Ed ecco un’altra domenica che si consuma contemplando gli alberi e le piante che incorniciano il terrazzo. A portata di mano ho l’iPad aperto, pronto a ricevere la mia scrittura. Ma la scrittura ritarda e lo schermo ritorna nero e rimanda il mio viso che nel frattempo si è fatto di carta pesta. La domenica arriva troppo velocemente; divora gli altri giorni e regolarmente ritrova me del tutto impreparata. È da tempo che vorrei scrivere la storia di alcuni edifici ravennati portati al macello, e magari tra questi c’è anche il macello comunale.

Fanno parte dell’archeologia industriale ravennate.
Archeologia Industriale: queste due parole devono essere di difficile comprensione; sono soprattutto ignorate; che siano diventate contro cultura?

L’improbabile in cerca di mistero/ la malraccontata di mura costruita/ in carceri chiuse, cade a pezzi…

(Tommaso Di Francesco, Cliniche)

Ravenna ha posseduto e possiede molte opere di archeologia industriale, lasciate crollare o abbattute per costruire proprio lì nuovi centri commerciali, con la promessa di ricostruire i vecchi edifici un po’ più in là o un po’ più in qua. A seconda.

Oggi è il 26 giugno 2025.
Da due giorni ho finito di scrivere questo racconto. L’ho letto e riletto e va tutto bene, ma c’è qualche cosa che non funziona. Va tutto bene ma niente va bene.
Tra i tanti edifici di Archeologia Industriale ravennate abbattuti o in attesa di crollare ho raccontato il destino di due capolavori: la Fornace Hofmann Cilea e la fabbrica dei concimi della Darsena. Il loro destino lo riassumo qui.

"L’ex fornace Hofmann Cilea, situata in via Romea Nord, non poteva essere abbattuta", afferma Alvaro Ancisi, candidato sindaco di Lista per Ravenna. La struttura è stata classificata dal Piano Regolatore Generale (PRG) ’93 tra gli: "Edifici e/o complessi isolati di interesse storico artistico e/o documentario", con destinazione degli usi ad "attrezzature ricettive" e a "servizi privati di interesse pubblico" (Ravenna notizie.it, 8 aprile 2011).

Venendo da Marina Romea vedevo la fabbrica che riprendeva le facciate delle nostre basiliche. Nel 1994 collaborai alla realizzazione, da un’idea di Maurizio Bonora, di un “Museo in atto”, teorizzato da Umberto Eco. Maurizio Bonora è un amico e un’artista impegnato spesso nella realizzazione di opere di grandi dimensioni: una sorta di reincarnazione di Cosmè Tura. E ci riuscì anche per la fornace Hofmann. Il progetto prevedeva un’agile ristrutturazione, a quel tempo ancora possibile, con all’interno elementi predisposti per la realizzazione di mosaici alle pareti, in un divenire aperto a turisti e a cittadini interessati.

Fu un lavoro impegnativo, lo consegnai in Comune e dopo un po’ di tempo mi venne comunicato che il progetto era interessante, ma l’area era privata, e l’edificio stava per crollare, però sicuramente l’avrebbero ricostruito nelle vicinanze. Ora nel luogo della fornace risiede il supermercato Famila. Sarà il grande caldo, ma provo uno strano senso di nausea.

La grande basilica di legno della Darsena

Per un po’ di storia riporto qui una parte dell’articolo del 27 ottobre 2022 , Ravenna in Comune.

Quella che nel 1905 era la fabbrica dei concimi della Darsena a fine 2018 è stata sottoposta a bonifica dall’amianto. Sono stati tolti i pannelli che la rivestivano ed è stata lasciata così. Ai primi di ottobre dell’anno successivo sono iniziati i crolli che, per lungo tempo, hanno costretto alla chiusura dell’adiacente Via Antico Squero per motivi di sicurezza. Riaperta la strada, l’Amministrazione Comunale è tornata a disinteressarsene completamente. Eppure l’Assessore Fagnani, al momento di relazionare al Consiglio Comunale, nel novembre 2019, aveva correttamente evidenziato l’unicità del “monumento nel panorama delle archeologie industriali ravennati: «Presenta una struttura completamente in legno massello unica e di grande suggestione, ordita in modo da creare una sorta di basilica a tre navate caratterizzata da una spazialità molto interessante».

Proprio per questo avrebbe dovuto essere uno degli elementi qualificanti dell’ormai scaduto POC Darsena: il Parco delle Archeologie, costituito dal recupero degli edifici di archeologia industriale con usi prevalentemente culturali e per il turismo. Non se ne è fatto niente, naturalmente, così come avviene sempre con tutti i progetti, non speculativi a Ravenna: restano sempre e solo al livello dell’annuncio.

L’invito è quello di andare velocemente ad ammirare questa basilica laica che a me ricorda, così libera da strutture murarie, un tempio greco. Proprio così, ancora per poco, in Darsena sarà possibile ammirare un tempio greco che si riflette nell’acqua del canale.

Continuo a provare quel senso di nausea che non viene dalla pancia, ma dalla testa.

Il destino di queste costruzioni è simile ai pini di città. Qualche mese fa venne Gian Pietro Cantiani, grande esperto che ha salvato migliaia di pini a Roma, a Torino e in altre città. Spiegò ai cittadini interessati e ai dirigenti comunali come è possibile, intervenendo sulle radici, proteggere e quindi non abbattere i pini. Inoltre con spese minori rispetto all’abbattimento. Niente. Si continua ad abbatterli e noi abbiamo bisogno degli alberi per la nostra salute sia fisica che mentale. Non so, in queste scelte vi è qualche cosa di ottuso, di perverso. Ecco, ritorna la frase che ripeto spesso: si va a tentoni in reciproche cecità. È proprio così perché se scienziati, studiosi di ogni ordine e grado ci avvertono che gli alberi ci possono salvare dall’inquinamento del suolo e dell’aria e si continua ad abbatterli senza dare ascolto a chi ne ha salvati tanti, allora si è proprio accecati, come si è accecati quando si sono abbattuti o si abbattono edifici storici. Non si riconosce più la bellezza e la salute del paesaggio urbano. Lo sguardo incantato, pieno di meraviglia è rimasto solo a bambine e bambini. Proprio quei piccoli che sono ancora in grado di alzare lo sguardo e vedere altro da noi. Vedere la bellezza, appunto.

E nel frattempo Ravenna scotta, l’onda bollente viene anche dal mare. Il mondo è grandissimo e la vita follemente corta. Perché devo abituarmi alle onde di calore, alle polveri sottili, alle bombe d’acqua, alle inondazioni, alla siccità, alle frane, alla subsidenza, alla gente che urla invece di parlare, soprattutto al ristorante? Perché devo rassegnarmi all’abbattimento degli alberi, al rigassificatore, al muro in mezzo al mare, al gasdotto che come un serpente sotterraneo e mostruoso nel suo cammino ha fatto fuori tutti i paesaggi che ha incontrato -e rivelato pezzi di storia, ville romane, subito ricoperte-? Perché non è stato attuato l’ormai scaduto POC Darsena? Perché è stato costruito il supermercato Famila proprio dove c’era la fornace Hofmann che doveva diventare, su suggerimento di Umberto Eco, un “Museo in atto” privilegiando così la vocazione primaria di Ravenna,- il mosaico- che in molti se lo sono dimenticato? E le torri Hamon e la gente di Dublino e Antonioni? E i dazi e per fare la pace ci vuole la guerra e quel 5 per cento del pil per la difesa? Ma da chi dobbiamo difenderci, se non da noi stessi?

Abbiamo bisogno di ospedali e di scuole che funzionino, altro che di fabbriche di armi. E spunta anche il nucleare di nuova generazione per evitare il solare e l’eolico. Intanto la nausea aumenta, ma il mondo è ancora grandissimo e ciò che gli accade appartiene anche a me. Purtroppo. Ed ecco le parole di Sean Kuti, figlio di Fela Kuti:

Un consiglio ai giovani europei, (ma anche ai non più giovan*). So che volete la Palestina libera così come il Sudan, il Congo, l’Iran, l’Ucraina, c’è n’è una ogni settimana… Rendete libera l’Europa, dall’estrema destra, dal fascismo, dal razzismo, dall’imperialismo e, non appena accaduto questo, Gaza sarà libera, così come il Congo, il Sudan, l’Iran… Liberate l’Europa.

Mi può andare bene, già l’Europa è molto più piccola del mondo intero e la nausea sembra se ne stia andando. Cosa potremmo fare per liberarla? Niente, sì proprio niente. Fermiamoci. Stiamo tutt* un po’ fermi; incrociamo le braccia e magari, proprio se ci stanchiamo di stare in casa, andiamo al mare in bicicletta: guardiamo se hanno tolto i capanni o li hanno messi un po’ più in qua o un po’ più in là. Ma la vera rivoluzione pacifica è quella di non andare a lavorare. È necessaria un’altra via, che a me sembra quella di prevenire. Lo so, nel mio pensiero c’è della follia; ma sono secoli che arriviamo sempre “dopo”. Bloccare il potere patriarcale prima che inizi o finisca un’altra guerra. Se non usciamo di casa, i potenti dopo un sol giorno, con le loro fabbriche deserte, ci cercheranno per contrattare il nostro ritorno. Ma non dovremmo più ritornare all’industria delle armi, del nucleare, del gas, dei pesticidi, delle trivelle. Ci possono uccidere tutt*? Non lo so. Forse quei due o tre potenti che governano il mondo si libereranno definitivamente dell’Europa, che qualche problema anche minimo lo dava. Faranno venire poi gli ultimi della terra a costruire le armi di ultima generazione perché, mi ripeto, per ottenere la Pace è indispensabile fare la guerra.

Però mi è ritornata la nausea.