Guai a quelli che chiamano bene il male, e male il bene,
che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre,
che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro

(Isaia 5.20)

Non odio, forse, Signore, quelli che ti odiano e non detesto i tuoi nemici?
Li detesto con odio implacabile come se fossero miei nemici
.
(Salmo 139,20-22)

C’è una logica e una teologia della e nella benedizione, e c’è una logica e una teologia della e nella maledizione. Anche le Sacre Scritture confermano l’esistenza di una ragionevolezza della e nella maledizione, come dimostra, a contrario, questo passo: Come passero che svolazza, come rondine che volteggia, così la maledizione immotivata resta senza effetto (Proverbi, 26,2).

Certamente oggi è inattuale parlare di “maledizione” e ancor di più parlarne in senso religioso, spirituale, rituale. Ma è veramente così inattuale o dipende solo dalla scarsa conoscenza delle Sacre Scritture e dalla retorica sociale sentimentalista imperante? Non si riversano ogni giorno sui social web migliaia di invettive fra utenti più o meno sconosciuti che si accendono in terribili minacce per le più futili divergenze di opinioni? Non appartiene la “maledizione” alle dimensioni più ancestrali dell’animo umano e non è presente come fenomeno culturale (e cultuale) in tutte le culture religiose?

Anticipo una semplice conclusione: la maledizione quale atto religioso, sacrale, è strutturalmente coessenziale a ogni religione rivelata, cioè fondata sulla convinzione dell’autorivelazione di Dio quale Persona, e massimamente nel Cattolicesimo. Non a caso la Prima Alleanza contempla la maledizione quale parte integrante della stessa divina Alleanza, e questo aspetto viene ereditato in perfetta continuità dal Cattolicesimo, che rinnoverà il senso della maledizione, “cristizzandolo”, ma senza alterarne in modo sostanziale la natura sacrale, metafisica, difensiva rispetto alla Verità da Dio rivelata. Ma anche nel politeismo esisteva la maledizione. Golìa maledice Davide in nome dei suoi dei (1 Sam. 17,43).

L’anatema non è un atto magico o una forma di superstizione, ma un fenomeno discendente dalla visione di Dio quale Logos, quale Legislatore supremo, quale Verità perfetta. Distinguiamo quindi l’anatema dall’eccessivamente generico concetto di “maledizione”, perché siamo di fronte a una “santa maledizione”, Anàthema, da anatithemi: metto sopra, imputo, ascrivo, offro, consacro, rinnego), in greco antico significa offerta sacra, iscrizione commemorativa, maledizione. Identica l’ambivalenza sacrale in latino dell’aggettivo sacer e dei relativi verbi: sacro, ma pure maledetto, come nelle Dodici Tavole (sacer esto), la prima legislazione di Roma. Da sacer deriva infatti sacerdos , quale persona separata da tutte le altre in quanto offerta a Dio, e la relativa azione rituale con il suo risultato: consecro e consecratio. Identico quindi il senso in greco e in latino. Sacro come “consacrato”, ma pure sacro quale maledetto, cioè ab origine: “votato agli dei infernali”.

Per Israele medesimo è il senso di herem e basti come esempio la maledizione, perfettamente biblica, che la sinagoga di Amsterdam lanciò contro Spinoza, richiamandosi alle maledizioni del Deuteronomio. Se si benedice si introduce un discrimine che rinvia a una simmetrica maledizione. I romani, come Israele, sebbene eterni nemici, avevano in comune il ritualizzare intensamente molti aspetti della loro vita sociale. Persone e oggetti consacrati, cioè “offerti” a Dio, automaticamente “producono” corrispondenti maledizioni nel caso vengano profanati. La lingua del divino non lascia scampo nella sua iperperformatività: tertium non datur. Consacrare significa infatti “separare” qualcuno o qualcosa dal resto dell’indifferenziato soggettivo/oggettivo. Dio in Genesi crea attraverso gradi e fasi di separazione dall’indistinto. Chi infrange la divina separazione riporta il cosmo nel caos visto come segno di morte e di annullamento, quindi deve essere a sua volta di nuovo “separato” con l’anatema, che svolge quindi sempre anche una funzione di risacralizzazione, seppur negativa per i propri specifici destinatari.

L’anatema conferma la Legge divina proprio nello scagliarsi contro chi la viola o l’attacca nei suoi fondamenti. Ripartiamo dall’inizio. Dalla prima maledizione, fondante per la civiltà occidentale: quella che Dio indica contro il serpente dell’Eden (Gen. 3, 14-24). La maledizione divina originaria è ampia e vasta, in quanto non riguarda solo il “serpente”, che solo dopo la maledizione sembra assumere contorni bestiali, ma colpisce anche Adamo ed Eva, e lo stesso creato, portando come conseguenza la fatica dell’attività, il dolore del parto e il conflitto fra i sessi. Al primo peccato segue la prima maledizione. I progenitori vengono infatti subito allontanati, per sempre, dal Giardino di Dio e a sua custodia Dio pone dei cherubini con spade fiammeggianti (Gen. 3,24) che come visualizzano e “funzionalizzano” l’anatema.

Il primo peccato e la prima maledizione presentano entrambi un aspetto importante che sarà proprio anche dell’anatema: il perdurare degli effetti fino ad oggi, e fino alla fine dei tempi. La stessa Redenzione di Cristo ha senso ed è comprensibile, predicabile proprio sul presupposto dell’originaria caduta/maledizione. Tant’è che la Redenzione cancella la morte corporale la quale, quale separazione (pur teologicamente temporanea) di anima e corpo. Con Caino e Abele (Gen. 4,4.5) benedizione e maledizione si manifestano in occasione di un’offerta, di un sacrificio a Dio. Noè stesso appare come il primo uomo che maledice (ma lo fa quale patriarca di Dio) quando dichiara: “Sia maledetto Canaan, schiavo degli schiavi sarà per i suoi fratelli” (Gen. 9,24-25). La contaminazione, la dissacrazione non è retroagibile, non può essere revocata, in quanto incide su di una materia divina, non disponibile, e quindi attira castighi divini immediati. Analogamente Isacco quando benedice Giacobbe conferma l’alleanza logica e teologica fra maledizione e benedizione con il suo: chi ti maledice sia maledetto e chi ti benedice sia benedetto. (Gen. 27,29). Le parole di Isacco verso Esaù veicolano l’eco di una maledizione, quasi necessitata anche se non voluta dal patriarca: lungi dalle terre grasse sarà la tua sede… (Gen. 27,39).

I Salmi contengono decine di maledizioni/anatemi che ci confortano sulla possibilità e, anzi, doverosità, di un “santo odio” contro i nemici di Dio: Signore, non soddisfare i desideri degli empi, non favorire le loro trame. Alzano la testa quelli che mi circondano, ma la malizia delle loro labbra li sommerge. Fa' piovere su di loro carboni ardenti, gettali nel bàratro e più non si rialzino. Il maldicente non duri sulla terra, il male spinga il violento alla rovina. (Salmo 139, 9-12). Si tratta di una tipologia di preghiera molto diffusa nei Salmi e secondo la quale il giusto invoca il soccorso di Dio Giusto Giudice contro i malvagi che attentano alla sua vita e lo perseguitano. In gioco è la conservazione della Fede e i connotati di questo modo di pregare sono mutuati dalle simili preghiere di Israele e dei suoi re contro gli eserciti dei popoli nemici, pagani.

Si tratta di una vera psicomachia che presenta molte tipologie fra cui la reazione alla profanazione idolatrica e che possiamo sintetizzare in 4 categorie. Secondo l’aspetto dell’intenzione e in merito al rapporto fra volontà umana e volontà divina possiamo distinguere fra: 1) la maledizione quale atto d’invocazione dell’intervento di Dio quale Giudice, simile quindi a un’accorata preghiera; 2) la maledizione quale atto ispirato da Dio, quale strumento della sua giustizia, quale comportamento quasi profetico, teoforico, dove l’uomo è mero strumento di uno straordinario intervento diretto di Dio. Secondo invece l’appartenenza o meno al popolo di Dio a livello di destinazione o committenza possiamo distinguere fra: a) la maledizione quale denuncia/sanzione di un tradimento da parte di un fedele rispetto all’Alleanza divina a cui appartiene b) la maledizione quale pneumomachia/ordalìa a cui si è chiamati a partecipare, atto di un sacro combattimento contro i nemici di Dio e del suo popolo, al fine di salvarlo dalla distruzione. L’anatema presuppone una trasgressione del sacro, ergo è sempre difensivo/restaurativo: si maledice chi vorrebbe farci maledetti separandoci dal nostro Dio. Maledendo i maledetti si resta consacrati a Dio, ci si rafforza quale nazione spirituale. Maledendo chi lo merita Dio resta fedele a se stesso e alle sue promesse, e la voce umana profetica che maledice sarà allora solo un eco di un qualcosa già deciso e compiuto da Dio, e che sta per manifestarsi incombendo sui diversi tempi dell’uomo.