Qualche anno fa vengo convocato a scuola in ufficio dal Preside. Quando arrivo, nei corridoi incontro la mia ex-compagna. Non so che cosa vogliano. Per telefono la segretaria è stata alquanto evasiva. Ricordo solo che per essere a quell’appuntamento ho dovuto prendere un giorno di permesso sul lavoro. Mia figlia, all’ultimo anno al Classico, non aveva problemi. Nell’ufficio del Preside vengo informato del motivo della convocazione. Ci viene mostrato il diario di Cristina. Nel diario c’è una giustificazione che mia figlia si è scritta da sola. Lo può fare, avendo da poco compiuto i diciotto anni. Quando leggo la giustificazione, non posso credere ai miei occhi.

“Vedete – intona il Preside che per l’occasione deve essersi preparato il discorso – in tanti anni di attività ho letto giustificazioni di ogni genere. Una volta mi capitò che una madre scrivesse nella giustificazione che la figlia non aveva potuto partecipare alle lezioni a causa dello shock subito per l’eliminazione del suo beniamino da Amici. Un’altra volta un papà scrisse nella giustificazione che la figlia era stata a casa per una “banale tonsillite curata dal Dr. House”. Voleva dire che la figlia era rimasta a casa per seguire la serie televisiva. Una volta una madre mi scrisse che il figlio era rimasto a casa da scuola per l’insorgere di una depressione dovuta all’ormai ex-fidanzata e un’altra volta ancora un padre giustificò l’assenza della figlia a causa di una caccia alla volpe. Sorvolo sulle morti di nonne, zii e parenti vari, anche se la presente giustificazione ha a che vedere proprio con questo. Bisogna però dire che i genitori che scrivevano queste giustificazioni erano dei bontemponi e dei superficiali. Il genere di genitori che fanno parte di un sottoinsieme di quei genitori che percuotono il professore colpevole di aver dato un brutto voto ai loro piccirilli. C’è scarso rispetto per l’istituzione scolastica oggi giorno. Ecco perché molti giovani finite le scuole si trovano un lavoro in qualche fabbrica e non investono più sull’istruzione. L’istruzione è una truffa. Gli insegnanti criminali. Meglio fare una vita da cani in fabbrica salariati piuttosto che venire giudicati da un professore pagando la retta scolastica e sostenendo le spese dei libri di testo. Per avere cosa, se tanto poi i posti di lavoro sono occupati da figli del privilegio? In fondo, lo capisco. Anche se lo trovo orribile. Avere dei sogni è importante. Rinunciare ai sogni all’età di diciotto anni per mille e due, mille e trecento euro lordi al mese è… be’, lo trovo triste”.

Pausa.

Né la madre di mia figlia né io accenniamo a una reazione. Il Preside indossa un completo giacca e cravatta. Sotto la luce proveniente dalla finestra dell’ufficio la giacca è così splendente da ricordarmi le cromature della carrozzeria di una Mercedes grigio metallizzato. La camicia bianca inamidata è quasi abbacinante. Le strisce di bianco sui capelli grigi del Preside sembrano cordonature stradali. Il Preside ha un look impeccabile. Le grinze dell’età sul volto rubizzo sembrano festonature, sembrano frutto di un maquillage. Susanna e io al cospetto del Preside ci sentiamo sporchi, malmessi. Anche l’ufficio rispecchia l’ordine della persona del Preside. Il sole che inonda la finestra dell’ufficio non illumina in controluce nemmeno un granello di polvere. Tutto è pulitissimo. I libri impilati in un angolo della scrivania. Nemmeno la costa di un libro sugli scaffali della libreria alle spalle del Preside è di sbieco. La poltrona di pelle dietro la scrivania (il Preside è in piedi, mentre parla, sovrastandoci) sembra essere appena stata lucidata con lucido da scarpe.

Il Preside prende il diario con una mano e lo avvicina al viso. Alza gli occhiali dalla montatura leggera di metallo, quasi invisibili, riduce gli occhi a due fessure sottilissime e dice: “Qui però vostra figlia Cristina sembra fare molto sul serio. Molto, molto sul serio. Il tono della giustificazione è serio. Non c’è traccia di sfottò o ironia. Sia la Professoressa di Italiano che io l’abbiamo esaminata e letta ad alta voce in varie intonazioni e ci pare proprio impossibile che si possa equivocare. “L’alunna Cristina Mazzino è stata a casa per lutto a causa della morte di suo papà” – legge il Preside.

A me arriva una staffilata diritto al cuore.

Il Preside appoggia il diario sulla scrivania e si siede. Ci guarda con aria affranta.

“Insomma, che succede? Perché un’alunna modello come Cristina ha scritto una cosa simile?”