Donatella Bisutti, scrittrice, poetessa, giornalista, critica letteraria, premio Montale per l’Inedito con Inganno ottico, ha pubblicato numerose raccolte di poesia, romanzi, antologie e saggi tradotti in tutto il mondo. Ha fondato e diretto le riviste Poesia e Spiritualità e Poesia e Conoscenza ed è impegnata come docente in corsi di scrittura e laboratori di poesia.

Cosa si sente di raccontarci di lei (gioie e delusioni, sogni e realtà, piacere e dolore… )?

Dovrei piuttosto scrivere qualche romanzo. Nella mia vita ho assaggiato tutti i ruoli, come è abbastanza normale del resto, sono stata la figlia, la madre, la moglie, l’amante, la straniera, l’esiliata, ho provato, credo come quasi tutti, la passione, la disperazione, la voglia di buttarmi dalla finestra,
l’estasi mistica, la bontà, la cattiveria, la commozione, l’estraneità, la delusione, la felicità, il successo, l’insuccesso, la vergogna, l’orgoglio. La vita, insomma. Di sicuro non mi sono mai annoiata.

La sua immagine esteriore come “personaggio” pubblico e il suo sentire come persona…

Non ho la percezione di essere un “personaggio pubblico”, mi stupisco sempre quando qualcuno mi dice che sono molto conosciuta. È come se si trattasse di un’altra persona di cui non so niente. A parte il fatto che non credo di essere così famosa, anche perché mi occupo essenzialmente di poesia e di poesia, a meno che non si crei un fenomeno mediatico come quello di Alda Merini, non si interessa quasi nessuno, in generale i nomi dei poeti non sono conosciuti fuori della cerchia degli addetti ai lavori, sono abituata a pensare a me stessa come ho sempre pensato, non in funzione di un esterno, ma di un interno , cioè diciamo secondo una prospettiva che parte dal mio intimo per osservare il mondo, e non da un palcoscenico da cui scruto quanto pubblico c’è in sala.

Pensando alla donna di oggi: possiamo parlare di liberazione, integrazione, o…

Piuttosto che alle parole “liberazione” e “integrazione” sono interessata alla parola “consapevolezza”. Credo che le donne, loro, abbiano ancora molta strada da fare in questa direzione, non si tratta di un diritto che devono pretendere dagli uomini. Tante volte mi sono domandata se la dipendenza femminile sia un fatto biologico legato alla maternità e a una minore forza fisica, o se sia qualcosa di indotto dalle strutture sociali. Le donne dovrebbero cominciare a riflettere di più su se stesse e a chiedersi quanto siano complici di una loro situazione tuttora spesso di inferiorità. Il problema delle donne è quello di liberarsi da una dipendenza dall’uomo sia psicologica che pratica. Le donne sono le prime a trasmettere questa nozione di inferiorità alle figlie, l’inferiorità femminile viene introiettata per via matrilineare. E poi c’è un altro aspetto inquietante nelle donne: anche fra quelle che non esercitano la “professione più antica del mondo”, ce ne sono molte contente di farsi mantenere o di sfruttare gli uomini in vari modi . E questo è un boomerang che presto e tardi si trasforma in schiavitù. Chi elargisce di solito comanda.

Come rappresenterebbe il rapporto donna-uomo contemporaneo: confronto o scontro?

Certo è problematico, conflittuale. L’uomo fugge, secondo me c’è una grande fuga nell’omosessualità. I sessi si confondono, i corpi delle donne sono diventati quasi maschili. Le donne non danno più agli uomini quello che gli uomini hanno sempre voluto, delle belle tette, dei bei fianchi, delle pance rotonde come le vediamo nei quadri fiamminghi. Sono delle amazzoni. Allora, mi vien da pensare, tanto vale. E un uomo può entrare meglio nella psicologia di un altro uomo, è più facile. Gli uomini invece non riescono a capire che cosa vogliano le donne. Le donne vogliono essere dei guerrieri però al contempo delle schiave d’amore. Vogliono sottomettere con violenza qualcuno che vogliono al contempo servire con dedizione. È un’immagine confusa per il cervello maschile, il cervello rettile, intendo, che è rimasto primordiale e fa fatica ad adeguarsi ai tempi nuovi. E questo provoca una fuga in massa. Oppure una tale rabbia di non capire che purtroppo spinge molti ad armarsi di coltello…

Sessualità, maternità, lavoro: tre fili che s’intrecciano, confliggono o si elidono?

Non sono mai riuscita a risolvere veramente questo problema, come dimostra il libro che ho scritto negli anni in cui mia figlia era piccola, intitolato Voglio avere gli occhi azzurri. In questo libro mi sono sempre messa dalla parte della bambina, non della mamma, che sbaglia quasi sempre, non riesce facilmente a entrare nel mondo di libertà e sogno della bambina, perché ormai lei non lo è più, è adulta, è condizionata dalla vita, dalle necessità pratiche di tutti i giorni, non può evadere. Ho sempre vissuto in maniera conflittuale maternità e lavoro perché mia figlia non amava che io fossi occupata da altre cose, era totalizzante, e io mi sentivo sempre in colpa. Quanto a sessualità e maternità, dovrebbero andare d’accordo, ma io le ho vissuto in conflitto perché mi sono innamorata di un altro uomo, ma seguire il cuore, nella mia situazione di allora, avrebbe voluto dire perdere mia figlia e soprattutto farla soffrire.

Poetessa, romanziera, critica letteraria, traduttrice, editrice, ecc.: qual è il filo rosso che lega queste molteplici attività?

ll filo rosso è l’amore per la letteratura, cioè le parole, il linguaggio, magico “lego” che permette di creare infinite realtà altre, o di penetrare questa realtà, di evadere, di inventare, di sognare, di dare un senso nominando ciò che altrimenti resterebbe grezza e incompiuta esperienza.

La sua produzione poetica è un arcobaleno fatto di versi che svariano dal sacro all’erotico, dal panteistico, dalla riflessione filosofica, all’esigenza di una transizione a una nuova umanità…

La tua pelle era il mio confine
La mia pelle il tuo
Ma lo passavamo di notte clandestini
Attraverso i reticolati
Evitando gli spari dei cecchini.

Ti prego torna – non ricordi quando…?
no non tornare non voglio ricordare
tutto quel futuro lo voglio dimenticare

Peccato avremmo potuto amarci
Se tuo padre non avesse voluto fare di te un eroe

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Peccato avremmo potuto amarci
se mio padre non fosse stato innamorato di me
non ho più potuto amare bene un uomo da allora.

Ha pubblicato la rivista Poesia e spiritualità e ora è uscita Poesia e conoscenza: ce ne può parlare?

Questa impresa culturale ed editoriale è nata dall’utopia di portare avanti dei valori legati alla spiritualità, in modo nuovo, anche in una dimensione laica, benché facendo tesoro delle esperienze del passato. Ma anche dei valori etici e civili di cui oggi sembra se ne stia perdendo il senso, quindi ho iniziato una nuova rivista cambiando il titolo da Spiritualità a Conoscenza, per dare l’idea di una dimensione sociale, orizzontale, non solo quella verticale di spiritualità. Ho avuto già collaboratori famosi anche stranieri, citerò solo Franco Cardini, Salvatore Natoli, Franco Loi, Eugenio Borgna, Jorge Savall, Bernard Noёl.

Su sollecitazione di Amnesty International ha scritto la poesia Per Aung San Suu Kyi prigioniera, poi apparsa sul Corriere della Sera: che rapporto ci può essere tra poesia e “impegno” politico?

Questo è un argomento che sto dibattendo sulle pagine della mia nuova rivista Poesia e Conoscenza. Negli anni dai Cinquanta agli Ottanta si è molto parlato di una letteratura e di una poesia dell’impegno, che allora era esplicitamente coniugato a una ideologia marxista, cui io non ho mai aderito e che ha anche troppo pesantemente condizionato la nostra cultura. Adesso penso che sia il momento di dare voce e consapevolezza a un momento storico grave che mette a rischio addirittura la struttura psichica dell’essere umano. Ho appena finito di scrivere a questo scopo un Manifesto che verrà pubblicato a breve sia sulla rivista sia sul web.

Parla della poesia come esperienza che coinvolge mente e corpo, dove la transmodalità sensoriale si incarna nella parola…

Ho scritto anni fa un saggio sempre attuale e abbastanza famoso che credo abbia contribuito molto a cambiare il modo di considerare la poesia: La poesia salva la vita, uscito prima da Mondadori e ora nei Tascabili Feltrinelli. Do molta importanza all‘aspetto “fisico” della parola, ovvero al suo rapporto non tanto con l’”anima”, come comunemente si crede, ma con il corpo, e quindi con le sensazioni e la sinestesia. E poi con l’inconscio, che può essere la parola moderna per “ispirazione” e ci mette in contatto con miti e archetipi.

Nei suoi scritti trapela interesse per la psicoanalisi, da dove nasce questa passione?

Se non fossi diventata scrittrice, la mia professione avrebbe potuto essere quella di psicoanalista. Diciamo che tutta la mia scrittura è stata una forma di autoanalisi; mi avvalgo sempre della psicoanalisi anche per analizzare i testi letterari altrui e scopro così cose che altrimenti sfuggono. Nel numero che sto preparando della mia rivista ho organizzato appunto un dossier su “testo e psicoanalisi” con vari interventi.

Se dovesse comporre un poema su Milano, quali ambienti, luoghi, atmosfere ne potrebbero essere fonte di ispirazione?

Milano di per sé non mi ha mai ispirato molto, la mia ispirazione poetica nasce soprattutto al contatto con la natura, e la natura a Milano è piuttosto avara. A volte, è vero, ho fatto tesoro di questa avarizia per concentrami sulle piccole cose: ho scritto per esempio una poesia su un rampicante sul muro della casa vicina, o su una foglia che navigava nel laghetto dei giardini, su un gatto in un cortile. Quasi tutto il mio romanzo Voglio avere gli occhi azzurri è ambientato a Milano, specialmente al Parco Sempione dove portavo spesso mia figlia da piccola. Milano comunque per me è un buon posto per scrivere: nonostante il traffico, il rumore, lo stress, è anche una città che, diciamo così, “interiorizza”, forse proprio perché induce a trovare rifugio in se stessi, a indagare un possibile silenzio interiore.