Un nome dolce e avvolgente quello di Melusina, la fata che ha abitato le delicate atmosfere romanze del medioevo, ma che ha il profumo del mito senza tempo, quello che è sempre pur non avendo mai avuto luogo. La sua è una storia che parla dell’incontro tra un uomo e una creatura fatata, e della necessità che tali incontri rispettino le segretissime leggi che regolano ogni interferenza con il mondo invisibile. Nel Roman medievale che porta il suo nome, la misteriosa e bellissima Melusina concede il suo amore a Raimondino, figlio del re dei Bretoni, e lo sposa a patto che questi rispetti il divieto di vederla nei giorni di sabato. Sebbene la felice unione fra i due sposi sia benedetta dalla nascita di molti figli, un giorno Ramondino, vinto dalla curiosità, rompe il giuramento. L’infrazione del tabù gli è fatale e la bella sposa, violata da occhi impreparati al mistero, trasformatasi in serpente scompare nel regno delle acque.

La proibizione che impedisce a un mortale di contemplare una dea nello splendore della sua nudità è un elemento ricorrente in tutta la tradizione mitica mediterranea. Lo spazio del femminino sacro è un templum che non può e non deve essere violato: senza una necessaria iniziazione, l’interferenza è abbagliante e rischia di accecare. Nel mito greco, questo è ciò che accade a Tiresia, che avendo profanato l’intimità di Atena viene punito con la cecità, e tuttavia investito del dono della profezia. Più impietosa sarà Artemide, che sorpresa nel momento del bagno dall’incauto Atteone lo trasformerà in cervo, abbandonandolo alla furia predatoria dei suoi stessi cani da caccia.

Melusina visita l’ispirazione più profonda dell’arte di Octavia Monaco, presentandosi nelle sue metamorfosi cangianti. Talora come regolatrice dell’ordine del cosmo, in quanto partecipa all’integrità dell’axis mundi attorcigliando le sue spire all’albero della vita, quasi a risvegliarne, con l’impetuoso moto a spirale della sua coda, segrete energie sopite. Possiede la forza propulsiva e ascendente di una kundalini risvegliata e prefigura il dinamismo rigenerativo della serpe che si appropria del caduceo di Ermes, poi del bastone di Asclepio. Altrove Melusina si manifesta in visioni quasi oniriche, liminali. Visita le sue Vergini archetipiche, le sue dominae, le sue Madonne nere e tutte le epifanie della dea. E’ una presenza sospesa, rarefatta: reca doni alchemici e rivela misteri.

La figura di Melusina, ben lungi dall’essere un prodotto dell’immaginazione medievale, ha una genesi antica, che la ricollega alla genealogia della dea serpente. Ovunque, nei recessi del sacro femminino, troviamo divinità che hanno brandito rettili, che si sono avvolte in manti serpentini; hanno sfoggiato serpi sui loro scudi o le hanno nutrite nei loro templi. La forza primitiva del serpente ha animato le chiome di Medusa; ha ibridato creature di confine, partecipi della duplice natura di donna e rettile. Delfina, Echidna, Igiea rigeneratrice, la marsica Angizia, l’italica Bona Dea. Pizie e Pitonesse, custodi dell’arte del profetare. Tutte dee che in seguito sarebbero state esiliate dalla storia, distrutte dagli eroi solari insieme a tutte le superlative manifestazioni del drago. A Perseo, che decapita Medusa, è affidato un compito di rimozione, di epurazione, quello di soggiogare forze femminili soverchianti e arcaiche. Perfino Eva, in fondo, appartiene a questa stirpe di eredi dell’antica Signora dei Serpenti.

Ma Melusina, ninfa alchemica, è anche sirena. È Sirena-Selene, donna argentea e lunare. Dea serpente, pesce, uccello. In origine possedeva ali possenti, in seguito fu menomata del potere del volo. A lei appartengono la terra feconda, le acque generative, il cielo sconfinato; in lei sono contenuti i tre mondi. L’abisso marino in cui si immerge la sirena è un luogo di fertilità amniotica, lo stesso ventre in cui anche Afrodite ha avuto la sua gestazione. Con la coda sinuosa e sfavillante lei vince le correnti: tutte le acque in lei fluiscono, ogni natura liquida del suo corpo porta vita e salvezza: così il latte divino che sgorga dai suoi seni diventa la nutriente via lattea di ogni madre cosmica.

Quando Melusina fa ritorno all’elemento terra, la sua coda può biforcarsi. Nella forma ibrida di sirena bicaudata, il suo corpo si scinde. La coda aprendosi mostra la vulva, svelando la sorgente sacra del suo potere e riconducendo la sua essenza alla funzione generativa. La dea ostenta un’estremità serpentina che può penetrare negli anfratti del terreno e assorbire le energie telluriche. Una coda che si sviluppa in cerchi e spirali, volute, tornanti: rotazioni centrifughe e centripete. Seguirne il percorso significa addentrarsi in uno spazio ancestrale, nell’ipnotico procedere a ritroso di immagini, miti, archetipi. Il tempio sacro di Melusina è, infatti, il labirinto: un percorso metafisico. Non un dedalo, che prevede vicoli ciechi e scelte, ma un labirinto, che guida il visitatore inevitabilmente verso il centro, lungo un solo sentiero. Curvilineo, spiraliforme, concentrico come la coda della dea, ne ripropone il corpo dinamico, conducendo sempre più vicino alla sorgente sacra del Sé, dove la scissione si risolve e recupera l’unità originaria. Inoltrarsi nei meandri del labirinto necessita sempre la presenza di una dea: il filo di Arianna, antica Signora dei Serpenti, si svolge e si riavvolge accompagnando l’avventura dell’Anima. Fino all’individuazione, che riconsegna l‘uomo alla sua integrità in-divisa. Forse Melusina, fata amante, spirito elementare, è essa stessa l’Anima. O la sua parte femminile e afroditica.