«Al funerale di mio padre una tipa, al corrente del fallimento dell’azienda mia e di mio marito, mi ha avvicinato e ha detto: ah però, vi avranno anche pignorato tutto ma sei sempre molto elegante! La badante ucraina di papà l’ha fulminata. Io ho ringraziato per il complimento perché la dignità non va persa, se sei a posto con la coscienza la dignità è l’unico patrimonio che ti resta. Se la perdi ti ammazzi». Carla Latini è una bella donna dagli occhi grandi e il sorriso generoso, sarda adottata dalle Marche, nata negli anni Sessanta, ha due figli, un marito, un gatto e una storia che nessuno può sottrarle.

Nel 1984 dirige una radio privata, fa teatro e studia ingegneria. Incontra Carlo che lavora nell’azienda agricola di famiglia e fa l’attore. L’amore sboccia, nascono progetti, contraggono matrimonio, arrivano i figli, Michele prima e poi Teresa e siccome la creatività genera creatività a Carlo spunta in testa un’idea. C’è un grano antico con un’eccellente qualità della semola e un gusto rustico. La sfida è capire come reintrodurre la coltivazione. Carlo Latini ormai esperto agricoltore, tenace lavoratore, uomo capace di passioni e visioni, pensa di tentare quell’impresa anche per onorare l’agronomo e genetista Nazzareno Strampelli che, quasi cent’anni prima, quel grano l’ha scoperto gettando inconsapevolmente le basi per la Rivoluzione verde, quella che sfamerà la Cina di Mao.

Strampelli all’inizio del XX secolo, mentre il nostro Paese soffre di denutrizione e importa oltre metà della farina per fare il pane, seleziona e incrocia centinaia di differenti tipi di frumento con l’obiettivo di dare a ogni luogo d’Italia la sua varietà, coltivabile secondo i diversi microclimi, per raggiungere l’autosufficienza alimentare. Serve un triticum durum con larga adattabilità e per ottenerlo c’è bisogno di ricerca, finanziamenti e sperimentazioni sul campo. E serve fortuna, che si palesa nell’incontro tra l’agronomo e il marchese e senatore Raffaele Cappelli il quale è disposto a creare terreni sperimentali. È la svolta.

Dopo una decina d’anni di prove nel 1915 voilà, dove si pianta una spiga Strampelli aumentano le rese medie per ettaro. Inizia la storia del grano duro e dell’eccellenza italiana: la pasta. Le vecchie varietà sono soppiantate dal chicco che l’agronomo dedica al senatore Cappelli (da qui il nome della varietà). Tra il 1922 e il 1933 la produzione passa da 44 a 80 milioni di quintali. La coltivazione arriva senza rallentamenti fino agli anni Sessanta quando, in seguito al boom economico e demografico, non riesce più a soddisfare il fabbisogno.

Carlo Latini si appassiona a questa storia e alle preziose qualità dell’antico chicco profumato e ruvido, che quando diventa pasta regala una tenuta stagna alla cottura. Così nel 1991 ricomincia la coltivazione: prende quattro quintali di semi Senatore Cappelli e li pianta nel terreno accanto a casa sua a Osimo. L’anno dopo sul mercato mondiale arrivano spaghetti e spaghettini in purezza: solo grano duro Senatore Cappelli, una prelibatezza per gourmet che le gastronomie di Parigi, New York, Berlino, Tokyo, Sidney, Barcellona espongono in vetrina. Da quel momento Latini lega indissolubilmente il suo nome a quelle sementi e diventa il marchio d’eccellenza della pasta. Altri agricoltori lo imitano e così la varietà oggi si coltiva da Matera ad Altamura, da Osimo a Siena, da Foggia a Montefalco. E perfino l’industria alimentare strizza l’occhio al Senatore Cappelli, marchio che Carlo e Carla difendono strenuamente, rinnovandolo fino allo scorso anno. Nonostante la ditta Latini nel 2014 sia dichiarata fallita.

«La crisi mondiale aperta nel 2008 è stata determinante, ma l’odissea è iniziata nel 2002», spiega Carla. «Dopo dieci anni di lavoro il pastificio produceva top di gamma, il marchio Latini era distribuito e conosciuto in 14 Paesi. Avevamo un fatturato di un milione di euro (cifra notevole per una pasta di nicchia, fatta con grano e mano d’opera locale, ndr). Una grande azienda italiana leader del caffè con export in 70 Paesi, voleva diversificare la produzione. Chiese una consulenza a mio marito per la coltivazione di alcuni terreni. In quell’occasione si strinse un accordo commerciale: noi avremmo ampliato il mercato, loro i settori produttivi. Siamo diventati Srl e abbiano iniziato l’avventura».

Le cose, però, non vanno come previsto. Strategie di vendita, logiche e tempistiche di marketing nel giro di qualche anno si rivelano inadatte al pastificio Latini, che nel 2006 si ritrova a esportare in meno paesi, anziché di più. Non si riesce a sanare la cosa e nel frattempo a Osimo, sede dell’azienda, arriva anche un’alluvione: campi devastati, migliaia di euro di pasta stivata da buttare, consegne alla grande e piccola distribuzione bloccate. È Natale. Il Pastificio Latini si trova in difficoltà, tenta una ricapitalizzazione con l’appoggio della grande azienda del caffè. Non funziona. Nel luglio del 2008 Carlo e Carla firmano e riprendono il 49 per cento delle quote.

A settembre scoppia il caso Lehman Brothers e travolge anche una delle due banche che ha deciso di finanziare i coniugi Latini. Cambiano i vertici, cambia tutto. Serve un rientro, ci sono i fornitori che reclamano, si tenta il tentabile, inclusa la creazione di una società nuova che prenda in affitto pasta Latini e, con un contratto in esclusiva con un distributore mondiale, permetta di omologare un concordato preventivo affinché la maggioranza dei creditori decurti il credito in misura utile all’azienda. La procedura si avvia e viene affidata a un commissario nominato dal Tribunale. «Tutto per ripagare i buchi ed evitare i licenziamenti», spiega Carla che con pena ancora evidente prosegue: «Ci riuscimmo, ma presto anche questa soluzione presentò il conto. I motivi? Tanti. Inclusa la volontà di farci fallire per acquisire i marchi da noi così tanto difesi e conservati».

Siamo tra il 2012 e il 2014 e a questo punto tutti i loro beni sono ipotecati, nulla è più di loro proprietà. E sono senza lavoro. «In quegli anni ci hanno staccato spesso corrente e gas. Un Natale avevo promesso ai miei genitori che avrei fatto l’anatra al forno: la cucinai sul barbecue perché non potevo raccontare la verità. Una sera avevo a cena mio figlio con la sua fidanzata: misi in tavola una cena fredda a lume di candela, sorridevo e ci scherzavo su ma ero a pezzi».

Qual è stato il più grande errore?

Aver fatto società con qualcuno.

Cosa vi ha salvato?

Il nostro amore, lo dico senza retorica. Io mi sono arrabbiata tanto con Carlo, però ci sentiamo forti insieme. Poi dobbiamo ringraziare amici che hanno vissuto cose simili e che ci stanno ancora aiutando. Perché in Italia un imprenditore in questa situazione è annientato: gli tolgono tutto, gli resta solo uno stigma. Ci vogliono anni per riacquistare diritti legali e finanziari: non puoi accedere a nessun conto corrente, ogni volta che chiedo di aprirne uno ottengo dei no per via dei pignoramenti che pesano come macigni quando una banca controlla il tuo passato. Anche se non è tuo, ma dell’azienda di cui eri socia. La casa in cui viviamo ora è della banca e la metterà all’asta. È solo questione di tempo. Una spada di Damocle.

Anomalia italiana affossare un imprenditore che sbaglia una volta: è come disincentivare l’impresa, che è nettare per l’economia. Voi in attesa che l’iter legale stabilisca a chi apparterrà il marchio di casa e quello di Senatore Cappelli, resistete e Pasta Latini con voi, ma in modo diverso…

Che altro potremmo fare? Dobbiamo vivere e la cosa più saggia è non disperdere i 25 anni di lavoro. La nostra opera è un riferimento per i competitor e una certezza per i nostri clienti. Continuare è stato possibile perché vicino all’inestimabile aiuto di parenti cari, io per prima ho reagito con pragmatismo e capacità di lottare per la sopravvivenza.

Oggi la loro pasta si chiama 600.27 firmata da Carla Latini: 600 sono le varietà di grano duro e 27 i formati realizzati negli anni. Vicino alla ex casa dei Latini, l’appezzamento di terra dove ondeggiano spighe una diversa dall’altra, racconta la loro storia, la loro resilienza e dignità. «In un attimo vivi la morte di una cosa tua, che in più ti teneva in vita perché pagava le bollette. È una duplice morte, ma la dignità non va smarrita, se accade allora sì che hai perso tutto», ripete Carla sfoderando un sorriso malinconico ma che – pare incredibile - mette pace.

Tra il 2009 e il 2016 in Italia sono fallite centomila imprese in settori di mercato i più disparati: lo rileva il Centro Studi Impresa Lavoro rimarcando una crescita dei fallimenti del 55, 42% rispetto a sei anni fa (numeri forniti da OCSE e CRIBIS). Una crisi che sta ancora lasciando sul lastrico tanti “coniugi Latini”, la cui storia è paradigmatica.