Il panettone, il Natale, il cinema. Una ricetta che in Italia ha portato alla nascita di un genere: il cinepanettone. Un’intuizione di decenni fa ma soprattutto un fenomeno che ha raccontato, e per certi versi rappresentato, uno spaccato dell'Italia. I cultori del cinema da anni cercano di dileggiare il genere, a volte con forza, a volte nascondendosi, come in un’operazione di cancel culture edulcorata.

Per giudicarlo, tuttavia, si deve mettere da parte per un momento il gusto personale e analizzare in maniera asettica cosa ha rappresentato il genere per il movimento cinematografico e non solo. Per gli attori, su tutti il duo De Sica-Boldi, ovviamente è stato un trionfo.

Così come per i registi (i fratelli Vanzina, Neri Parenti, Enrico Oldoini su tutti) e per le produzioni (Aurelio De Laurentiis docet). Ma, questione ben più seria e poco evidenziata, il successo del genere ha rappresentato un’epoca d’oro anche per tutte le maestranze. E questo, ora che la crisi del settore è fortissima, non è sottolineatura da poco. Ma facciamo un passo indietro.

Quando nasce il cinepanettone? Gli esperti tendono a far iniziare il genere negli anni Novanta, ma in realtà si potrebbe parlare di Cinepanettone già negli anni Ottanta con il primo Vacanze di Natale. Qualcuno identifica l’inizio addirittura con Sapore di mare. Ma come, un film ambientato sulla battigia identificato come un “cinepanettone”? Possibile. Forse anche probabile, perché il neologismo è stato creato negli anni Novanta (in senso più dispregiativo che altro), ma le trame, le strutture e gli attori sono comuni a tante altre tipologie di film usciti prima e dopo il primo Vacanze di Natale. Pensiamo, ad esempio, a Yuppies, Pompieri, ma anche Vacanze in America, SPQR, Body Guards.

Trame semplici e soprattutto vicine agli spettatori. Che facevano ridere, certo, ma anche in un certo senso rilassare. In un periodo in cui l’Italia cominciava a correre, a crescere e ad avere contatti con la tecnologia, il cinema rimaneva ancora un riferimento importante per emozionarsi e divertirsi, stemperando stress e tensioni di una fase che inevitabilmente stava portando l’Italia a contatto con una nuova era a cavallo tra i due millenni. Quindi, società, economia e cinematografia. Le tre direzioni attraverso le quali può completarsi un'analisi a tout court del fenomeno cinepanettone. Si è già parlato di quanto il genere abbia rappresentato un volano in quel momento per il settore cinematografico, ma non si è detto quanto quei film siano stati davvero “cult”. Gli sketch, i vestiti, le ambientazioni, ma anche le musiche.

Canzoni già note a livello mondiale e che, accompagnando le scene di questi film, entravano nelle case degli italiani e nell’immaginario italiano di quell’epoca velocemente e facilmente. Non si può certo equiparare per qualità il cinepanettone al neorealismo, al poliziesco o agli spaghetti western, ma non per questo è lecito sminuire il genere. A suo modo, indirettamente e fluidamente, il cinepanettone ha fotografato negli anni una parte significativa della società italiana. La Milano da bere, il meridionale sguaiato, la bella donna che faceva perdere la testa ai protagonisti, l’imprenditore che guidava le macchine di lusso e che racimolava solo debiti e disavventure. Cliché, macchiette, è vero. Ma, allo stesso tempo, non si può dire che fossero elementi campati in aria.

A parer mio, le accuse lanciate al cinepanettone negli anni sono state eccessive e pretenziose. Non che non ci fossero lati negativi, attenzione. Ma giudicare un genere solo da un punto di vista qualitativo (giudizio, per l’appunto, soggettivo) senza analizzare cosa ha rappresentato per milioni di italiani e per un settore intero è controproducente. Il confronto porta all’evoluzione, mentre affossare gratuitamente quanto fatto in passato non produce nuova ricchezza, tanto economica quanto culturale.

E non è un caso, infatti, che schiere di attori di successo siano state anche protagoniste del cinepanettone. E, ancora, dovrebbe far riflettere il fatto che anche attori internazionali come Leslie Nielsen, Luke Perry, Danny De Vito, Megan Gale, Cindy Crawford abbiano preso parte a queste pellicole.

Che piaccia o meno, il cinepanettone era appetibile, in Italia e all’estero. In un’epoca in cui il politically correct non era così forte e stringente, in un segmento temporale in cui non era scontato che gli italiani avessero possibilità di viaggiare all’estero. Farlo con la mente sedendosi davanti a uno schermo, invece, costava ben poco.

Attenzione, non si vuole con questa disamina ammazzare il politically correct. Ci sono oggettivamente situazioni e parole che fanno male e che non dovrebbero essere amplificate. Ma, allo stesso tempo, è anche vero che spesso il prendersi troppo sul serio senza un confronto reale sulle parole, sui contesti e sulle azioni, non porta a nulla di buono. I detrattori più accaniti accusano i cinepanettoni di aver creato quel trash che ora viviamo quotidianamente.

Io, personalmente, la ritengo un’accusa sproporzionata. In primis, perché gli attori protagonisti hanno dimostrato negli anni di avere anche doti filmiche (e, a parere mio, anche umane) che li posizionano in una prospettiva anche diversa rispetto a quella mostrata nelle pellicole del cinepanettone.

La maggior parte degli spettatori e dei protagonisti di questa nuova ondata di trash, poi, non era neanche nata nell’epoca di maggior successo di questo genere o, in ogni caso, non ne è pienamente figlia.

Penso, ad esempio, alle miriadi di figure nate sui social che inneggiano apertamente alla violenza (verbale e fisica), che spettacolarizzano il proprio corpo, spesso anche monetizzando (penso alle giovanissime ragazze che utilizzano i social per promuovere le proprie attività su OnlyFans). Penso, ancora, agli influencer sui social che utilizzano la propria posizione per operazioni che rasentano il cyberbullismo.

Quello che è cambiato, sostanzialmente, è il filtro. Se nell’epoca dei cinepanettoni l’unico strumento pervasivo di diffusione era il cinema, adesso i contenuti vengono fruiti su tantissime piattaforme e il filtro è praticamente nullo, così come il controllo. E, se nell’epoca dei cinepanettoni le alternative erano diverse (potevi scegliere di non andare al cinema o visualizzare altri generi), adesso, con la paurosa e spasmodica diffusione dei contenuti digitali a portata di palmo, è praticamente impossibile sfuggire al “trash”. Più che combatterlo, ora ci stiamo adeguando. Lo stiamo accettando, stiamo facendo in modo che diventi parte integrante delle nostre vite, ingurgitando reels dalla mattina alla sera. Un’ingestione tossica che colpisce tutte le fasce giovanili che con il telefonino ci vivono ogni secondo.

Il cinepanettone non è la genesi del trash. La mancanza di regolamentazione dei contenuti è la causa del trash. Il capovolgimento dei ruoli ha creato il mondo che ora vediamo attraverso lo schermo. Il trash, violento e mortifero, ha cominciato ad avere successo quando i produttori hanno deciso di smettere di proporre i contenuti ed hanno cominciato a dare alle persone quello che volevano, senza alcuna rimodulazione artistica. Il cinepanettone è stato un fenomeno e, come tutti i fenomeni, ha avuto una nascita, uno sviluppo, un’ascesa ed una caduta. Ma ha avuto anche una trasformazione.

Natale a tutti i costi con De Sica, Finocchiaro e le nuove interessanti leve come Colica e Woods, ad esempio, ha dimostrato ampiamente di poter rigenerarsi e proporre un'offerta diversa ma anche al passo con i tempi, seppur lontana dal livello originario.

Se una volta il protagonista era un traditore incallito, adesso è un uomo di mezza età che è alle prese con le vite dei figli che non hanno ancora un futuro, che sono sempre al verde, senza un lavoro fisso, spesso ancora a casa con i genitori in pensione o molto adulti.

E non è questa la realtà dell’Italia di oggi? Ecco, pensare che un film o un genere possa sostituirsi ai riferimenti sociali (famiglia, scuola, politica, ecc.) e condizionare un’intera società è come nascondere la testa sotto la sabbia senza affrontare realmente i problemi. Il cinepanettone non piace a tutti, non è arte ma ha fatto ridere, sognare e sorridere milioni di italiani, portando linfa al cinema dentro e fuori l’Italia. Solo per questo meriterebbe rispetto, pur se non lo si vuole apprezzare.

Io, personalmente, lo analizzo senza alcuna esperienza di critica cinematografica, conscio di poter essere criticato. Ma mi sento di giudicarlo come lo potrebbe fare un giornalista generalista che ama andare oltre e guardare a quello che raccontano le strade. Con un po’ di nostalgia per il passato. Ma anche con un po’ di paura per quel che ora ci aspetta.