Di tutti i sensi della specie umana l’olfatto è sicuramente il più antico, talmente arcaico da essere nell’uomo moderno, rispetto a quello delle origini, ormai quasi dimenticato. La sua sede è nella parte più profonda, cavernosa, della nostra testa, nel buio caldo e umido della volta delle fosse nasali, dove appese come minuscole stalattiti, pendono le terminazioni nervose del nervo olfattivo, una propaggine di quel cervello ctonio che presiede le emozioni e le pulsioni più profonde e ancestrali, meno delle altre governabili dal comportamento razionale dell’uomo civilizzato.

È il senso privilegiato dei predatori più terribili che in ogni era hanno cacciato sulla terra, quello a cui è più difficile sfuggire proprio perché quasi mai la preda lo possiede in misura uguale al cacciatore, è instabile e ingovernabile perché volatile è lo stimolo efficace ad attivarlo e viaggia sulle ali del vento.

Le particelle odorose, infatti, sono captate dal naso con l’aria inspirata e vengono inglobate in un muco particolare, secreto da apposite ghiandole dette ghiandole di Bowman, i cui adenomeri si trovano immersi nel connettivo e i cui dotti escretori sboccano nella cavità nasale, inframezzate alle terminazioni dei neuroni olfattivi che sono l’unico tessuto nervoso capace di rigenerarsi partendo da cellule staminali, indifferenziate, situate sulla lamina basale dell’epitelio olfattivo.

Questo organo neurosensoriale straordinario è concentrato in un area di circa 3 centimetri quadrati situata, come già detto, in corrispondenza della porzione cefalica del setto e delle fosse nasali, qui le particelle odorose, inglobate nel muco secreto dalle ghiandole di Bowman, entrano in contatto con i chemocettori, i veri e propri recettori neurosensoriali olfattivi.

Successivamente, attraverso una mirabile rete sinaptica interconnessa a più livelli e di una complessità che nella specie umana è nulla rispetto a quella di altri animali, giunge prima alla memoria profonda, evocando a volte ricordi primordiali, e solo più tardi alla coscienza associativa che li traduce in memoria strutturata.

Forse proprio per questa sua ineffabilità l’olfatto, di tutti i sensi umani, è quello meno studiato dalla scienza ed è anche quello meno celebrato dall’arte e in particolare dalla letteratura. Se si escludono casi isolati come il celebre romanzo Il profumo di Patrick Suskind, in cui il protagonista, nato nei bassifondi di Parigi e abbandonato appena partorito tra i rifiuti dalla madre disgraziata, si accorge di non avere alcun sentimento umano né alcun odore personale ma di essere dotato di un olfatto sovrumano che lo porta a dedicare, attraverso efferati omicidi, la sua vita e la sua morte alla creazione di un profumo sublime, capace di soggiogare totalmente gli esseri umani, a prescindere dalla loro estrazione sociale e dalla loro cultura (l’olfatto come senso sovra-culturale e sovra-sociale), rari sono gli esempi di opere in cui l’odorato sia il protagonista.

Possiamo ricordare il Cyrano de Bergerac di Rostand ma qui è la forma di un naso particolarmente grottesco e non il senso che esso sottende, il protagonista della storia.

Certo, esperti scrittori, romanzieri, saggisti e persino filosofi si sono talvolta occupati dell’olfatto ma sempre a margine della vicenda o dell’argomento trattato, come digressione puramente esornativa o come astrazione occasionale aforisticamente espressa.

È stata, quindi, una piacevole sorpresa quando, in qualità di ‘esperto’ di olfatto per motivi professionali, essendo medico e in particolare otorinolaringoiatra, mi è stato chiesto di presentare un delizioso libro illustrato, Aròmia e le Saponette Magiche di Costanza Savini. Si tratta di una di quelle favole archetipiche che si rivolgono all’eterno bambino che, si spera, resiste in ognuno di noi; una favola che vede il senso dell’odorato e i profumi protagonisti indiscussi dell’opera.

È la storia di Aròmia che vive nel paese di Essenzia ed è una bambina molto allegra. Ama il lago profumato sulle rive del quale sorge il suo paese e vi si immerge spesso. Forse proprio perché rosa dall’invidia per tanta giovane bellezza la strega Olezza, che pur vive in quel bellissimo lago senza però parteciparne la festa, invia ad Aròmia un sogno orribile che le aliena non solo l’acqua del lago ma l’acqua in sé come elemento di purezza perduta. Segue una progressiva degenerazione della protagonista e del paese stesso che vede attossicarsi attraverso le sue acque l’essenza stessa del suo essere racchiusa nel suo nome perché cosa altro è Essenzia se non la realtà stessa e immutabile delle cose? Tutto sembra perduto quando due bizzarri maghi - taumaturghi (come non pensare qui agli Istari del poema di Tolkjen?), attraverso l’uso sapiente dei profumi, raggiungono attraverso il più antico e misterioso dei sensi lo scrigno profondo dell’anima ammalata di Aròmia e lo riaprono liberando in lei e nel paese la Primavera del Mondo. Intrisa così di magia e di potere Aròmia diviene una Regina sui generis, perché solo la mano Regale ha il potere di curare il dolore e la tristezza degli esseri e delle cose. Non si toglierà mai più di dosso il suo magico abito profumato che crescerà insieme a lei, come si addice ai protagonisti delle favole più belle.