Ma voi dovete considerarne solo il valore morale e conservarla con cura per essere mostrata a chi possa ricavarne un vantaggio spirituale. Per voi poi servirà a tenere viva l'anima mia le cui vibrazioni in essa si sono per così dire materializzate. […] bene quindi che non venga sparpagliata, ma che sia conservata come un tutto armonico, rispecchiante l'intero sviluppo d'una vita di pensiero – mentre riproduzioni sia di acqueforti che di xilografie od altro potete seguitare a farne per editare in modo decoroso perché possano contribuire all'Elevazione Spirituale dell'Umanità. (Dal testamento di Carlo Adolfo Schlatter)

Carlo Adolfo Schlatter, pittore, ebbe un desiderio e la sua bisnipote Alessandra l’ha esaudito. Spesso nell’universo si tratta solo di aspettare. Quando Schlatter morì, nel 1958, Alessandra non era ancora nata, è del ’64, ma un giorno, da bambina, incrociò lo sguardo penetrante del bisnonno che la osservava da un autoritratto: ne fu affascinata e tuttora le sembra che quegli occhi le chiedano qualcosa. Forse le chiedono di fare proprio quello sta facendo: curare l’opera dell’artista e farla conoscere affinché il pulviscolo dorato di una coerenza rara e di un credo teosofico incrollabile risplenda nell’atmosfera.

In sandali d’inverno, senza cappotto, con camicie alla russa e, si favoleggia, con un cordino attaccato ai calzettoni che teneva su gli indumenti, evitando cinture, bretelle e altri ammennicoli che lo costringessero, così Schlatter affrontava Firenze. Lo chiamavano il filosofo, s’intratteneva a parlare con molte persone. Andava tutte le mattine a salutare la tomba di suo padre, prima al Cimitero degli Inglesi, poi agli Allori, con una passeggiata lunghissima.

“Era proprio bizzarro, glielo presento - sorride con profondo affetto Alessandra e indica una tela appesa nell’ingresso della Casa Museo Schlatter in viale dei Mille a Firenze - Ecco un autoritratto dipinto a trent’anni, nel nostro giardino. Si nota dallo sfondo che il villino era in piena campagna”.

Uomo dall’aura poetica, Schlatter (Roma, 1873) veniva da una famiglia svizzera nota fin dal 1200, ed era figlio del console generale elvetico in Vaticano. Schlatter padre a Roma acquistò terreni, aprì una banca, ma la presa di Porta Pia e l’unificazione d’Italia rovesciarono la sua vita agiata in poche giornate di sommossa: espropriati gli appezzamenti, depredate le ricchezze.

“Siccome aveva un fratello a Firenze che possedeva un negozio di tessuti e aveva sposato la sorella di sua moglie, lo raggiunse. Storie romantiche di due fratelli omonimi, Luis Giorge e Giorge Luis Schlatter che sposano due sorelle…” racconta Alessandra. Le sorelle De la Morte, discendenti di banchieri che avevano prestato i soldi per costruire la prima ferrovia italiana, la Napoli-Portici e non fidandosi dei Borboni andavano tutte le settimane da Livorno, dove risiedevano, a Napoli per controllare i cantieri e pagare direttamente le maestranze. Con l’esperienza acquisita in Campania proposero al Granduca di Toscana di costruire la ferrovia che sarebbe stata detta Leopoldina: Leopoldo II acconsentì e li premiò con un titolo nobiliare.

Il console Schlatter fece causa allo stato italiano per tentare di essere risarcito, la perse e morì di crepacuore a 51 anni. Figlio di tanta sciagura, Carlo Adolfo, secondo la bisnipote “sviluppò una sensibilità particolare e cercando di dare un significato a quegli eventi capì che non si può affidare la propria realizzazione e la propria felicità ai beni materiali; riconoscendosi poi completamente nel pensiero teosofico. Profondamente contrario al commercio dell’arte, è per questo che noi abbiamo tutta la sua opera, e al fatto che la committenza potesse influire sulle scelte artistiche, intendeva la pittura come un manifesto per far arrivare il suo pensiero e la sua spiritualità. Essendo fuori dal mercato nessuno la conosce”.

Alla scomparsa di Schlatter, gli eredi si ritrovarono una quadreria e chiusero il tutto a chiave, non sapendo il da farsi, perciò quando Alessandra ci entrò da bambina il villino era abbastanza in declino, ma pareva che l’artista fosse uscito da pochi minuti: “Si sentiva la sua presenza e si sente ancora”. Schlatter non volle nemmeno il funerale, convinto della reincarnazione e comunque di sopravvivere nei suoi quadri. “Io continuerò a rimanere qui con voi” assicurava.

Siamo in ingresso, Alessandra. Oltre all’autoritratto di Carlo Schlatter è immortalato un simbolo di femminilità. Chi è?

Sua moglie Emma. Il quadro si chiama Nuova Eva e da piccola non capivo perché il bisnonno avesse fatto alla bisnonna la faccia rossa. Eppure dipingeva bene! La risposta è arrivata dagli storici dell’arte che hanno cominciato a studiare la sua opera circa dieci anni fa, quando ho iniziato a occuparmene, aprendo prima un bed & breakfast per finanziare la ristrutturazione, e donando poi i documenti del bisnonno al Gabinetto Viesseux la cui direttrice, coinvolgendo l’università per la catalogazione dell’opera, inserita nel circuito degli archivi italiani, ha dato la possibilità agli studiosi di accedere alla conoscenza dell’artista.

Le simbologie sono piano piano decifrate, è un’impresa quasi da detective. In Nuova Eva, il bisnonno rappresenta una donna che sì è conturbante, una seduttrice, però è anche pudica: arrossisce, si copre il seno e offre la mela che probabilmente è la promessa un frutto di famiglia, oltre che una tentazione.

Un amore eterno quello dei bisnonni?

A proposito della moglie, morta giovane, il bisnonno scrive: non è passato giorno che non mi sia sentito più unito a lei. Lei era figlia del generale di corpo d’armata Onorato Moni, la principale carica militare dell’esercito italiano, ed entrambe le famiglie erano contrarie al matrimonio di Emma e Carlo Adolfo. Per gli Schlatter pesavano i ricordi della disastrosa presa di Roma, d’altronde i Moni non avrebbero voluto mai affidare la figlia a un personaggio strampalato. Forse non ne coglievano il carisma. La ragazza minacciò di scappare dall’educandato del Poggio Imperiale e di sposarsi comunque, allora la famiglia acconsentì alle nozze, ma la abbandonò diseredandola e non la rivedrà mai più. Solo quando lei morì, il generale pentitosi donò una palazzina al figlioletto, cioè a mio nonno.

Al momento del matrimonio con Emma, il bisnonno si fece liquidare tutti i beni che gli spettavano, nonostante il tracollo la famiglia era facoltosa, e costruì il villino. Con i soldi ottenuti non era obbligato strettamente al lavoro per la sopravvivenza ma lei, abituata a un altro tenore di vita, si racconta che ogni tanto scendesse nell’atelier dicendo: “Adolfo oggi non c’è niente da mangiare…”.

Ci descrive le altre opere?

Questo è un quadro di cigni, ma ha il suo mistero, con quei cerchi nell’acqua. Il primo storico dell’arte che venne mi disse che i cerchi concentrici spesso rappresentati dagli artisti teosofi illustrano quello che Helena Blavatsky chiama il ciclo di necessità, cioè il bisogno dell’anima di purificarsi attraverso varie esistenze. Poi un gruppo di teosofi aggiunse che il bianco del piumaggio rappresenta la spiritualità. Inoltre il cigno è un animale monogamo e quindi pensai che potevano rappresentare le anime del mio bisnonno e della bisnonna. Con lo studio degli altri quadri abbiamo capito che è proprio così.

Lassù c’è un’altra opera molto bella: lui era un adoratore del mare e si trasferiva, tre o quattro mesi l’anno o anche di più, a Portovenere.

In tutti i quadri la luce è un po’ crepuscolare, all’ora del tramonto o dell’alba, e mi suggerisce il senso della sua malinconia.

Adesso siamo nel vasto soggiorno, la ex quadreria…

Questo lume l’ha fatto lui. Era di un signore che lo ha conosciuto, figlio di un pittore suo amico. Ora è anziano e abita a Milano, un giorno mi ha scritto: “Devo venire a darti una cosa che è tutta la vita che mi porto dietro: me l’ha regalata il tuo bisnonno”. Si presentò d’inverno, in maglione, spiegandomi di essere stato così impressionato dal signor Schlatter, da imitarlo tutta la vita, cioè non indossando il soprabito.

Sono infinitamente grata al mio bisnonno anche perché occupandomi di lui incontro persone fantastiche e posso parlare di quello che mi interessa, la bellezza, la spiritualità, e uscire da un mondo che a volte non mi rispecchia mentre qui ho trovato il posto ideale dove il mondo è un po’ più lontano. Quando ci venivo da ragazza Io la chiamavo La grotta, mi sentivo protetta. Dopo le rivelazioni sul significato dei cigni, ho chiesto a papà: “Ti ha mai detto nulla il nonno in proposito?”. “Sì, so che erano delle persone, ma non mi ricordo più”.

Papà è simile a Margherita Hack, con la quale ha giocato nell’infanzia: pragmatico. Laureato in chimica. Mentre il papà dell’Hack invece, come molti personaggi della Firenze teosofica, dissertava con il bisnonno di metempiscosi e reicarnazione.

Ha accennato che pure le cornici sono del bisnonno?

Ecclettico, sapeva fare tutto. Ha costruito questa casa insieme con un manovale, il tavolo di pietre dure l’ha fatto lui come le cornici dei quadri e le vetrate artistiche. Ammetteva di vendere solo ciò che era frutto dell’artigianalità delle sue mani, ma non dell’intelletto. Fondò anche una ditta di ferri battuti e depositò un brevetto sulle saldature del ferro che in pratica scompaiono.

Questo quadro?

Un altro dei miei preferiti, s’intitola Idillio e raffigura ancora i bisnonni. Il fiume è il Mugnone, al Ponte Rosso. In pochi decenni Firenze è completamente diversa. Comunque la si voglia vedere l’opera di Schlatter è una testimonianza. Una vita così faticosa, piena di contenuti, penso che la città dovrebbe riconoscergliela.

Quello è L’Isola dell’Amore, sua trasposizione dell’Isola dei Morti di Arnold Böcklin che conobbe alla Scuola libera del nudo dove l’artista svizzero insegnava.

Lassù c’è Contrasti o età della vita. Da una parte ci sono le rose, dall’altra le spine. Chiaramente sono le due fasi della vita: la giovinezza e la vecchiaia dove si rimane soli, con un animale, se va bene.

Penso che il bisnonno abbia sofferto tanto: la madre si risposò, dette alla luce un fratello, lui diventò un po’ il ‘figliastro’ e poi con il suo tipo di interiorità si è soli. Ha scritto più di ventisei libri, manoscritti e illustrati con incisioni su contenuti spirituali e teosofici, dalla non semplice interpretazione.

La sua pittura cambia nel tempo?

Andando avanti con gli anni si stacca da una pittura estetica, accademica e si rifà al gusto dell’epoca che tende alla semplificazione, alla Ottone Rosai, ma nel suo caso non è tanto una scelta di stile, piuttosto un voler arrivare al contenuto senza indulgere sul superfluo. Nel dipinto La processione si vede bene l’impostazione teosofica, infatti, secondo la teosofia le persone più suscettibili ad argomenti spirituali sono le donne e i bambini e qui sono raffigurati solo donne e bambini, attratti dalla spiritualità del corteo religioso mentre gli unici due uomini presenti sono figure segate a metà, senza volto: in uscita e in entrata nel quadro.

Sì, decisamente Carlo Schlatter ha trovato nella bisnipote Alessandra un’anima affine. Anche se non avesse letto le volontà del bisnonno si sarebbe comportata nello stesso modo: per lei la salvaguardia dell’opera di Schlatter coincide con la sua essenza di donna. “Papà ha disperso parecchi quadri regalandoli o affidandoli a delle gallerie, senza una catalogazione. Io invece fin da piccola mi sono sentita magicamente attratta da questi quadri, moralmente responsabile della loro incolumità e vorrei che, come amati figli, crescessero e si avviassero con le loro gambe per il mondo”.