Ho quattrocentottantamila euro in contanti davanti a me, li ho messi sul letto per vederli bene, dopo averli contati uno per uno per l’ennesima volta, ancora stento a credere ai miei occhi. Mai in tutta la mia vita avrei immaginato di poter disporre di una cifra simile. Devo tutto al mio incontro con Vito, un ragazzetto borioso che un mese fa circa vidi per la prima volta fuori dal un chiosco di kebab aperto da poco sotto casa mia. Era bastata un’occhiata per capire che avevamo da dirci, noi due. Mi pareva un puledro Vito, di quelli bradi che si vedono in Maremma o in certe zone remote della Sardegna, scalpitante, nevrile, maldisposto rispetto ad ogni tentativo di doma. Parlava con un gruppo di suoi coetanei, tutti maschi, mangiava voracemente il suo panino tra una battuta e l’altra, distratto da tutto, apparentemente curioso di tutto.

Ci incontrammo davanti alla cassa per pagare ma lui non aveva i soldi così mi venne naturale farlo io, lui mi fulminò e poi con fare sprezzante mi disse tieniti i tuoi soldi vecchio succhia cazzi, conosco quelli come te, iniziano facendoti un regalo e poi alla prima occasione allungano le mani. Stupito ma anche divertito da quella risposta così teatrale, mi ritrassi senza dire niente e tornai a sedermi di fronte a lui per godermi la scena. La trattativa per quel debito fu breve, non riuscii a capire esattamente quello che si dissero lui e il gestore turco, poi vidi un via vai di ragazzi e il gruppo in un attimo si dileguò. Prima di quell’ultima scena incrociai per caso lo sguardo dell’uomo al banco e non riuscii a trattenere un sorriso e non so come Vito captò da lontano quella mia espressione di ilarità e tornato sui suoi passi si piazzò davanti a me con aria di sfida, affrontandomi minaccioso. Che cazzo c’è da ridere? I cazzi tuoi proprio non riesci a farli… eh?

Il giorno successivo mi ripresentai dal kebabbaro con l’intenzione chiara di rivederlo e tutto sembrava uguale, lui era là con la sua banda e capitò di guardarsi un po' in cagnesco ma solo per un attimo, poi riuscimmo a perderci di vista fino a quando destino volle che al momento di pagare ci ritrovammo di nuovo insieme davanti alla cassa e quella volta fui io a scoprire di essere senza soldi e di fronte ai miei tentennamenti Vito si fece avanti e senza perdere altro tempo fece il gesto di voler pagare aggiungendo un sonoro … sto vecchio frocio pure rimbambito sta. Per quanto assurdo possa sembrare ricordo quello come l’attimo in cui la scintilla della nostra amicizia scoccò. Il mio istinto anche questa volta non mi aveva ingannato.

Seguirono giorni durante i quali ci incrociammo varie volte in giro nel quartiere dove avevo casa, soprattutto al chiosco, tant’è che Vito vedendomi seduto al tavolo un giorno non resistette dal provocarmi con una delle sue battute... e parlando ad alta voce in modo che tutti potessero sentirlo disse: ma il vecchio due spaghetti mangiati a casa mai? Poi, di fronte alla mia espressione stupita aggiungeva un sorriso.

A causa di un fastidioso raffreddore non uscii di casa per due giorni, quando tornai al chiosco il turco mi disse che Vito aveva chiesto di me. Lo rividi il pomeriggio successivo, trafficava intorno a uno scooter in compagnia della sua banda di amici. Mi salutò senza una parola, solo strizzandomi un occhio. Notai che aveva la mano destra fasciata ma preferii non fare domande. Consumai il mio pasto e rimasi a lungo seduto al tavolo a scrivere – ormai quel posto era diventato il mio secondo ufficio – e con mia grande sorpresa fu Vito a cercarmi e questa volta era solo e pareva senza la sua solita boria.

—Posso sedermi?

— mi disse e senza aspettare la mia risposta prese posto e con una strana espressione timida cercò subito di tessere una conversazione.

— Tu mi piaci perché non abbassi lo sguardo quando ti parlo, sembri l’unico a non avere soggezione di me, non capisco come mai succede, ma succede, lo devo riconoscere, anzi, se vuoi saperla tutta, mi fare pure incazzare, no non ridere altrimenti mi alzo e me ne vado, hai capito?

—Sì, ho capito. Ma rilassati. Ti faccio una proposta, perché non vieni a casa mia a mangiare uno di questi giorni così ci facciamo una bella chiacchierata?

—Io per venire ci vengo, non ho problemi, anche se non capisco di cosa dobbiamo parlare. In ogni caso ti avverto già da ora, provaci e sei morto.

—Ma no dai, non credi che se proprio avessi voluto provarci a quest’ora te ne saresti accorto? Per me dire facciamoci una chiacchierata significa semplicemente che mi farebbe piacere conoscerti ma anche mostrarti la mia casa e come vivo, diventare amici insomma.

—Boh, sì, cosa vuoi che ti dica, va bene.... però anche tu allora ti fai un giro dalle mie parti, ok? Però prima devo chiedere perché io vivo con altra gente e uno della tua età non si è mai visto nella nostra casa, non vorrei che vedendoti pensassero a uno sbirro... sai com’è non siamo sempre puliti, un po' di roba gira sempre.

—Verrò con piacere. Allora come facciamo? Chi inizia? Vengo io? Vieni tu?

—Dai vengo io, ma prima ci beviamo una birra. Scusa la curiosità ma tu che lavoro fai che sei sempre in giro, più che altro seduto in questo posto del cazzo.

—Sono un ricercatore.

—Mbè, ricercatore di che?

—Ricercatore di connessioni tra le persone, esploratore delle reti umane.

—E sarebbe un lavoro? A me sembra una stronzata che ti sei inventato al momento.

—E tu invece? Cosa fai, studi ancora?

—Ma che studi e studi, la scuola non fa per me... per fortuna che ne sono uscito in tempo, in realtà mi hanno mandato via loro perché avevo massacrato di botte un insegnante ma lui mi aveva provocato, sì, meglio così. Cosa faccio io ora? Spaccio, cos’altro mi resta da fare.

—Ma un lavoro più tranquillo non ti piacerebbe?

—E quale sarebbe? Magari studiare anni e poi finire a fare l’insegnante sfigato che con il suo stipendio al massimo si può permettere una Twingo, no, no, mille volte meglio spacciare. A volte mi capita anche di fare qualche extra sai? Un colpaccio come quello di settimana scorsa che in un giorno ho zanzato dieci smartphone, tutti di ultima generazione. Non ho avuto alcuna difficoltà nel piazzarli e con i soldi ieri mi sono fatto lo scooterone, hai visto il mio nuovo scooter? Sì? Troppo figo. Ma ora lo rivendo. Le cose mi annoiano quasi subito. Che debbo fare? Sono fatto così.

—Ho capito. Senti, ti aspetto domani in tarda mattinata, abito in una villetta in fondo a questa strada, al 46, troverai il numero sul cancello, non puoi sbagliare.

—Ma come, non ti impressiona sapere che rubo e spaccio? Di solito le persone scuotono la testa o cercano di allontanarsi quando racconto della mia vita, mentre tu… tu... non ti smentisci, sei proprio un tipo strano... non ho ancora capito se sei un figo o sei uno stronzo come tutti gli altri.

(il giorno seguente)

—Ah Vito, buongiorno! E benvenuto. Che piacere vederti, vieni dentro che questa mattina fa freschino.

—Scusa il ritardo ma ieri sera abbiamo fatto tardi e…

—Non c’è problema. Ho approfittato per mettere a posto la casa.

—Ah però, mica male la tana del vecchio! Tv con schermo gigante, casse Bose, ci trattiamo bene eh?

—Mi piace il calcio. E le partite, quando ci sono, me le voglio godere. Soprattutto quando gioca l’Inter.

—Ahi! Sono qui da cinque minuti e già mi vuoi deludere. Ti facevo più intelligente. Pensare che proprio stamattina parlavo di te alla mia ragazza dicendole che sei un simpatico testone e ora ho la conferma che sei scarso. Inter no, dai. Ahhh, guarda guarda, c’è anche un giardino. Vuoi vedere che il vecchio ha pure la piscina e…

(verso di cane che abbaia)

—Oddio c’è un cane.

—Sì, è Ben, il mio Labrador.

—Non so cosa vuol dire Labrador ma ti chiedo di tenerlo. Proprio due giorni fa sono stato aggredito da un cagnaccio che voleva pranzare con la mia mano e non è il primo. Coi cani non ho mai avuto un buon rapporto.

—Non preoccuparti, Ben non farebbe male a una mosca, ecco ora facciamo le presentazioni.

—Oh ma allora non hai capito, io ho paura dei cani.

—Ma Ben... vieni qui... lui è Vito... ecco lui è Ben… sì, puoi carezzarlo. Ben ama essere accarezzato. Lo vedi? Scodinzola. Gli piaci. Siete già amici.

—Sì, però tu tienilo sempre dal collare, coi cani non si sa mai.

—Dai, andiamo in giardino che ti faccio vedere le ultime novità. L’albero di albicocche quest’anno promette un grande raccolto.

—Mica male qui dietro, non arriva il rumore della strada. Ma tu vivi solo qui? Una moglie non ce l’hai?

—No.

—Lo immaginavo. Si vede che sei uno sfigato, chi vorrebbe stare con uno come te.

—Si capisce veramente?

—Beh sì, basta guardare come ti vesti, abbinamenti assurdi, maglie di marche sconosciute, a volte anche pataccati, con resti di cibo. E poi interista, chi ti vuole a te? E poi, lavori? Cos’è che mi hai detto l’altro giorno? Ricercatore di reti…

—Sono in pensione già da qualche anno. Prima ero insegnante, ho insegnato lettere per vent’anni.

—Un insegnante? Dai allora ho capito.

—Hai capito ma mi lasci finire, ti stavo dicendo che sono stato un insegnante ma ora non lavoro più. Ora sono felice perché ho molto più tempo, posso dedicarmi alle mie passioni.

—Che sarebbero?

—Beh, prima di tutto il giardino, hai visto tutta la parte in fondo quando arriva la stagione estiva diventa un grande orto… e poi la meditazione.

—Che sarebbe?

—La meditazione? È una pratica di introspezione quotidiana. Si resta in silenzio davanti a un muro e…

—Ah ho capito. Anch’io l’ho provata. Quando ci portano alla stazione di polizia, prima di interrogarci, ci chiedono di fare la stessa cosa, e non è facile stare immobili.

—Qualcosa di simile, sì.

—Ma il tuo cane continua a starmi addosso, cos’ha da annusare in continuazione?

—È il suo modo di dire mi sei simpatico.

—Puoi chiamarlo? Mi ha sbavato il pantalone nuovo.

—Ben, su, vieni. Entriamo in casa.

—Ma lui può entrare in casa?

—Beh sì, vive con me.

—Credevo che i cani dovessero stare sempre fuori, così mi diceva sempre zio Antonio che faceva il contadino giù al paese di mio padre.

—No no, Ben di notte sta dentro. Ma ora vieni che ti faccio vedere il resto della casa. Ah, oggi per pranzo ti ho preparato un buonissimo Kebab.

—Che stronzo, mi prendi in giro?

(a quel punto si sento una voce stridula ripetere Che stronzo!)

—Ehi! Che fai ora, il pappagallo?

—Ha ha! Questo è Nino, la mia cornacchia. Nino! Guarda chi c’è.

Guarda chi c'è ( ripete la cornacchia) Guarda chi c'è

—Miii, ci mancava pure un uccello, questa non è una casa ma uno zoo.

Questa non è una casa

—Ehi, guarda che di cornacchie come te ne ho tirate giù parecchie con la carabina quando ero un bambino.
Bambino

—Ok, ho capito, ora copro la gabbia con questo telo, così non ti perseguita. Ma fa così con tutti quelli che vengono in casa la prima volta.

Bambino! Guarda chi c'è! Bambino

—Uff! Che stress tutti ste bestiacce intorno, io non potrei mai.

Non potrei mai. Non potrei mai.

—Dai Ninetto, adesso basta, chiudi quel becco per un attimo. Vuoi bere qualcosa?

—Hai del gin?

—Ma sono le 11 del mattino.

—Cosa c’è da dire? Ognuno ha le sue abitudini. E poi ho intravisto il cesto con gli alcolici, ben fornito direi.

—Ok, dopo gradisci due spaghetti al sugo?

—Ma si dai.

—Bene, allora mentre ti guardi in giro io metto su l’acqua.

—E questo qua sul muro chi è?

—Questo è il Che, è stato un famoso rivoluzionario del centro America ma l’hanno ammazzato.

—Dava fastidio?

—Sì, si potrebbe dire di così. Ma è una lunga storia. Ecco il tuo gin. Vuoi anche della tonica?

—No, no, liscio va bene. E il signore in questa foto? Sei tu da giovane?

—No, quello è mio fratello Franco. Ma non c’è più. Purtroppo è morto.

—Dava fastidio anche lui?

—Oh no. Lui si è suicidato. La realtà del mondo intorno gli era divenuta insopportabile, per lungo tempo ha assunto droghe, poi un giorno l’hanno trovato appeso a quella trave che vedi laggiù.

—Ohi. Come mai stava qua? Vivevate insieme?

—Sì, non era in grado di vivere da solo.

—Lo capisco. Anch’io non riuscirei a vivere da solo.

—Vivi con la tua ragazza?

—Per carità, lasciamo stare questo argomento. Vivo con degli amici. Abbiamo occupato una casa che per lungo tempo è rimasta sfitta. D’inverno si gela ma negli altri mesi è ok. Il proprietario ci lascia usare l’acqua a patto che non gli bruciamo i mobili nel camino. A proposito, domani sera facciamo una festa, se a mezzanotte non sei già a letto addormentato potresti farti un giro e venire a trovarci.

—A mezzanotte? Ma non è un po' tardino per iniziare una festa?

—È normale. Prima di quell’ora non c’è nessuno in giro.

—Capisco. Comunque sì, penso che passerò per un saluto.

—Sei curioso eh?

—Sì, lo ammetto. Piuttosto dimmi, devo portare qualcosa?

—Se avessi una bottiglia di questo gin non mi dispiacerebbe. È buono il tuo gin. Lo sapevo, il vecchio si tratta bene.

—Butto la pasta?

—Sì, ho fame. Non ho mai mangiato con un interista. Tira le tende della finestra, non vorrei mai che i miei amici mi vedessero.

—Vogliamo parlare del rigore che ci avete rubato nel derby dello scorso anno?

—Uhhh, aggressivo!

—Tolgo il telo dalla gabbia?

—No! Se lo fai me ne vado.

—Sto scherzando. Dai, vieni in cucina, mangiamo qualcosa. Ma dopo vorrei mostrarti dei libri che forse potrebbero piacerti.

—Libri? Ma con chi pensi di avere a che fare? Io non ho letto un libro in vita mia, non ho tempo per quelle cose là.

(giorno seguente, alla sera)

—Hei! Ma allora è vero, hai mantenuto la promessa! Grande!

(musica rap assordante)

—Scusa non ho capito l’ultima parola.

—Ti ho detto bravo che sei venuto, vieni che ti presento agli amici.

—Ma questo che posto è? Mi avevi detto che era una casa.

—Beh, diciamo che un tempo qui c’era un laboratorio, una stamperia e sopra ci abitava il proprietario. Poi per lungo tempo è stato sfitto e così noi ce lo siamo preso. Vuoi una birra? Guarda fai tu, vai in bagno, dietro la porta troverai una vasca, l’abbiamo riempita di ghiaccio e birre. Non credo che riusciremo a finirle tutte (ride). Ma che giubbotto ti sei messo, stasera sembri molto più giovane.

—Mah, è un vecchio giubbotto che ho trovato anni fa in un cinema.

—Ti piaceva e te lo sei zanzato. Ha ha, dì la verità, il vecchio ha i suoi vizietti nascosti, dai vieni con me.

—Quanta gente! C’è la banda al completo questa sera o sbaglio?

—Non siamo tutti ma un po' di gente c’è.

In quel momento si avvicinano a Vito due o tre ragazzi con l’aria sospettosa e lo prendono in disparte per dirgli qualcosa, poi Vito torna da me.

—I miei amici hanno pensato fossi uno sbirro, sai qui i vecchi di solito non vengono.

—Capisco, capisco. Ma ci sono ancora moltissimi arredi del vecchio laboratorio. Che belle quelle cassettiere, è sempre stato il mio sogno avere un mobile così per archiviare carte e foto.

—Noi li stiamo smaltendo un po' alla volta, è ottima legna da ardere, sai qui in inverno si gela e ci si deve arrangiare.

—Dimmi un po' e laggiù in quella camera cosa c’è? Ho notato un via vai di gente.

—Là c’è la Matti, è una ragazza conosciuta da tutti qui del quartiere, stasera l’abbiamo bombata ben bene così chi vuole se la può scopare, anzi direi di approfittarne. Puoi anche fare dei mini video mentre qualcun altro se la ingroppa e poi li puoi far girare. Li pagano bene, sai?

—Non è esattamente il genere di cose che faccio alle feste. Dicevi delle birre, ho bisogno di bere qualcosa.

—Vieni con me, prima che mi dimentichi volevo chiederti se mi potresti fare una cortesia, ho due pacchetti da consegnare e non ho tempo, mi chiedevo se tu che non fai un cazzo tutto il giorno potresti portarli per me. Non sono pesanti. Sono due consegne, in due posti diversi in città. Potresti farlo domani? Poi ti pago qualcosa per il disturbo.

—Ah no, soldi non ne voglio. Per la consegna non c’è problema. Me li fai avere tu?

—Sì, ora chiedo bene ai miei soci. Allora la Matti? Sei sicuro che... ok ho capito, non ti attizza, ho capito.

(una settimana dopo)

—Ehi vecchio! Sono qui, non mi vedi?

Mi ero dato appuntamento con Vito per andare insieme alla cava, una zona abbandonata e inselvatichita a ridosso del nostro quartiere. Vito aveva insistito, diceva dai vieni che ci divertiamo, io sotto sotto temevo un rave party mattiniero o qualche altra diavoleria simile invece lo vidi solo all’imboccatura di una strada di campagna e provai immediatamente un gran sollievo. Faceva parte della zona della cava anche un laghetto dalle sponde scoscese e con acque scure, luogo che mi fece immediatamente ricordare una ragazza di nome Clelia, un amore adolescenziale che credevo dimenticato. Con Clelia avevo frequentato un ambiente simile, anzi quel posto era diventato il nostro rifugio segreto, lontano dagli occhi indiscreti dei nostri genitori, un luogo dove restare abbracciati e sognare vacanze che le nostre magre finanze rendevano irrealizzabili. Rapito dai ricordi non mi accorsi che nel frattempo Vito aveva tirato fuori dal suo zainetto due pistole nere e lucide, cogliendomi assolutamente impreparato. Pensai a uno scherzo, le osservai inquieto. Poi ancora pensai a delle repliche, dei giocattoli, ma Vito mi guardò serio e mi raggelò con le sue parole.

—Ne ho portata una anche per te — mi disse, con il candore con cui un pescatore potrebbe offre una canna da pesca a un bambino trepidante.

—Che cosa hai mente? — gli chiesi a quel punto con voce soffocata da un crescente batticuore.

—Ogni settimana vengo qui a fare un po' di esercizio, è un posto comodo perché è vicino ma dobbiamo sbrigarci perché quando si esagera con i colpi arriva la polizia, sono quei bastardi di quelle case laggiù che la chiamano. Vedi quelle bottiglie? Ora ti faccio vedere.

E così dicendo Vito prese a sparare all’impazzata e io non potei fare altro che tapparmi le orecchie con entrambe le mani e poiché ciò non bastava chiusi anche gli occhi.

—Ehi nonno, hai mai sparato in vita tua?

—Beh si, gli risposi, mai però con una pistola. A militare usavamo le mitragliette, le M12, hai presente?

—Fighissime le M12, cosa darei per averne una.

—Sono armi da guerra.

—Appunto.

Quando fu il mio turno presi dalle mani di Vito una delle due pistole e fui sorpreso dal peso dell’arma e anche dal suo odore metallico. L’afferrai con forza e dopo aver mirato alle ultime bottiglie rimaste in piedi premetti il grilletto e sparai.

—Cazzo, le hai beccate tutte — urlò Vito esultante e quasi mi abbracciò mentre io osservavo la scena dall’esterno e mi vidi con lui, noi due uomini armati di pistola in una squallida periferia di città e mi venne da ridere pensando a quanto surreale fosse quella situazione.

Vito corse a piazzare nuove bottiglie e quando fu pronto tornò indietro, mi aiutò a ricaricare la pistola e mi incitò a riprovare e io non volli deluderlo e con incredibile naturalezza sparai tutti i miei colpi polverizzando ancora una volta tutti i bersagli.

—Sei un fenomeno, mai visto nulla di simile, ora però è meglio tornare.

E così dicendo prese le due pistole, le avvolse in uno straccio unto e le fece scomparire nello zaino. Tornando verso casa ripensai a Clelia, al candore di quel tempo, chissà cosa avrebbe detto di quella mia nuova versione da tiratore scelto.

Dopo quella mattina pistolera non vidi più Vito per un pezzo. Al chiosco del kebab, dove chiesi informazioni ad alcuni suoi amici, mi dissero che era all’estero, che si era concesso una vacanza. Non osai fare domande ma avvertii dentro di me uno strano sentimento di gelosia misto a paura e nei giorni che seguirono mi interrogai a lungo sul senso di quel nostro incontro e sui possibili sviluppi. Quando rividi Vito ogni dubbio scomparve, lo ritrovai abbronzato e sorridente, appena mi riconobbe tra gli avventori del chiosco mi venne incontro e mi abbracciò, poi volle presentarmi la sua ultima fiamma, una spilungona magra magra con i capelli corti e il viso costellato di piercing. Ci demmo appuntamento per il mattino dopo e curiosamente questa volta non in uno dei soliti luoghi ma dalla parte opposta della città, in una zona a me sconosciuta. —Preparati, domani emozioni forti — mi disse, prima di congedarsi.

Quando ci incontrammo quasi non lo riconobbi, indossava un cappellino da baseball e vistosi occhiali scuri ed era visibilmente nervoso. Mi raccontò brevemente dei sui giorni al mare poi mi disse facciamo due passi al che io gli chiesi ma dove stiamo andando e lui mi rispose in banca, devo sistemare degli affari, vorresti accompagnarmi? Proprio in quel momento passammo davanti alla sede di una banca e Vito mi fece il segno di seguirlo. In un attimo mi ritrovai in un grande salone insieme a lui e ad altre persone. Mentre osservavo placidamente gli impiegati impegnati nelle loro mansioni udii una voce familiare urlare TUTTI A TERRA! QUESTA È UNA RAPINA. Mi girai di scatto verso Vito e lo vidi: imbracciava una mitraglietta nera opaca e faceva segni convulsi con la mano.

Prima che potessi rendermi conto della situazione mi fissò per un istante, tirò fuori dalla tasca una pistola e me la lanciò. Poi urlò SPARA! Spara sul soffitto! Fu lui il primo a farlo prendendo di mira i monitor delle videocamere e subito dopo i lampadari di cristallo e i pannelli di isolamento dei soffitti che cominciarono a sbriciolarsi creando uno strano effetto di nevicata fuori stagione. La gente urlava, c’era anche chi aveva cominciato a piangere. Nel frattempo Vito si era avvicinato alla cassa e con un salto aveva scavalcato il bancone mentre io continuavo a sparare all’impazzata colpendo vetrate, climatizzatori e pareti divisorie degli uffici, ero come ipnotizzato, rapito dal frastuono causato dai colpi, mi sentivo come un attore in un film americano, nulla di quello che stava avvenendo pareva reale, neppure il momento in cui Vito fece per lanciarmi un borsone strapieno di banconote urlandomi esci, vai via, ti copro, per riprendere subito a mitragliare il soffitto e a minacciare gli impiegati terrorizzati.

Io ubbidii e corsi fuori e l’impatto con l’aria fresca quasi mi scaraventò a terra. Stringendo la borsa tra le mani rallentai il passo e mi allontanai con calma ma con decisione dirigendomi verso un supermercato dove non so con quale freddezza d’animo, mi sbarazzai della pistola gettandola in un cestino dei rifiuti, prendendo di slancio un carrello per buttarci dentro la borsa e mescolarmi subito dopo tra i clienti. Quando udii le sirene della polizia ero già a due isolati di distanza, al sicuro, ma nell’udire degli spari pensai a Vito e sentii una fitta al cuore. Arrivai a casa stremato. Appena entrato scaraventai la borsa sul letto, ne uscì una pioggia di banconote di grosso taglio, crollai su quel mucchio di denaro rompendo immediatamente in un pianto inconsolabile fino a quando svenni.

Note

Incontri, prima parte del racconto.