Si dirà: se il Sole fu creato nel quarto giorno, come mai la luce fu creata nel primo giorno? Il Sole non è la luce? Bisogna sapere che nell'aria, ne' corpi e nelle viscere della terra è sparso un fluido lucido, detto etere, il quale, tocco da' raggi del sole o da una fiamma, fonde la luce. Il fluido lucido fu creato nel primo giorno, il sole nel quarto.

(San Giovanni Bosco, Storia sacra, 1847)

Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre conversava con noi lungo la via quando ci spiegava le Scritture?

(Vangelo di Luca, 24,32)

È probabile che alla fine di questo breve saggio la vostra visione e immagine di Gesù Cristo, del suo ruolo spirituale e della sua opera redentiva vi appaia differente da come la immaginavate. Scoprirete un Gesù motore di una trasformazione cosmica che riguarda sia le anime e gli spiriti che la stessa natura. Apprezzerete un “Gesù integrale”, totale, universale, tutt’uno con un processo trasformativo grandioso e inesauribile, che sembra uscire alla luce dall’interno della sostanza stessa dell’esistenza. Un Gesù non solo “nell’alto dei Cieli”, ma operante ovunque, come una Luce che si irradia in ogni direzione, come un fulmine globulare.

Questa visione non è frutto di astruse teorie teosofiche o di una fervida immaginazione misticheggiante ma deriva da una semplice riflessione che ho condotto dopo aver riaggregato comparativamente e sinotticamente tutti i passi dei quattro Vangeli che accennano, alludono, implicano o citano espressamente “il fuoco”, in ogni sua possibile accezione e declinazione semantica. Per far questo ho dovuto quasi archetipicamente definire le proprietà del fuoco che possiamo così enumerare:
1) persistenza e identità con se stesso invariante rispetto al combustibile e alle situazioni
2) forza trasformativa radicale
3) generazione di luce e di calore
4) idea di supremazia e di estrema diffusività.

Dopo una sintesi sul “fuoco nei Vangeli” accenneremo alle “componenti ignee” presenti nel Cantico dei cantici, nell’Apocalisse e nelle Lettere di Pietro e di Paolo, per poi concludere con l’individuazione di numerose conferme della tesi del carattere spiritualmente e culturalmente “igneo” del Cristianesimo in un importante testo poetico cristiano di epoca costantiniana quale è il Poema dei vangeli di Aquilino Giovenco, il quale con maestria parafrasa e unifica tutti i Vangeli.

Iniziamo questo volo d’uccello partendo dal Vangelo più breve, quello di Marco. Apparentemente Marco inizia con l’acqua e non con il fuoco in quanto inaugura ex abrupto il racconto dell’Avvento del Regno di Dio sulla Terra con la narrazione dell’attività di battezzatore di Giovanni; ma a uno sguardo più attento e paziente possiamo invece cogliere importanti aspetti “fiammanti” e “conflagranti” anche nell’incipit di questo Vangelo. In generale poi proprio per la sua concisione il Vangelo di Marco sembra corrispondere a una “secchezza” e asciuttezza che lo avvicina simbolicamente e moralmente al dinamismo dell’essenza “fuoco”, come abbiamo una corrispondenza archetipica con il fuoco anche “nell’emblema” dell’evangelista: il leone.

L’immagine del Battista descritto in modo fulminante mentre grida nel deserto, come stesse fisso, fermo, mentre tutti accorrono da lui, come vinti da una forza attrattiva, presenta aspetti immaginali e linguistici che rinviano alla fenomenologia culturale del fuoco. Questa impressione viene avvalorata poi da altri dettagli: il miele, luminoso come luce, le secche e magre cavallette come cibo e la pelle di cammello, animale resistente al sole e dalla pelle secca, come bruciata, quali vestiti. Giovanni, traduciamo, si ciba di fuoco e di veste di fuoco. Come leone solitario ruggisce nel fiammante deserto, e l’associazione leone/deserto non è invenzione simbolista moderna, ma antica, e intesa anche naturalisticamente e cartograficamente.

Nel cuore del “secco” e dell’asciutto Giovanni battezza. Uno dei tipici paradossi e delle strutturali “inversioni” di quella novità rivoluzionaria che è il Cristianesimo. Giovanni cosa annuncia di preciso? L’imminente avvento di un nuovo Battezzatore, il quale inaugurerà un nuovo tipo di “immersione”, realizzata tramite “Spirito Santo”. Anche questa immagine evoca il fuoco. Il nuovo battesimo viene profetizzato nel deserto e si parla di un Vento divino, avvolgente, e, quindi, implicitamente fiammante. Gesù reca un fuoco celeste sulla Terra a cui si contrappone un fuoco differente, ostile.

È come se il cosmo intero fosse agitato da due fuochi: il fuoco superiore di Dio, vivificante, illuminante, incorporato in Cristo e da lui sparso sulla Terra, e un fuoco solo distruttivo, infero, violento, impuro, che in Marco compare quasi subito nell’accenno agli ossessi e agli impuri guariti e liberati da Gesù e nei corrispondenti spiriti infestanti scacciati (Mc. 10-11). Il fuoco buono di Gesù, invece, guarisce, e la prima guarigione raccontata da Marco è non a caso quella del lebbroso che viene da Gesù purificato (Mc. 1,23 e 41-42). La lebbra possiamo senza sforzi associarla nelle sue sintomatologie evidenti agli effetti del “fuoco infero”: ulcere simili a bruciature e pelle e carne che si sfalda e si distacca. La lebbra come segno del peccato e quale castigo, quasi visualizzazione del fuoco della Geenna. Come nella Geenna, località fuori da Gerusalemme, si bruciavano i rifiuti, così i lebbrosi erano considerati rifiuti, peccatori, e venivano confinati in desolate e abbandonate.

Se Gesù è il “Signore del celeste fuoco” allora deve comunicare qualcosa di questa sua natura ai suoi discepoli prediletti. E, infatti, Marco ci ricorda come Gesù cambi il nome dei fratelli Giovanni e Giacomo battezzandoli: “Boanerghes”, cioè “Figli del tuono”, segno igneo, versione sonora del fiammante fulmine (Mc. 3,17). Ricordiamo incidentalmente che a tutti e tre i discepoli prediletti, Pietro, Giovanni e Giacomo, Gesù muta il nome, trasformandone l’essere, e che solo questi discepoli profondamente trasformati da Gesù potranno accompagnarlo nella luce del Tabor e nella veglia del Getsemani.

Ciascun Vangelo sembra modularsi in un’alternanza di evocazioni fra il Fuoco divino e il fuoco infero, evocando ora i segni dell’uno e ora gli effetti dell’altro. In Marco, ad esempio, abbiamo il Sole che brucia il seme nella parabola del seminatore, fuoco violento e negativo, e l’episodio dell’indemoniato che viene descritto come fosse un fuoco fatuo o un incendio distruttore (Mc. 5,2-5) a cui segue l’immagine degli apostoli taumaturghi che ungono i malati con olio (Mc. 6,13) e l’olio è chiaramente un segno igneo in quanto veniva usato come combustibile per le lampade, come ci ricorda la bella immagine della parabola delle dieci vergini.

Nella sua mirabile sinteticità il Vangelo di Marco giunge poi a giustapporre in modo folgorante l’immagine del fuoco demonico con l’immagine del fuoco salvifico e redentivo nel passo efficacissimo dove al fuoco della Geenna destinato a chi semina scandali, inconsumabile perché inestinguibile ne è il combustibile, cioè l’anima, si rivela l’annuncio del nuovo battesimo nel Fuoco divino: “Ognuno infatti sarà salato con il fuoco”. (Mc. 9,49). Ebbene la “salatura” biblicamente è prescritta per le vittime da offrire in olocausto (Lev. 2,13) e quindi l’azione del fuoco diventa la metafora migliore scelta da Gesù stesso per far capire l’azione trasformativa e purificativa totale che viene indotta dall’azione sacramentale quale emanazione della potenza del Figlio di Dio.

I cristiani, come fenice, sono coloro che vengono spiritualmente “immersi nel fuoco” per rinascere. Anche l’associazione fra sale e fuoco presente nel Vangelo è corretta archetipicamente: il sale brucia, il sale è trasparente alla luce, il sale come il fuoco mostra tenacia e persistenza identitaria, ed entrambi svolgono un ruolo linguistico di “purificazione” e di “marcazione”. Questo passo decisivo posto nel mezzo del Vangelo di Marco va letto in sintonia con un altro esplicito passo, cuore igneo a sua volta del Vangelo di Luca: “Sono venuto a portare il fuoco sulla Terra e come vorrei fosse già acceso. Ho un battesimo nel quale sarà battezzato e come sono angosciato finché non sarà compiuto” (Luc. 12, 48-49). È utile visualizzare anche la frase successiva “sull’ora della croce” perché presenta una struttura semantica simile incentrata sull’attesa di Gesù per il compimento della sua Opera, e ci fa comprendere come il battesimo di fuoco di Cristo sia la croce e come, quindi, anche la croce sia associabile al fuoco e il fuoco alla croce e al sangue di Cristo.

Si tratta di associazioni non solo simboliste ma ontologiche, operative, nella logica della Parola di Dio, fiammante come nel roveto ardente e nella bocca di Elia. Incarnandosi il Figlio di Dio ha come seminato un nuovo fuoco, celeste, nell’umanità, introducendo come una nuova sostanza, trasformante, purificante, liberante. Tutto il Vangelo di Luca appare parimenti intessuto da riferimenti ignei: dall’offerta dell’incenso da parte di Zaccaria nel Tempio (Luc. 1,9) e dal riferimento a Elia da parte dell’angelo in relazione all’annuncio profetico della nascita del Battista (Luc. 1, 17) fino al pesce arrostito mangiato dal Risorto (Luc. 24,42). Basti pensare all’esplicito annuncio del nuovo “battesimo di fuoco” che porterà Cristo da parte del Battista (Luc. 3,16), al tema igneo dell’unzione (Luc. 4,18) alla possibilità data agli apostoli di far scendere il fuoco dal cielo quale castigo di purificazione (Luc. 9,54), fino all’autoprofezia sul ritorno messianico con l’utilizzo dell’immagine della folgore (Luc. 17,24).

In due episodi di Luca i due tipi di fuoco vengono evocati in vicina opposizione, estremamente illuminante: al fuoco del nuovo battesimo cristico si giustappone l’avvertimento sulla consumazione con il fuoco della Giustizia divina della pula quale uno dei compiti/effetti dell’Opera della Redenzione, assai simile alla consumazione dei secoli, e, similmente, alla profezia sul ritorno di Cristo si accompagna il ricordo del fuoco che cadde su Sodoma (Luc. 17,29,30). Il giorno della “manifestazione di Cristo”, assai presente in Paolo, è la riformulazione cristiana del tema del “megas hemera theou” di Malachia e dei profeti dell’antico Israele nelle cui visioni il fuoco appare protagonista del compimento totale delle promesse messianiche e della relativa restaurazione universale e definitiva di Israele.

Emerge, quindi, quasi un terzo tipo di fuoco fra il fuoco della Geenna e il fuoco della salvezza: il fuoco cosmico che sempre incombe fatalmente sul creato e che lo dissolverà alla fine dei tempi liberando e rinnovando il cosmo, come ricorda Pietro nella sua seconda lettera (2Pt. 3,10,12): “Ora i cieli e la Terra attuali sono conservati dalla medesima Parola, riservati al fuoco per il giorno del giudizio e della rovina dei malvagi”, e poi: “Il giorno del Signore verrà come un ladro, allora i cieli spariranno in un grande boato, gli elementi, consumati dal calore, spariranno…”, e ancora: “…Affrettate la venuta del giorno di Dio nel quale i cieli in fiamme si dissolveranno e gli elementi incendiati fonderanno”.

Il destino della creazione è, quindi, passare per il fuoco in modo da risorgere apocalitticamente nuova in Cristo oppure restare definitamente distrutta, similmente alla rovina eterna dell’inferno (Mt. 13,50 e 15,6). Il testo del Requiem di Mozart ripete questi antichi temi scritturali e liturgici nel movimento del Dies irae: solvet saeclum in favilla, teste David cum Sibilla. Il fuoco ritorna, nella sua dimensione di calore, quale costante della vita umana che deve scontare continuamente una “prova del fuoco” a cui viene sottoposta la sua fragilità, nel vangelo di Matteo nella parabola dei lavoratori della Vigna (Mt. 20.18).

Per quanto riguarda la declinazione del fuoco quale Giustizia divina implacabile ricordiamo la conclusione della parabola dei vignaioli omicidi, l’avvertimento a Cafarnao di essere sprofondata negli inferi (Luc. 10,15) la disseccazione del fico sterile da parte di Gesù nell’imminenza della sua Passione (Mt. 21, 18.20), il ricordo della moglie di Lot salinizzata per essersi voltata verso Sodoma in fiamme (Luc. 17,32), l’immagine dell’umanità quale erba destinata al forno della morte (Luc. 12,28) e la terribile immagine del sangue umano mescolato ai sacrifici, che implicano l’accensione del fuoco, nella spietata punizione inflitta da Pilato (Luc. 13,1).

Ma se il fuoco è morte, pure è segno di resurrezione nella luce folgorante degli angeli testimoni del miracolo (Mt. 28,3 e Luc. 24,4). Un'altra funzione del fuoco è la “divisione” fra un prima e un dopo, fra un “già” e non un “non ancora”. Fuoco indica pure un radicale cambiamento, una separazione fra luce e ombra, fra ciò che brucia e ciò che non brucia. Cristo similmente divide, è principio di una sorta di “separazione creativa”, come Dio nella Genesi che crea separando gli elementi dal caos primigenio, e il fuoco si comporta similmente anche in un passo di Genesi quando consuma l’offerta divisa davanti ad Abramo (Gen. 15.17). Momento decisivo per le promesse messianiche.

Anche il vangelo di Giovanni, che sembra “il vangelo dell’acqua” con gli episodi importanti delle nozze di Cana, della Samaritana al pozzo, nel tema del rinascere dall’acqua nel dialogo con Nicodemo, negli episodi delle piscine del Tempio e della lavanda dei piedi, contiene anch’esso significativi passaggi “ignei”: la guarigione dalla febbre compiuta da Gesù a Cana (Gv. 2,17), il tema del fiammante zelo nella liberazione del Tempio dai mercanti (Gv. 14,52), l’immagine del tralcio non produttivo che viene gettato nel fuoco (Gv. 15.,6), l’unzione di Betania (Gv. 12,3) con il nardo, usato anche nell’offerte dei profumi nel Tempio, la bruciante mirra e l’amaro aloe di Nicodemo per la sepoltura di Gesù (Gv. 19,39).

Anche l’emblema dell’evangelista, l’aquila, è immagine ignea. Il Vangelo di Gesù quale “Vangelo del fuoco” continua con le lettere di San Paolo, apostolo dello zelo fiammante, il quale sintetizza la “dottrina cristiana del fuoco” in alcuni passi folgoranti come nella sua prima Lettera ai Corinzi dove ricorda che l’opera delle vite umane si manifesterà nel fuoco e “il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno” (1Cor. 3,13) riformulando, quindi, in modo cristocentrico l’antico uso scritturale della metafora del crogiolo quale “prova divina” sull’anima (Sir. 2,5) e quale segno del percorso di purificazione verso l’unione con la Parola di Dio: “Le parole del Signore sono parole pure, argento separato dalle scorie nel crogiuolo, raffinato sette volte” (Salm. 12,7). E ancora: “ma se l’opera di qualcuno finirà bruciata, quello sarà punito, tuttavia egli si salverà, quasi passando attraverso il fuoco” (1Cor. 3,15).

Pure genialmente scritturale è Paolo quando raggiunge il vertice della propria sintesi di sapienza con la definizione: il nostro Dio è in fuoco divorante, (Eb. 12,29) come simmetrica al “Dio è amore” giovanneo, e che riprende un analogo passo del Deuteronomio (Dt. 4,24) che evoca l’immagine fiammante in relazione allo zelo di Dio e alla sua gelosia rispetto all’idolatria. Piena continuità con il “vangelo del fuoco” la troviamo con il Cantico dei cantici e con l’Apocalisse.