Qualcuno obiettò che non era francese. Infatti miss Norman era nata e cresciuta ad Augusta in Georgia e faceva parte del coro della chiesa come succedeva a tanti bambini della comunità afroamericana. Non avrebbe mai accantonato gli spirituals, le radici. La sua voce era unica tanto che la facevano cantare pure da sola. Raccontava, divertita, che il pastore le diceva: “Canti talmente forte…”.

Non era francese, il soprano insostituibile Jessye Norman (1945-2019), ma Jack Lang, ministro della cultura di Francia nel 1989, due secoli dopo la Rivoluzione, obiettò alle obiezioni: per i festeggiamenti del bicentenario cercava qualcuno che cantasse La Marsigliese in Place de la Concorde, il giorno della Bastiglia, non come un inno nazionale, ma come un inno universale alla libertà. Sconfisse i dubbiosi e la spuntò. Lo stilista Azzedine Alaïa avvolse allora la Norman in un abito-bandiera tricolore e lei era statuaria, eterna.

“Chi se non Jessye avrebbe potuto cantare La Marsigliese? È stata il simbolo della lotta per la libertà” _ ha detto Lang al Metropolitan durante A Celebration of Jessye Norman, concerto in memoria dell’artista che il Met ha organizzato il 24 novembre. Lo ha fatto per pochi in passato il teatro newyorchese: Puccini, Caruso e Pavarotti fra questi.

La sorella minore di Jessye, Elaine Norman Sturkey, e il fratello James Howard, hanno parlato per primi, seguiti da Peter Gelb che guida il Met e Clive Gillinson, direttore artistico della Carnegie Hall, dalla scrittrice Gloria Steinhem, dall’attrice Anna Deavere Smith, da Darren Walker, presidente della Ford Foundation, e da Lang, appunto. Nessuno è stato paludato, nessuno ha approfittato dell’occasione per rilucere, nessuno è stato verboso. A tutti sembra impossibile un mondo senza Jessye. Gelb ha spiegato che nemmeno von Karajan l’aveva soggiogata. Walker l’ha dipinta paladina della Giustizia. Ma è stata Elaine, grazie alla naturalezza dei suoi modi, a portare il pubblico dai Norman, nel Sud degli Stati Uniti, quando Jessye ragazza telefonava la domenica dai teatri di ogni dove alla famiglia palpitante, per raccontare i successi. Si è definita “la baby” di casa, Elaine Norman, di rosso vestita, la dodicenne o giù di lì che vide andare via da Augusta la sorella e aspettava quelle chiamate. Poi, stemperando la commozione, ha ricordato i viaggi internazionali con Jessye ormai diventata una diva. Non era facile maneggiare The Jessye Norman suitcases, una sfilza di bagagli di Louis Vuitton che erano pesanti anche da vuoti e diventavano pietre una volta riempiti con l’armamentario del soprano: teiere, deumidificatori e altri attrezzi.

Riposti i set di valigie fra gli aneddoti spiritosi, Elaine si è calata nelle profondità del dolore e della nostalgia dicendo di essere sempre stata incantata da come la Norman usava il suo immenso dono: “Per Jessye la musica era un’espressione dell’anima. E le nostre anime erano vicine. Era mia sorella”.

A Celebration of Jessye Norman è durato circa un’ora e quaranta: hanno cantato i soprano J’Nai Bridges, Lise Davidsen, Renée Fleming, che dopo averci abituati a vestiti da sera sontuosi si è presentata con un abitino modesto, forse in segno di lutto, Leah Hawkins, Latonia Moore, il basso-baritono Eric Owens, il Metropolitan Opera Chorus e membri del Metropolitan Opera Porgy and Bess Ensemble diretti da Donald Palumbo; hanno suonato il pianoforte Mark Markham, Gerald Martin Moore, Damien Sneed, hanno danzato i ballerini del Dance Theater of Harlem e dell’Alvin Ailey American Dance Theater. Fra la musica e i discorsi, anche brevi filmati di interpretazioni memorabili con le quali la Norman conquistò il Met negli anni Ottanta e Novanta e quello di Amazing Grace per il tributo a un Sidney Poitier intenerito fino alle lacrime. Piangeva anche Bill Clinton, nella stessa occasione. Ma nemmeno un ex presidente degli Stati Uniti dall’aspetto civile, in epoca Trump, può fare figura al cospetto del magnifico attore.

Al ricevimento dato dalla famiglia Norman dopo il concerto, nel Mercedes T. Bass Grand Pier del Met, ognuno citava la sua Jessye preferita e i ruoli fioccavano: Isolde, Carmen, Didone, Leonore, Emilia Marty, Alceste, la Contessa Almaviva, Cassandra. Secondo alcuni gli ultimi quattro Lieder di Strauss non hanno mai avuto un’interprete più alta. Secondo altri era irresistibile la Jessye di Stormy Weather, Summertime, Les chemins de l’amour. Bisognerebbe risentirla tutta per scegliere. O non scegliere.

Il pianista americano Mark Markham che ha suonato con lei per vent’anni sostiene che la Jessye di Ariadne auf Naxos di Strauss era di una bravura irreale. Lui, che proprio come la star che ha accompagnato, ama essere preparatissimo ha definito quella del Met l’esibizione più difficile della sua carriera: onorare Jessye Norman essendo emozionato, circondato da altri artisti emozionati, in un teatro d’opera che non è fatto per il pianoforte. Con il soprano, Markham ha dato quasi trecento concerti in trenta paesi: “Sono stato molto fortunato a lavorare con un’anima bella, così piena di talento, devota all’arte. Non c’era divismo nelle sue performance ma musica, veramente musica e solo musica. La poesia scaturiva anche quando provavamo, si poteva toccare. Jessye era dotatissima, curiosa, molto esigente con se stessa e con gli altri. Aveva dovuto combattere come donna, e donna afro-americana, ma aveva trovato la sua strada. I giovani dovrebbero imparare da lei che cosa significa l’impegno”.

Concerti indimenticabili, in una vita indimenticabile?

Markham ne ha due stampati sul cuore: “A Vienna nel 2003. Fuori c’erano 42 gradi e il Musikverein era senza aria condizionata, morivamo di caldo eppure appena abbiamo cominciato ho capito che c’era un’energia diversa, una libertà nell’aria che ha preso entrambi. A Lipsia, sei settimane dopo la morte di suo fratello, suo fratello piccolo. Durante le prove Jessye piangeva e mi chiedevo come ce l’avrebbe fatta. Era così interiormente turbata e sofferente che non servì aggiungere il dramma dell’interpretazione. Tutto fu reale. Tante persone ancora se lo ricordano e mi mandano messaggi su quella notte. E io me lo ricordo: Jessye era travolgente”.