Sono Nadia Murad, faccio parte della minoranza yazida del nord Iraq. Nell'agosto del 2014 lo stato islamico ha fatto irruzione nel mio villaggio: sono state trucidate settecento persone. Noi giovani donne, comprese le bambine siamo state rapite e detenute come schiave sessuali. Sono riuscita a fuggire e dopo la fuga ho vissuto per un anno in un campo profughi in Iraq, poi con l'aiuto di un'associazione che fornisce un supporto alle vittime sopravvissute all'Isis sono emigrata in Germania. Nel dicembre del 2015, grazie all'associazione Yazda ho deciso di denunciare davanti al mondo la crudeltà e gli orrori compiuti dall'isis contro la minoranza curda degli Yazidi.

E lo continuo a fare raccontando lo sterminio della mia famiglia e le violenze fisiche e psicologiche subite. Io denuncio e mi assumo cosi la responsabilità di risvegliare coscienze assopite. Non sono la sola, ma insieme alle altre rappresento l'imprevisto perché rivelo la pochezza, il limite mortifero e ripetitivo della distruzione, per il volere di pochi, di tutto ciò che vive. Per questa ragione devo rientrare nel silenzio. La mia storia e quella del mio popolo deve ripetersi perché fa parte della loro storia - passata e presente - costruita attraverso immani e crudeli macchinazioni bellicose. Certo, nel 2018 ho ricevuto il premio Nobel per la Pace e così, nel 2019 insieme alla mia amica avvocata e attivista Amal Clooney, ho richiesto al Consiglio di Sicurezza dell'Onu una risoluzione volta a combattere l'uso dello stupro come arma di guerra che comprende, tra l'altro, l'assistenza alla salute riproduttiva delle donne. Stati Uniti, Russia e Cina si sono opposte perché ritengono che questa legge contenga un riferimento, per le vittime di violenza, al diritto di abortire. Da una parte mi riconoscono e mi premiano, però le mie parole, la mia denuncia non deve farsi legge. Deve rimanere tutto com'era, com'è”.

Il corpo delle donne

Ecco. La guerra si fa in tanti modi e qualsiasi ragione per farla è valida. Questa volta si tratta della guerra al corpo delle donne. Vado con la mente a ritroso e arrivo a Zeus. Zeus fa parte della mitologia. Da lui si parte: è colui che tutto può. È il Dio degli Dei ed è il primo stupratore seriale di una storia senza fine - almeno per ora così è - che vede e non riconosce. Ma non voglio ricadere sulla narrazione del mito che riguarda appunto dei ed eroi come protagonisti delle origini del mondo e che non mi prevede.

Dato che al mito viene attribuito un significato religioso e spirituale desidero solo accennare che noi donne partiamo un po' svantaggiate. Il mito della Grande Madre fa parte della Preistoria. Si parla di 30.000 anni fa. Poi accade un fenomeno unico nella storia di tutti gli esseri viventi, piante comprese.

Il corpo delle donne, infatti, ha una tendenza inversa rispetto a qualsiasi altro argomento storico. Infatti, come ho già accennato, la maggior considerazione per le forme e le funzioni del femminile si è avuta nel periodo preistorico e fino all'epoca degli Egizi e dei Cretesi. Da lì in poi è un susseguirsi di costrizioni, imposizioni, mortificazioni e umiliazioni esterne e interne che oggi culminano in due estremi: dalla negazione (o dalla paura) del corpo ricoperto dal burqa islamico, all'abuso della nudità usata e mercificata nel mondo occidentale.

Come molte di noi sanno è molto più facile vivere nel più profondo stato di inferiorità che ribellarsi e denunciare gli stupri come arma di guerra. Come ha fatto Nadia. Ma il sasso che ha lanciato non è in grado di rimuovere, di ribaltare fin dalle origini quella storia che è poi la storia di tutte le guerre. Ecco. Ora mi fermo. Da qualche tempo ho la certezza di essere un'estranea per la sola ragione che mi chiamo fuori dalle regole del gioco. Del gioco di tutte le guerre del presente e del passato, fin dalle origini. Non sono sola. L'imprevisto, nel mondo patriarcale, sono donne come Nadia che rivelano la pochezza, il limite mortifero e ripetitivo della distruzione di tutto ciò che vive, solo per il volere di pochi.

Poiché anche il corpo come il pensiero prevede un criterio e se questo coincide con quello tramandato da questa storia, per riconoscermi, devo pormi al di fuori. E porsi fuori dalla tradizione e dalle imposizioni volute dai "due estremi" richiede un salto nel vuoto. Devo cancellare la validità assoluta e i criteri incontestabili in cui viene allineata l'umanità lì espressa. Devo trovare il luogo della contingenza, dell'intenzione, del senso. E del coraggio. Il coraggio di Nadia Murad e di tutte le inaffidabili come lei. Avere la sua forza significa schierarsi contro tutto ciò che esiste nelle azioni di un modo totalitario di intendere l'umanità, che inevitabilmente produce violenza. Nadia seguendo se stessa si trova "a dissacrare tutti i progenitori del passato e a rinnegare tutti i possibili figli del futuro".

Se di futuro è ancora possibile parlare.