Oh come si desidera a volte poter scappare dall'insulsa monotonia dell'umana eloquenza, dalle frasi sublimi, per cercare rifugio nella natura, apparentemente così silenziosa, oppure nel mutismo di fatiche lunghe ed estenuanti, del sonno profondo, di musica vera o dell'umana comprensione zittita dall'emozione!
(Boris Pasternak, Il Dottor Živago)

Una trentina di minuti da Mosca, treno o automobile che sia, e si è avvolti dalla magica atmosfera del villaggio delle dacie letterarie. Siamo a Peredelkino, il luogo degli scrittori, un luogo dove già si respira il profumo dell’autunno, dove l’odore intenso del bosco avvolge ogni pensiero, in un turbinio di colori e di emozioni. Dove l’immaginazione vola. Lontano.

Siamo diretti alla dacia di Boris Pasternak, ci si può tranquillamente arrivare in treno, come faceva il poeta, quando ne descriveva il “tepore afoso” e “l'odore di sapone floreale e torte al miele”, nella sua raccolta di poesie del 1943, Na rannich poezdach ("Sui treni mattutini"), guardando i suoi compagni di viaggio e il “volto unico della Russia, in silenzioso stupore e meraviglia”. Il fascino di questo luogo è immutato, la natura parla da sé, gli alberi che un tempo avevano lasciato spazio a grandi distese d’erba oggi svettano dai recenti steccati verdi smeraldo appena ridipinti. Il verde dei prati e delle foglie di piante rigogliose sta lasciando il passo al marrone dell’autunno. Tutto si sta dorando, come una folta capigliatura che diventa argentina con il passare delle stagioni. Il sole brilla e il riflesso dei suoi raggi che accarezzano il tetto della dacia del poeta abbaglia gli occhi già spalancati per lo stupore. Qui non si è mai stanchi di guardare, di andare a zonzo per le piccole stradine.

Nulla disturba la pace di un luogo che sembra immutato nel tempo, un tempo che si è fermato, un luogo che vive grazie alla poesia e alle righe di un artista che pensava che, alla fine, nulla muore. E lui, Boris Pasternak, vive ancora qui. La sua casa sembra aspettarlo rientrare a casa ogni sera, vederlo camminare per quel lungo sentiero che attraversa il parco, ora ricoperto da foglie cadute ma che, come un morbido e vellutato tappeto, accolgono i passi leggeri di un uomo che rientra dai suoi quotidiani incontri letterari e intellettuali moscoviti. Sempre su quel treno, quello di ogni giorno. Le strade trafficate non minacciano la quiete di un ritiro che mantiene le sensazioni di allora. Quelle della libertà, dello spazio, della serenità. Perché il villaggio delle dacie, voluto da Stalin in quel luogo suggerito da Maxim Gorky di rientro dall’Italia, doveva ospitare “gli ingegneri dell’anima”. Un luogo dove ci fosse aria, perché, secondo Gorky, i poeti e gli scrittori hanno bisogno di questo. E lì, gli immensi spazi verdi davano proprio quello, respiro. Oggi i prati sono coperti da alberi e foreste, ma allora lo sguardo si perdeva completamente in un orizzonte libero e ampio.

La casa di Boris Pasternak (1890-1960) si trova in questi boschi, al numero 3 di via Pavlenko. Sembra una nave di legno, dall’imponente prua che fende le onde di maestosi alberi verdi. Vi accediamo attraverso il vialetto, scostando foglie di rami che impediscono la vista. Qui è stato scritto Il dottor Zivago, dal quale è stato tratto il celeberrimo film con Julie Christie e Omar Sharif, un libro meraviglioso che tanto ha fatto parlare di sé. Le staccionate verdi lasciano intravedere un qualcosa che si rivela magico e unico una volta arrivatici di fronte. L’esterno assomiglia a una casa della favole, con le finestre bianche, i tetti sporgenti e inclinati ad accogliere la neve per poi buttarla giù. La luminosa veranda fiorita di gerani accoglie il visitatore: un tavolo apparecchiato con una tovaglia di pizzo ospita amorevolmente tazze e samovar, affacciandosi rispettoso sul giardino che circonda la casa. Aspettiamo il poeta-scrittore, da un momento all’altro. A breve sarà lì con noi.

Gli interni sono sobri, bianchi e marroni, piatti e utensili georgiani sono esposti nella sala da pranzo, a ricordo dei bei tempi trascorsi in Georgia, luogo molto caro a Pasternak. Dalle finestre si vede il verde del giardino e l’oro delle foglie, si sbircia da quelle finestrelle bianche alla ricerca di una nuvola che non c’è. Si immagina Pasternak affacciarsi da quegli angoli di cielo e pensare alle sue righe, alla storia che presto avrebbe riempito molti fogli.

Al secondo piano, si trova la stanza da letto dell'artista, piuttosto spoglia, accanto allo studio dove vi sono ancora i suoi stivali, cappotto e cappello esattamente così come li lasciò lui. Pasternak, definito dallo stesso Stalin come un “abitante delle nuvole”, qui sognava, qui scriveva. Un’emozione vedere quel tavolo di legno scarno e semplice, libero da ogni foglio o libro, pulito, vergine come le idee che si hanno alla mattina appena alzati, quando ci si appresta a scrivere e a riempire le pagine bianche, fittamente. Lui voleva così, dopo la colazione e gli esercizi mattutini si sedeva qui, con la luce delle finestre alla sua destra, i riflessi delle foglie sul suo volto, a scrivere di Lara e di Zivago, dell’amore di una giovane fanciulla ispirata dalla sua Olga Ivinskaja, la Musa, morta nel 1995, con la quale per anni ebbe un legame clandestino discreto, a tre chilometri da questa dacia dove lui viveva con la moglie e la famiglia.

Sugli ultimi anni di vita dell'uomo che lei amava, Olga aveva voluto rivelare qualche cosa in un articolo uscito sul settimanale Ogonjok nel 1988, una testimonianza che ancora oggi commuove. "Il nostro amore”, raccontava Olga-Lara, “fiorì nel 1946, con all'inizio della stesura del Dottor Zivago e continuò a crescere con il numero delle pagine che Boris scriveva". Ma poi intervennero i misteri sul romanzo, sul fatto che le si volesse far affermare che Pasternak stava scrivendo un romanzo "antisovietico", la storia di una donna che non si piegava, di un esilio voluto ma che fu evitato dallo scrittore con una lettera umana e dignitosa a Kruscev che incominciava così: "Nikita Serghievich, la vita fuori dalla Russia per me sarebbe la morte...". Kruscev capì. Lo scrittore ottenne di passare gli ultimi anni nella condizione di esule in patria. Qui a Peredelkino, sempre qui, nel suo amato Paese. Ma costretto a rifiutare il Nobel per la poesia e la letteratura assegnatogli nel 1958 per il Dottor Zivago a quell’epoca non pubblicato in Russia (qui era dove era stato pesantemente attaccato e circolava clandestinamente pare grazie al supporto dei servizi segreti americani) ma in Italia (arrivato nelle mani del giovane editore Giangiacomo Feltrinelli, venne da lui edito nel 1957 e trasformato in un best-seller mondiale). Un mistero nel mistero, un romanzo nel romanzo, una storia in una storia.

Dopo la morte di Pasternak, nel 1960, la sua dacia divenne un museo non ufficiale: gli ammiratori vi si recavano quasi in un sacro pellegrinaggio. Solo il 10 febbraio 1990, in occasione dell'anniversario dei 100 anni della nascita dello scrittore, la casa-museo venne aperta al pubblico e ogni cosa sembrò tornare al suo posto, come ai tempi di Pasternak. I quadri, le stampe e i disegni fatti dal padre, il noto pittore di origine ebraica Leonid Osipovic, sono appesi alle pareti della casa, in cui aleggia lo stile del suo antico proprietario, improntato a una grande semplicità. Oggi è ancora bellissimo passeggiare per le stradine alberate di quel rifugio costruito per gli scrittori e gli artisti, sentire i passi scricchiolanti sulle foglie del bosco, vedere gli alberi da frutto che chinano su di sé i propri rami spogliati dal fresco autunno, esplorare le zone che hanno ispirato romanzi e fiabe. Fiabe, certo, perché qui vicino c’è anche la casa di uno degli autori per l'infanzia più amati di Russia, Kornej Chukovskij. Un autore con un’infanzia segnata dalla povertà, una giovinezza fatta di lavoro da imbianchino per poter studiare, anche l’inglese, da solo. Una devozione che gli valse una laurea ad honorem dell'Università di Oxford.

Tantissime piccole scarpe colorate appese a un albero all’entrata, uscite da una delle fiabe in versi di Chukovskij, introducono il visitatore nell'atmosfera giusta. Sembra un’altra magia, una delle tante che sa fare questo luogo incantato. Dietro la casa inizia un curioso sentiero nel bosco che porta fino a una radura dove è sistemato un palco e un teatro sotto un tendone blu-arancio e una zona per cucinare all'aperto, pensata per le scolaresche in visita didattica. Il vento lo gonfia leggermente. Viene voglia di sedersi su quelle piccole panche colorate per ascoltare un racconto che ci faccia tornare bambini. Non c’è ma lo si sente, il lieto fine arriverà, come in un sogno delicato.

Di fianco alla casa-museo c'è una biblioteca colorata per bambini, allegra, lo steccato in legno è stato dipinto dai giovani allievi con scene tratte dalle storie dello stesso Chukovskij. Non lontano c'è la deliziosa chiesa della Trasfigurazione, un tempo visibile dalle finestre di Pasternak, col suo frutteto abbandonato, che in estate si riempie di capre e di lupini selvatici. La lapide bianca sulla tomba di Pasternak, all'ombra dei pini, si trova nella parte alta del cimitero e su di essa non manca quasi mai un fiore. Il poeta è ancora nel cuore di molti. Poesia, fiaba e natura si avvolgono, amalgamano e confondono, in un unico abbraccio. Un luogo degno di un pellegrinaggio letterario in mezzo alla natura. Da non perdere.

Bosco autunnale

Il bosco autunnale s’è chiomato.
In esso ombra, sonno e quiete.
Scoiattolo, picchio e civetta,
Dal suo sonno non lo desterete.
E il sole per i viottoli autunnali
Entrando in esso a fine giornata,
Intorno sbircia con apprensione,
Se non ci sia una tagliola celata.
In esso pantani, tremule e gibbosità,
E muschi e macchie d’ontano,
E là, oltre il terreno fangoso,
Cantano i galli da lontano.
Un gallo il suo grido strombazzerà,
Poi di nuovo una lunga interruzione,
Come fosse intento a meditare
Che senso abbia quella intonazione.
Ma in un cantuccio remoto
Un vicino prenderà a chicchiriare.
Come sentinella nella garitta,
Il gallo la sua risposta vuole dare.
Essa risonerà come un’eco,
Ed ecco che insieme tutti i galli,
Segneranno con la gola come biffa,
I quattro punti cardinali.
Dopo l’appello del gallo
Si aprirà il bosco alle estremità,
E i campi, la distanza e il blu dei cieli
Come fossero cosa nuova esso rivedrà
.
(Boris Pasternak, 1956)