Ogni tanto ci toccano gli scoop con le dive al naturale. Dozzinali, seppure lì per lì accattivanti, a sostegno della tesi “rughe comuni mezzo gaudio” che è la celebrazione della bassezza. Inoltre non è vero perché ogni ruga è un cruccio personale e di gaudio ce n’è poco nello smottamento a valle dello zigomo. Anche se c’è chi non si amareggia per simili frane o, almeno, così dichiara.

A Marianna Santoni, comunque sia, quegli scatti sensazionalistici delle attrici sorprese al parcheggio del centro commerciale non fanno il minimo effetto: “Io le avevo viste sempre così”. “Guarda? È un mostro!” le dicono e la Santoni risponde: “No, lei è così”. “Il trucco sta ad amplificare le virtù non a occultare - spiega la fotografa -. Se incontro una persona mi rendo conto cosa sarebbe facile valorizzare per farla venire bene”. La persona è la stessa, insomma, in versione di gala o da domenica sul sofà. Se è un mostro è un mostro struccata e truccata, anche se truccata può scimmiottare l’attraente e ingannare.

Marianna Santoni, per restare in ambito divistico, ha successo dal 2004 quando, unica donna in Italia, anzi ragazza, divenne guru di Adobe, la casa portabandiera nei prodotti di video e grafica digitale, quella di Photoshop per intendersi: “È come vincere l’Oscar a ventisei anni, nel mio settore non c’è niente di più alto. Sono diventata famosa subito e mi sono dovuta dare da fare come una pazza per colmare le lacune”. La chiamarono Epson, HP, Nikon, tutti la volevano. E la vogliono. Lei reagisce con una posizione alla Oscar Wilde: “Ho gusti semplicissimi, mi accontento sempre del meglio” ed è una creatura naturale in ogni gesto e in ogni parola perché verso il meglio è protesa per indole, e non c’è da vantarsi se lo ottiene. Casomai le venisse il ghiribizzo di indugiare nell’autocompiacimento, ma non le viene, ci penserebbe la famiglia a raddrizzarla: un giorno suo padre in vacanza su una qualche Capri o Ischia portò a sviluppare delle foto e lasciò il nome Santoni. “Sa - gli disse il negoziante - che a Foligno c’è una celebre fotografa che si chiama Santoni?”. Al ritorno dalle ferie lui informò la figlia: “Sai che a Foligno c’è una celebre fotografa che si chiama come te?”.

Pure d’aspetto, la Santoni è speciale: abbina la capigliatura e il sorriso di una Farrah Fawcett degli anni fulgenti, ma senza il timbro americano, agli occhi soavi di una Madonna umbra nei quali lampeggia l’intelligenza e riposa una certa tristezza non coltivata né osteggiata.

Liberiamoci subito della biografia…

Sono nata a Foligno. Ho studiato antropologia visuale. Ho fatto 7 mesi di università in Irlanda, più di un mese a Losanna per studiare il francese. Sono fotografa pubblicitaria che significa anche spaziare dal ritratto allo still life. Guardo più foto di quelle che scatto. Cento mostre all’anno. Mi piacciono tutte le foto che comunicano qualcosa, dove dietro ci sono dei concetti che devono essere espressi. Appassionata d’arte e di fotografia umanistica, quando è arrivato il digitale ho mitigato l’umanesimo, acquisendo una preparazione informatica. Ma sento ancora in me un umanesimo senza confini. Durante l’università, ho conosciuto Photoshop e l’uomo con il quale sono stata dieci anni che mandò il mio curriculum ad Adobe e mi comunicò: ti hanno chiamata. Pensai: che posso dire a questa gente? Andai con la sensazione che le aspettative fossero nulle. Usavo Photoshop da appena due anni, ero giovanissima, da poco fotografa in analogico e digitale. Sono stata giudiziosa, andai con i compiti fatti. Un po’ ambiziosa, lo ammetto: se decido di fare qualcosa cerco di farla bene.

Un guru di Adobe femmina che cominciò a insegnare?

Sì. Gli eventi erano organizzati in modo feroce, in un mondo maschile, in media partecipavano maschi sui 45 anni e qualcuno di loro odiava il digitale, provando nostalgia per l’autorità della pellicola. Il digitale scomodo, barbarico, invadente che distruggeva duecento anni di storia della fotografia. Arrivai come uno tsunami. Sul palco parlavano gli uomini e quando toccava a me, in platea posavano le penne e incrociavano le braccia… poi però ecco le domande, gli autografi, i fiori. Capirono che non ero mai arrogante, ero lì per aiutarli. Non ero la reginetta dell’universo. I primi tempi furono incredibili e tutto continua a essere incredibile. Con clienti sempre più importanti. Dopo i primi quattro anni da libera professionista, ho cominciato a creare la squadra: la segreteria, poi l’organizzazione di eventi insieme agli altri guru mondiali sia di fotografia che di Photoshop.

Come funziona la squadra Santoni?

Lavorare a distanza ci fa amare. Tante cose da dire, fusione di idee. Lontani da dinamiche aziendali. L’invidia non c’è, tutti sanno di poter far tutto. La Santoni rompe, è un caterpillar. Non accetta mai un no: non si può fare? Bisogna farlo. Una via si trova sempre, mettendo insieme la nostra follia… siamo un po’ disadattati. Non c’è il concetto delle ferie, tutto è molto liquido. A volte scatta “il sequestro di persona Santoni”, però per dei motivi. Pretendo tanto, l’eccellenza non è mai abbastanza. Secondo me questo modo di lavorare è affine allo spirito umano, meno aberrante. Fabio Lupparelli (l’autoironico collega che scatta le foto durante l’intervista n.d.r.) è la prova vivente che s’impara.

Che cos’è Photoshop, spesso confuso con un cancellino di cellulite e, per imperizia, di ombelichi?

Photoshop è una grande camera oscura che ha permesso al fotografo di riappropriarsi anche del colore che era appannaggio di pochi. Concede infinite possibilità nel processo creativo: da quando scatti a quando hai la stampa in mano. Non è più come quando consegnavi il rullino. Photoshop non è la photoshoppata , ma è il mezzo che ti porta a fare quello che vuoi. Meraviglioso, in costante evoluzione, stimolante: apre porte nuove e l’unico limite sei tu. Mette di fronte all’importanza delle idee e della forza di quello che si vuole dire.

Si scatti l’autoritratto.

Voglio vivere a Foligno. Fare la valigia e muovermi non mi affatica, svegliarmi presto la mattina sì. Mi piacciono le idee brillanti e cerco di scegliere gente più brava di me in tutto, mai avere paura di essere annebbiati: se sei il migliore in una stanza, ti trovi nella stanza sbagliata. Noi siamo le cinque persone che frequentiamo. Le menti creative hanno bisogno di essere libere. Penso sia molto importante tutelarci: gli occhi, i valori. Non lasciarci rovinare. Se vuoi dare agli altri devi essere molto forte e molto pieno.

La bellezza?

La bellezza è per me come una necessità fisica. L’armonia del dentro con il fuori, sempre. Tutto ciò che esprime senza equivoci, con grande nitidezza quello che c’è dentro. Una sorta di onestà, coerenza tra il dentro e il fuori. Vale per le persone, vale anche per l’oggetto. Non è bello ciò che è forzato, non credibile. Un trucco eccessivo, una luce aggressiva, una photoshoppata, appunto. Bisogna tenere l’occhio allenato al bello. Se ti abitui alla bellezza la bruttezza la fuggi. La bellezza la cerco sempre soprattutto negli altri. Io al massimo porto i tacchi, io sono una cosa semplice e quindi per me va bene così.

Com’è scattare una foto?

Devi innamorarti del soggetto, aver voglia di conoscerlo. Quando scatti non c’è niente altro: solo quello. È molto purificante. Il mondo deve rimanere fuori. Fotografare è prestare i tuoi occhi agli altri. Fai un regalo all’umanità perché dai agli altri qualcosa che non vedevano.