La città di Firenze conferma ancora una volta di essere in grado di svolgere un ruolo di primissimo piano nell’ambito della promozione dell’arte contemporanea a livello internazionale nonché un ruolo di stimolo del dialogo tra passato, presente e futuro. Questa volta lo fa coinvolgendo uno dei maggiori pittori al mondo, probabilmente il più talentuoso e originale: Glenn Brown.

L’artista inglese espone le proprie opere (circa 30 pezzi tra i quali dipinti, disegni e sculture, alcune delle quali realizzate per l’occasione) all’interno del Museo Bardini accanto alle opere appartenenti alla famosissima collezione di Stefano Bardini, celeberrimo antiquario e collezionista d’arte del XIX e primo XX secolo. Una collezione, quella di Bardini, che comprende diversi capolavori dell’arte medievale e rinascimentale tra i quali la Carità di Tino da Camaino e la Madonna dei Cordai di Donatello, il Crocifisso di Bernardo Daddi, il San Michele Arcangelo del Pollaiolo e l’Atlante del Guercino oltre a straordinari disegni del Tiepolo e del Piazzetta.

In questo contesto le opere di Brown non sono affatto fuori luogo ma anzi sono parte integrante della collezione perché la pratica artistica di Brown non ha nulla da invidiare ai grandi maestri rinascimentali. Recuperando immagini del repertorio classico, infatti, Glenn Brown utilizza il suo virtuosismo per dare nuova vita a quelle immagini, a quel repertorio così familiare ma allo stesso tempo così distante nel tempo. Quelle minuziose pennellate sembrano quasi corrodere la tela e le immagini cui fanno riferimento, esprimendo pienamente quelle tendenze fortemente contemporanee di rottura dei confini, dei canoni, dei limiti.

Viviamo in una situazione/condizione magmatica che non sappiamo ancora bene quale forma prenderà nel breve così come nel lungo periodo. Questa stessa condizione è presente nelle opere di Glenn Brown. Opere che sono allo stesso tempo belle e grottesche, ammalianti e spaventose, razionali e irrazionali. Una coesistenza di opposti dove gli opposti né si attraggono né si respingono. Convivono in modo armonico, originale, innovativo innovando anche il nostro approcciarci al passato, al presente, al futuro. Francesco Bonami anni fa definì Glenn Brown un chirurgo plastico della pittura in quanto con la sua pittura è capace dare nuova linfa ai capolavori dell’arte, capolavori che invecchiano e che hanno bisogno di un “lifting”. Lifting che però non è da considerarsi come mero “restauro” perché altrimenti ci ritroveranno di fronte a un bravissimo tecnico e non a un artista.

Brown invece come un moderno Dioniso porta con sé la gioia della rinascita primaverile, la vigorosa sovrabbondanza estiva, il buio e il silenzio delle giornate invernali. Come il demiurgo platonico plasma e vivifica la natura preesistente dandole nuova forma, a volte ne percepiamo anche l’anima. Maurits Escher diceva “colui che cerca con curiosità scopre che questa di per sé è una meraviglia” e forse questi sono i due elementi principali di questa mostra: solleticare la nostra curiosità per andare oltre l’ordinarietà, alimentare il nostro senso del meraviglioso per andare oltre i limiti del possibile, del conosciuto, dell’esistente. Uno stimolo in più per accendere quella scintilla capace di generare in noi meraviglia, quella meraviglia che è la base della filosofia e del sapere, e che è la sola capace di rivoluzionare l’esistente.