambina? Era veramente quella la grande sorpresa preparata e promessa dal suo amico? Che cosa avrebbe detto Elvira nel vederlo in quel posto. E Don Michele? L’avrebbe mai perdonato?

Preso da mille pensieri quasi non si accorse che la giovane Manuela nel frattempo gli aveva slacciato i pantaloni e stringeva ora tra le mani il suo membro inerte. Ma la situazione precipitò un attimo dopo, quando dalla stanza a fianco giunse l’urlo di Paulo giunto all’acme del piacere e Antonio guardò quasi con sorpresa la sua eccitazione lasciando che la piccola Manuela lo prendesse per mano e lo portasse fino al letto e una volta distesa sul materasso lo invitasse a distendersi sopra di lei e a penetrarla. Fu un lampo accecante e doloroso che durò pochi secondi. Antonio appena tornò in sé si ritrasse sudato e pieno di vergogna e a fatica riuscì a incrociare lo sguardo della ragazza che non si era mossa dal letto e stava lì a guardarlo andar via, muta.

Lo fece prima di scostare la tenda e lasciare definitivamente quel posto: ciò che vide gli rimase impresso a lungo nella mente e per anni quella visione tornò ad alimentare i suoi incubi notturni.

Lasciò il Brasile molto triste, profondamente segnato da quell’esperienza. Al momento di salutare Paulo e i suoi famigliari ci fu un grande silenzio. I bambini, che evidentemente sentivano la tensione, tentarono in tutti i modi di allietare la partenza con i loro sorrisi e la loro vitalità.

Con Paulo della sera al “barrios” non parlò mai, già in taxi al ritorno verso casa, Antonio si mostrò distante e freddo. Desiderava solo andare via, si sentiva sporco dentro e non si dava pace.

Il viaggio fu ancora più lungo sfiancante dell’andata, la faccia e la schiena erano in fiamme, per tutto il tempo in cui restò seduto in aereo fu preso dall’ansia e dalla paura di doversi confrontare con la sua vita al villaggio. Invece le cose andarono diversamente.

A casa lo accolsero tutti affettuosamente ma senza particolare trasporto. I racconti mirabolanti di Antonio, le immagini della foresta, l’incontro con il mare, il calore del sole, tutto si ridimensionò e si ridusse a poca cosa a causa del disinteresse delle persone incontrate. Anche al bar fu lo stesso. Sembrava che la vita avesse ben altre priorità lassù e tra queste il taglio del fieno o il taglio del bosco – tema molto caro ad Antonio. Bisognava organizzarsi bene per l’autunno.

L’esperienza vissuta nel barrio di Rocinha cominciò a stemperarsi col tempo, Antonio decise di non parlarne con nessuno anche se non mancarono le notti in cui gli capitò di svegliarsi di soprassalto e di rimanere sveglio per ore preda dell’ansia. L’unica cosa che riusciva a calmarlo era andare nella camera della figlia e accarezzarle i capelli. Elisa andava ormai per 14 anni ed era una figlia devota.

Passarono gli anni e la vita di Antonio fu funestata da due terribili lutti: prima la figlia Elisa che un’estate scivolò su una roccia e fu trascinata via dalla corrente del fiume.

Poi fu la volta della moglie Elvira, già provata dalla morte dell’amata figlia. Durante l’inverno si ammalò e nonostante le cure, nel giro di pochi mesi morì.

Antonio rimase solo. E si chiuse in casa, cominciando a bere.

L’attività della falegnameria, un tempo fiorente, si interruppe e sempre più gente al villaggio cominciò a voltargli le spalle. In molti pensarono che la sua fine sarebbe stata prossima.

Don Michele invece decise di salvarlo. Lo stanò durante l’inverno con la scusa della benedizione delle case. Quando lo vide la prima volta lo trovò deperito e stanco, logorato dall’isolamento e dall’alcol. Ormai non lavorava più e da mesi non era mai più uscito di casa. La sua bella baita tutta in legno, un tempo il regno di Elvira, che la teneva pulitissima e ordinata, era ora sporca e piena di bottiglie vuote. C’erano giorni in cui Antonio non si spostava dal salottino dove passava le ore a bere e a giocare a freccette. Altre volte l’avevano visto sul ballatoio davanti a casa che guardava nel vuoto e continuava a farfugliare il nome di Manuela... Manuela…

Poiché nessuno in paese aveva quel nome, la gente pensò che Antonio fosse diventato matto.

Ma Don Michele non si scoraggiò e tornò numerose volte a trovarlo. Durante una di queste visite Antonio si liberò del suo segreto e raccontò di Manuela. Non fu una vera confessione né ci fu in quella occasione una qualche assoluzione ma Don Michele cercò lo stesso di guarire quella ferita e forse non fu un caso che si ricordò di alcuni suoi compagni di seminario che erano diventati missionari. Tra questi un certo Don Ezio, un sacerdote di quelli sempre “in trincea”, da sempre attivo in Paesi difficili. Quando riuscì ad avere sue notizie seppe che Don Ezio si trovava in Brasile e capì che la sua intuizione era stata giusta.

Ci vollero parecchi mesi per rimettere in forma Antonio, Don Michele gli commissionò il restauro di tutte le panche di castagno della chiesa e un po' alla volta riuscì anche a ridurre i dosaggi quotidiani di vino. Quando Antonio fu pronto Don Michele gli propose un viaggio di redenzione: tornare in Brasile e aiutare Don Ezio nelle favelas, in mezzo ai disperati. Antonio, seppure non pienamente in sé, si fidò dell’amico prete e accettò di partire. La notte prima della partenza tornò a sognare la madre, questa volta era estate ed era il crepuscolo, la madre stava sempre sull’uscio di casa illuminato da una luce abbagliante e questa volta gli sorrideva e lo invitava ad entrare. Fu forse a causa di quel sogno che quando partì si sentì per la prima volta in pace con se stesso.

L’impatto con il Brasile fu anche questa volta molto forte anche se meno violento del previsto. Lo colpì il profumo dei fiori e fu felice di ritrovare il sorriso della gente. Erano passati molti anni e ritrovandosi lì si accorse di quante cose avesse rimosso, quante immagini avesse cercato di mettere da parte nella memoria, forse per sopravvivere al tempo in cui era tornato a casa. Non mancarono pensieri per Paulo e la sua famiglia, ma non fu mai tentato di andare a trovarli, forse temeva di dover scoprire che erano già morti. Ora voleva conoscere la nuova realtà in cui si ritrovava proiettato, il famoso Don Ezio e il suo staff di collaboratori appassionati. Perciò non dubitò neppure un attimo di trovarsi nel posto giusto e si offrì subito di accompagnare i volontari nelle favelas per distribuire cibo e medicinali seguendo un grande progetto umanitario. Fu in occasione di una di quelle visite che udì di nuovo il nome “Rocinha” e nonostante fosse passato molto tempo sentì il cuore battere forte all’idea di ritornare in quei vicoli.

I pericoli laggiù non mancavano, per questo un agente armato li scortava tra le baracche. C’erano zone della favela assolutamente off-limits e tutti i collaboratori sapevano che lì non dovevano spingersi. Fatalità volle che un giorno Antonio si smarrì convinto di raggiungere gli altri entrando in un budello tra le baracche, invece camminò in direzione opposta senza accorgersi di trovarsi nella zona più malfamata. Fu inizialmente circondato da una moltitudine di bambini vocianti che per una ventina di metri lo scortarono lungo una stradina piena di pozzanghere e attraversata ripetutamente da gatti e galline. Giunto in uno spiazzo vide al centro una casetta di legno verde con una tenda rossa a proteggerne l’entrata e provò una strana sensazione. Poi ci fu un silenzio improvviso. Si voltò e al posto dei bambini, che parevano essersi volatilizzati, vide due giovani dall’aria malintenzionata.

Uno di loro aveva un bastone in mano mentre l’altro, apparentemente disarmato si stava avvicinando e prima ancora che Antonio potesse fare o dire qualsiasi cosa gli diede un pugno in faccia così forte da farlo ricadere lungo e disteso all’indietro.

Quando si rialzò se lo ritrovò vicino, tanto vicino che per un attimo notò una strana somiglianza, ebbe l’impressione di vedere se stesso. Per quanto sconcertante potesse risultare quella sensazione di familiarità, fu sufficiente ad emozionare Antonio al punto da fargli abbassare la guardia. Gli occhi di quell’uomo, prima benigni, si fecero improvvisamente minacciosi e Antonio sentì giungere la coltellata nell’addome e un dolore lancinante espandersi al basso ventre. E cadde con un gemito strozzato.

Steso per terra, con l’immagine sfocata delle persone intorno e un dolore lancinante all’addome, Antonio sentì che, nonostante tutto, quello che stava accadendo era perfetto. Vide un ragazzotto frugare nel suo portafoglio e non si oppose. Provò a chiedere aiuto ma la bocca traboccò di sangue. Si limitò allora a guardare intorno a sé il mondo che stava per lasciare. Solo una volta cercò ancora lo sguardo familiare di qualcuno tra i presenti. Quando vide che lei era lì, quando nonostante gli anni passati riconobbe quel volto, capì che era giunto il suo momento e smise di opporre resistenza.