Questo è il teatro, di fatto l’arte politica per eccellenza.
Solo in esso, nel corso così vivo della rappresentazione
la sfera politica della vita umana può essere trasfigurata
a livelli ulteriori, così da fondersi con l’arte.

(Hannah Arendt - Vita Activa 1958)

Cosa spinge un centinaio di sconosciuti a ritrovarsi, in pieno agosto, a 900 metri di quota, lontano da spiagge, grigliate, apericene e serate danzanti, in nome del Teatro e della Memoria? Semplicemente è un piccolo prodigio che ormai si ripete da 14 anni sull’Appennino tosco-emiliano, al passo della Futa, in una cornice tanto suggestiva da un punto di vista paesaggistico-architettonico, quanto agghiacciante a livello storico: è il sacrario militare germanico della Linea Gotica, ultima destinazione per circa trentamila soldati della Wehrmacht, realizzato fra il 1961 e il 1969 su progetto dell’architetto Dieter Oesterlen.

Non è un cimitero qualsiasi e ben poco ha da spartire con la classica formula di questi luoghi, il più delle volte una griglia di croci bianche in un pratino curato, spesso vigilate da un residuato bellico più o meno vistoso quale può essere un mortaio, un cannone o addirittura un tank. Non c’è spazio per i cimeli alla Futa, cimitero militare che ripudia il militarismo; c’è invece, sottotraccia, direttamente la guerra: essa è nei camminamenti scavati come trincee e negli interminabili muretti a mezzacosta che ricordano gli sbarramenti anticarro, e traspare nei numerosi specchi d’acqua, circolari come i crateri lasciati dalle esplosioni, così come nelle sparute alberature circondate da vasti prati, memori dei paesaggi lunari lasciati ai superstiti laddove la linea del fronte si attestò più a lungo.

Ecco allora, su una vetta appenninica, dispiegarsi forse il più antiretorico di sacrari, un luogo di meditazione strutturato su un disegno a spirale lungo cui si snoda un percorso di lieve, contenuto, iniziatico avvicinamento verso la cappella posta sulla vetta: un ambiente ipogeo sul quale la lunga cicatrice dei muretti controterra, anch’essa disposta a spirale, s’impenna in un’alta lama di roccia, elemento a sua volta così astratto da concedersi alle associazioni mentali più disparate: stele funeraria, torre di avvistamento, coda di un aereo schiantato, “orecchietta” a una pagina di Storia.

Alla Futa insomma è stato realizzato quanto di più antitetico si potesse immaginare rispetto a un altro famoso cimitero militare in territorio italiano: il sacrario di Redipuglia, compatto dispiegamento di centomila Caduti della Prima Guerra Mondiale che rispondono unanimi “Presente” al seguito dello Stato Maggiore, secondo lo schema di una legione romana. Da una parte la fierezza dei martiri della vittoriosa “Quarta Guerra d’Indipendenza”; dall’altra lo smarrimento di tante vite inutilmente sprecate in una terra nemica.

Non è un caso allora se proprio questo luogo così sensibile a temi tragicamente universali e attuali ma così estraneo alla retorica che usualmente li ammanta fino a sfigurarli, stia vivendo una nuova esistenza grazie a qualcuno capace di coglierne il potenziale: Archivio Zeta, associazione culturale di produzione indipendente di teatro e cinema fondata nel 1999 da Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni, dal 2003 ha individuato nel sacrario lo spazio scenico per i propri spettacoli estivi; in questi anni sono riecheggiati fra le lapidi del cimitero i testi di Eschilo, Sofocle, Kraus, Pasolini, Shakespeare, Cortázar: una varietà di autori sufficiente già di per sé a dimostrare la duttilità, nell’essenzialità, di questo luogo. Una cornice che meno limiti ha e più suggestioni dà, così come i pochi elementi di scena aggiunti di volta in volta, i costumi essenzialmente precisi e i minimi accompagnamenti musicali. Un’elasticità che è lo stesso pubblico a sperimentare, ritrovandosi dentro la scena ora seduto su un pendio, ora accampato a ferro di cavallo, ora diviso in due ali lungo un corridoio.

Forte di un riscontro di pubblico crescente di anno in anno e di una fama ormai consolidata, Archivio Zeta prosegue quindi nella sua sperimentazione raffinata e rispettosa, in un sacrario divenuto contesto e pretesto per le sue rappresentazioni, contribuendo alla meditazione dei vivi e rasserenando il riposo dei morti.

Referenze:
Volksbund
Archivio Zeta