È da poco passato il National Day della Russia, il 12 Giugno, una delle feste più giovani del paese; la sua storia inizia, infatti, nel 1990 quando il primo congresso dei deputati del popolo della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa adottò la dichiarazione della sovranità della Russia. In essa fu proclamato il primato della Costituzione Russa e delle sue leggi. Il nome odierno, Giorno della Russia, è stato assegnato alla festa solo nel 2002 e le prime celebrazioni si sono svolte sulla piazza Rossa nel 2003.

Già ad Expo 2015, il Paese lo aveva festeggiato in un bellissimo e originale padiglione che, attraverso il dialogo tra architettura e natura, abbracciava le tradizioni e la cultura di tutto il Paese. Il padiglione della Federazione raccontava gli aspetti meno noti di questa sterminata nazione e rispondeva egregiamente al tema proposto dall’esposizione stessa, mostrando la natura incontaminata, la ricchezza del suo territorio e l’eredità lasciata a tutto il mondo dagli scienziati e dagli agronomi russi. Quella costruzione, in legno e acciaio progettata dall’architetto Sergei Tchoban, rappresentava un’architettura espressiva che richiamava il paesaggio delle grandi distese della steppa, delle fitte e rigogliose foreste e le aspre vette della catena del Caucaso e degli Urali. All’interno, il legame con la natura veniva rappresentato attraverso l’agricoltura in un percorso alla scoperta dei sapori, dei prodotti e dei piatti tipici della gastronomia di un popolo che non rinuncia alla propria cultura e al rapporto con il suo territorio. Fra artisti, cori di monaci e seminaristi del monastero maschile di Sretenskij e giravolte del corpo di ballo e di canto cosacco Stanitsa spiccavano le sempreverdi e immancabili Matrioške scolorate. Sorridenti, ben vestite, allegre, di legno profumato.

Quando si parla di Russia e di suoi souvenir, una delle prime cose che ci viene in mente è proprio la Matrioška. A ogni amico o conoscente che si reca in Russia ho suggerito di comprarne qualcuna, ma scegliendole attentamente e con cura, per evitare che finiscano in un solaio isolato, in una polverosa cantina o in un cassetto sperduto della casa. Molti di noi ricorderanno quando, da bambini, vedevamo bamboline allineate sui comò delle nonne o delle anziane zie, vestite e impolverate nell’angolino un po’ kitsch. Queste bamboline vestite diversamente a seconda del Paese di origine, souvenir dei viaggi di nipoti e figlie, erano quasi sempre immancabilmente affiancate da altre figurine colorate allineate in rigoroso e quasi maniacale ordine decrescente, le Matrioške. Lucide, colorate, sorridenti, panciute, dal visetto simpatico, allegro e rubicondo. Quante volte le abbiamo aperte, facendo leggermente scricchiolare il legno, sotto l’occhio attento della nonna che temeva di veder perso l’elemento più piccolo mentre ruotavamo il busto alla scoperta del contenuto. Eravamo curiosi e aprivamo quel cerchio magico di figure alla ricerca di una sorpresa che c’era sempre. Immancabilmente. Un po’ delusi arrivavamo alla fine, avremmo voluto che quella ricerca e continua scoperta non finissero mai, o almeno non così presto. Perché i pezzi erano dieci. Solo da grandi avremmo saputo che il numero di bambole inserite l’una nell’altra può variare da 3 a 60 e che il pezzo più grande si chiama “madre” mentre il più piccolo “seme”.

A questo punto, credo sia immediatamente chiaro il significato di questo oggetto tradizionale russo. Simbolo di fertilità femminile, famiglia, generosità della terra, la Matrioška (matrëška è il diminutivo-vezzeggiativo di Matrëna, diffuso nome proprio russo derivante dal latino mater, madre) è anche un modo per dominare lo spazio, perché contraddice il fatto che uno stesso luogo non possa essere occupato da più di un oggetto, e un concetto che rimanda alla molteplicità dell'io. Donna quindi capiente, che racchiude, preserva, custodisce, include e preclude.

La prima Matrioška russa è apparsa alla fine del XIX secolo, nel podere Abramtsevo, lungo la strada che porta al monastero di San Sergio di Radoneza, in riva al fiume Vor', a circa 60 km a nord-est di Mosca. Ci sono due versioni sulla sua origine. Una sostiene che sia nata nell’isola giapponese di Houshu, come giocattolo speciale fatto di molte parti interposte e che sia stata portata in Russia dalla moglie di un famoso collezionista d’arte, Savva I. Mamontov (1841- 1918). L’altra ritiene, invece, che fu un monaco russo che per primo portò in Giappone l’idea di fare una bambola fuori dal comune.

Ma gli artigiani russi la amarono subito e così iniziarono a crearle. Fu l’artista Sergej Maljutin (1859-1937) a disegnare, per la prima volta, una bambola che raffigurava una contadinella dalla faccia rotonda e dagli occhi luminosi con sarafan e grembiule bianco e i capelli lisci pettinati con cura e nascosti in gran parte sotto un fazzoletto a fiori dai colori vivaci. Aveva in mano un gallo nero. Da allora le decorazioni sono diventate numerosissime: fiori, animali, chiese, icone, fiabe popolari, argomenti legati alla famiglia, capi religiosi e politici. Il vero segreto di questo oggetto sta nel legno, in genere si preferisce il tiglio per la sua tenerezza. Abbattuto l’albero, se ne toglie la corteccia lasciandone una minima parte per evitare spaccature durante l’essicazione. I tronchi sono lasciati ad asciugare per anni, facendovi liberamente circolare l’aria per evitare muffe. Gli esperti capiranno poi il momento adatto per realizzare la bambola più piccola della serie fino alla successiva, che dovrà contenerla.

Ogni bambola finita viene coperta con colla amidacea e levigata perché possa essere colorata con vernici, fino ad arrivare alle meravigliose creature che si vedono nei negozi più belli di souvenir. Il pezzo più grande può arrivare fino all’altezza dello stesso artigiano. Dovete sceglierle con cura, perché sono tutte diverse e le fattezze più o meno delicate. Una bella Matrioška di dieci pezzi ben dipinti, può costare anche parecchio, ma la sorpresa nel vederle allineate nel vostro elegante e luminoso salone sarà grande, credetemi. Troverete la famiglia con sale e pepe (per far risaltare l'ospitalità delle famiglie russe), il rito del tè (se una famiglia invita qualcuno per il tè significa che vuole stringere rapporti d’amicizia più stretti con l’ospite), le fiabe popolari (dalla gallina dalle uova d’oro a Cheburashka, personaggio di antiche leggende russe, con gli amici Gena il coccodrillo e Starukha Chapoklavak).

Vi sono poi le bambole legate alle festività, alle icone e alla città, con lamine d’oro, a tempera e vernice d’argento. Nell’ormai lontano 2009, la moda ha portato alla ribalta questa figurina, nelle versioni di Vogue, nelle trousse di Pupa, nel profumo di Kenzo, nelle borse e gli accessori di Chanel. Muji ne ha fatto una versione nera lavagna perché grandi e piccini vi possano disegnare sopra. Quattro minuti, disponibili in rete, di bamboline che danzano, si aprono, si chiudono e richiudono, si piegano e ripiegano, al ritmo di una piacevole musica russa, con la piccolina che rimane sempre un po’ indietro, come il brutto anatroccolo. Salvo che essa sarà sempre al centro e tutti la aiuteranno a restarvi. Quell’essenza di tenero legno resta nelle narici e, tralasciando il commento banale di chi potrebbe protestare contro l’abbattimento di un albero, quel profumo intenso mantiene il legame con il cuore della natura, con madre natura, quel cuore caldo che ci accompagna ogni giorno e che ci abbraccia in una calda serata estiva. Magari sorridendo dal comodino. D’altra parte questo bell’oggetto può scricchiolare e incrinarsi un po’ ma non si infrange e si chiama madre….