"I giapponesi perfetti. Con i capelli perfetti, le unghie perfette. Di una raffinatezza ineffabile, emanano serenità". E questi esseri perfetti, diversi da quelli molto imperfetti che vediamo nelle città d’arte a mo’ di turisti in serie, con la macchina fotografica al posto degli occhi e del cuore, ma uguali al proprio passato millenario di rarefazione e ricercatezza, abitatori di atmosfere poetiche dove anche uno starnuto è oltraggioso, volevano lei, inconsapevole diva occidentale. Della Grecia degli dei le era destinato anche il nome: Olimpia, diventato poi Ornella in quella girandola di emozioni che afferra i genitori dopo la nascita di una creatura.

Ornella Aprosio, romana, vent’anni fa ha fondato un atelier di perline a Firenze e la sua maestria è famosa nel mondo: con perline di vetro di Murano e cristallo di Boemia disegna gioielli che brillano per l’audacia dell’immaginazione e la squisitezza della fattura. Chi entra nella sua bottega fiorentina, che fa pensare al Rinascimento, prova l’incanto, lo stupore e il desiderio perché quegli oggetti meravigliosi e del tutto contemporanei sono la quintessenza della femminilità atemporale. Ma poteva pensare lei, donna sottile e chic dall’indole riservata e le movenze felpate, che un invito in Giappone di H P Goldie, accettato perché ogni tanto bisogna stanarsi, sarebbe stato il suo tappeto rosso, la sua Hollywood del Sol Levante?

Inimmaginabile davvero, e se l’avesse immaginato non sarebbe mai partita, frastornata all’idea di essere lei il cristallo più lucente, quello più in vista, invece del deus ex machina di tanto splendore che, quando può, evita perfino di rispondere al telefono per preservare l’energia interiore, le sfumature, per sottrarsi alla corrosione della burocrazia, delle relazioni commerciali. Sorpresa: è stata accolta come una star e lo star system di stampo orientale le si addice. "Forse perché i giapponesi mi hanno davvero capita. Si emozionano con le perline, come succede a me. Ho sempre avuto la sensazione di aprire un baule da Isola del Tesoro e la consapevolezza del bagliore mi rapisce. E’ la luce dell’eremita che rischiara il buio". Diamanti, rubini, smeraldi e zaffiri non la affascinano: lei è sedotta dal brillìo che si sviluppa piano piano.

A Tokyo e Osaka ha spiegato la lavorazione delle perline, ha venduto ottanta pezzi in due ore e fatto autografi a tutti. "Un’esperienza impensabile che mi ha dato un impulso straordinario. Ho firmato l’interno delle borse di perline e centinaia di fotografie che mi hanno scattato, cercando di tracciare se non proprio ideogrammi, segni alla giapponese". I ciondoli-pupazzetto, che Ornella chiama dudù, coniglietti, orsetti e altre dolcezze in perline scintillanti, bambinesche come sarebbe una camera dei bambini in un film di Visconti o in Fanny e Alexander di Bergman perché evocativi, giocosi e nostalgici, sono gli ornamenti che le giapponesi hanno amato di più: "Un gusto che parte dalle miniature, dalle figurine, e anch’io le trovo fantastiche. Il mondo è quello descritto nel libro Un’eredità di avorio e ambra di Edmund De Waal dove una collezione di netsuke, minuscole sculture, consente all’ultimo proprietario di rivivere vicende sconosciute dei suoi avi. Anche la bambola Stella, disegnata apposta per loro, ed eseguita solo su ordinazione, è piaciuta moltissimo".

In vent’anni, volati come sempre il tempo vola, animata da una passione fortissima che le ha permesso di non sentire la fatica, le era capitato di entrare in una stanza e vedere che metà delle donne erano “in Aprosio” per dirla con il linguaggio un po’ ripetitivo delle riviste di moda, ma nessuno le aveva portato una scatola a forma di cuore, aprendola con trepidazione e orgoglio, per mostrarle decine dei suoi gioielli, collezionati negli anni. Questa ammiratrice la vagheggiamo sublime, con un kimono perfetto.