Nella riflessione sull’immaginario del femminile dal medioevo all’epoca moderna, il tema della stregoneria si illumina di suggestioni inaspettate se messo a confronto con il motivo parallelo della santità. In un’apparente contraddizione di termini e contenuti, la storia ha dispiegato sincronicamente la grande stagione delle streghe e l’imporsi di straordinarie donne carismatiche del cristianesimo, contrapponendole in un dialogo quasi speculare. Ma esiste un orizzonte, simbolico e storico, sulla linea del quale le figure della strega e della santa hanno potuto incontrarsi?

La strega è stata definita una santa di segno diverso, e proprio nel gioco delle polarità contrapposte è possibile riconoscere la traccia che accomuna le due definizioni e che riporta a un’originaria funzione sacerdotale. Stregoneria e santità attingevano a uno stesso primitivo bacino culturale, nel quale magia e religione fornivano un codice di accesso condiviso alla comprensione del mondo. Soltanto in seguito, con l’approfondirsi di una visione dualistica, le donne furono chiamate a compiere una precisa scelta di campo: essere spose di Cristo o adultere, venire inglobate nel sistema oppure perseguitate. Ed è nella solennità di una consacrazione conferita che la vicenda delle sante si sarebbe differenziata da quella delle curatrici di campagna, accusate di eresia o di stregoneria proprio per aver “profanato”, ovvero desacralizzato, il sapere, coltivandolo al di fuori dello spazio controllato del templum.

La santità femminile non è un’invenzione della cultura cristiana tout court; raccontarla nella sua genesi non può prescindere dalla sfida di accettare un fecondo confronto dialettico con le radici culturali e religiose precedenti. Non diversamente dalla strega, il modello cristiano della santa emerge da stratificazioni mitologiche che invitano a percorrere a ritroso i secoli fino a rintracciare radici pagane, mediterranee ed elleniche. In questo orizzonte, è possibile intravedere l’essenza di quel binomio antico di cui la strega non è che il risvolto oscuro e oscurato dalla storia. Ed è interessante constatare come i testi delle biografie delle prime martiri cristiane, perseguitate per vilipendio della religione romana, presentino episodi, modalità di tortura e condanne del tutto sovrapponibili a quelle subite dalle streghe nei processi dell’Inquisizione.

Gli atti delle canonizzazioni, se messi a confronto con i verbali dei processi inquisitori, presentano in alcuni casi sorprendenti corrispondenze. Sante e streghe condividevano un orizzonte culturale e religioso comune dal quale avevano assorbito principi e mitologie, credenze e superstizioni, riti e sacramenti. La santa sublimava la propria fede nel martirio, la strega pagava col supplizio la sua fede rinnegata; l’una era in grado di esibire sul corpo il privilegio delle stimmate, l’altra portava il marchio infamante del demonio. Entrambe sperimentavano forme di nevrosi che sfociavano in esperienze di estasi e visioni, ma di segno contrapposto. L’“entusiasmo” divino presentava nelle sante una fenomenologia psicofisica non dissimile dalle forme di presunta possessione diabolica: apparizioni, sensazione di leggerezza, percezioni di unione mistica. E le esperienze estatiche provocavano in entrambe uno straniamento dalla realtà e impressioni di distacco corporeo, simili a viaggi astrali o “voli”. La tematica del volo, infatti, pur rimanendo più iconicamente legata all’immaginario stregonesco, si riscontra effettivamente anche nei racconti delle estasi delle sante, descritte talora come stati di levitazione.

Anche in sede giuridica le sante dovevano sottostare a un esame attento e rigoroso: miracoli e incantesimi diventavano la certificazione che categorizzava la donna esaminata fra le schiere di Eva o fra quelle di Maria, naturalmente sotto la giurisdizione di esaminatori uomini, che fossero teologi o inquisitori. Perché naturalmente spettò sempre a uomini il compito di distinguere un rapimento mistico da una possessione diabolica, di stabilire quale fosse santa e quale strega. Eppure, lo sguardo dell’uomo del medioevo non sempre ha saputo distinguere con nettezza quel fragile discrimine: nell’ambivalenza creata dai reciproci contagi culturali, per lungo tempo la Chiesa ha dimostrato di non possedere strumenti sempre adeguati a discernere ortodossia ed eresia, carisma e mistificazione. Lo dimostrano le vicende, anche celeberrime, di sante che furono tenute sotto osservazione dall’Inquisizione, come Caterina da Siena, Teresa d’Avila o Orsola Giuliani, per non parlare del caso esemplare di Giovanna d’Arco.

Nel riferimento a Eva e Maria, la peccatrice e la salvatrice, grandi interpreti dell’ambigua elaborazione cristiana del femminile, si traduce la dualità dell’archetipo strega/santa. Eva che ha ceduto alle lusinghe del serpente, Maria che è riuscita a dominarlo schiacciandolo sotto il tallone. La scissione è irrimediabile, ma si risolve infine in un’integrazione: la salvatrice redime la peccatrice. E in fondo, santità e stregoneria da sempre stanno negli occhi di chi osserva.