Paura del libro. Sembra impossibile. Il Corriere della Sera di qualche settimana fa ha dato la notizia: negli Stati Uniti, alla Columbia University, si è deciso di dotare alcuni libri di un bollino rosso, di allarme. Non che si tratti di divieto assoluto o di tornare ai costumi censori dell'antico indice dei libri proibiti, ma solo di una segnalazione, del tipo di quelli che si mettono sui pacchetti di sigarette, come dire all'ipotetico lettore: sei stato avvertito che questa lettura può nuocerti. Libri pornografici, di perversa magia nera, d’invito alla sovversione o all'uso di allucinogeni?

Nulla di tutto questo! Si tratta nientemeno che di classici latini e greci. E vada pure per Le Metamorfosi di Ovidio, che hanno fatto scattare l'allarme quando una studentessa leggendole è stata male perché le sono tornate alla mente esperienze sessuali tristi e sconvolgenti. Del resto sappiamo che Ovidio, proprio per i suoi versi, era stato sbattuto da Augusto in esilio sul Mar Nero. Ma cosa hanno di pericoloso Omero e Platone? Vallo a capire. Un avviso del genere stupisce quando nella rete si può trovare di tutto e di più assai pericoloso che non i versi erotici di Ovidio.

Ritorna, insomma, la paura del libro e di quello che una libera lettura può provocare. Paura antica, che si è sviluppata alla metà del Quattrocento, quando la straordinaria invenzione della stampa a caratteri mobili di Gutenberg determina un'irrefrenabile diffusione del libro in tutta Europa. Come può fare la Chiesa Cattolica a controllare quello che viene letto? Ecco che nasce l'Indice dei libri proibiti, che, istituito nel Cinquecento da Papa Paolo IV, resterà in vita fino alla metà del secolo scorso e sarà abolito da un altro Paolo, Paolo VI. Nei più recenti indici dei libri proibiti sono finiti Graham Green, Colette e Malaparte, tanto per citare qualche esempio. È noto, del resto, che il divieto non bastò e l'Inquisizione per secoli ha condannato al rogo migliaia di libri e, nei casi più gravi, anche i loro autori e i loro possessori.

È una paura, quella del libro, che determinò in America, negli stati del sud, il divieto per gli schiavi neri di possedere libri e di imparare a leggere, e produsse nel 1933 il famoso rogo di libri voluto a Berlino da Goebbels. I regimi autoritari e forti, totalitari e dittatoriali, hanno sempre temuto il libro, come veicolo incontrollabile d’informazione e di libertà. Nel 1981 il regime di Pinochet vietò addirittura la lettura del Don Chisciotte, proprio per gli aneliti di ribellione che quel romanzo poteva ispirare. Nel 1953 Ray Bradbury pubblicò il famosissimo Fahrenheit 451, un avvincente romanzo dai toni cupi e drammatici. Vi si racconta di un futuro imminente nel quale è vietato leggere e possedere libri e i pompieri diventano addetti agli incendi col compito di rastrellare e dare fuoco a tutti i libri presenti in città, all'occorrenza punendo chi si ostina a tenerli. Per volere di chi gestisce il potere non si deve leggere più. L'unica fonte d’informazione controllata è costituita da grandi video wall che ognuno è obbligato a tenere in casa e che sono in funzione giorno e notte. Ma un gruppo di rivoluzionari, decide di trasformarsi in uomo-libro. Ognuno ne impara a memoria uno e lo ripeterà per sempre, recitandolo continuamente, fino a quando non sarà possibile, chissà quando, tornare a stamparli.

Ma c'è un’altra paura di libro, meno evidente e meno violenta; è la paura che prendeva noi scolari, e purtroppo prende ancora, di fronte al volume da studiare, fatto di pagine da memorizzare per rispondere alle interrogazioni, da imparare quasi a memoria, comunque da leggere a viva forza. Un romanzo aveva lo stesso sinistro aspetto del manuale scolastico, rappresentava una fatica da affrontare e si collegava inesorabilmente all'obbligo di ricordare. Ci fu un anno nel quale fummo costretti a leggere tutto intero I Promessi Sposi, a fare di ogni capitolo un riassunto scritto, a verificare quanto ricordavamo e quanto avevamo capito, subendo domande terribili su date e su leggi; fummo costretti a costruire impossibili paralleli tra Don Rodrigo e l'Innominato, tra Don Abbondio e Fra Cristoforo. E poteva capitare anche il compito in classe nel quale ti chiedevano di produrti in commenti impossibili. E per colpa di Manzoni qualcuno fu anche rimandato in Italiano. Come potevamo amare il libro, se questo era i libro? Come potevamo non averne paura?

Personalmente ricordo, con angoscia, le visite a casa di uno zio preside, occhialuto e severo, che teneva in casa scuri mobili di stile vagamente rinascimentale, dietro i cui sportelli armati di grate metalliche si disponevano libri e libri, tristi, tetri e austeri come lui. Sembravano libri in divisa da militare, serrati e allineati sui palchetti: enciclopedie, collane di classici, storie universali. Tutti ugualmente strumento di tortura. No, non amavo la lettura, per la disperazione di un intero nucleo familiare nel quale tutti leggevano.

Poi, un giorno di cinquanta anni fa, nella primavera del 1965, deflagra una rivoluzione. Il libro si sveste del suo aspetto austero, prende una veste più attraente e amichevole, esce dagli scaffali delle librerie e invade le edicole. Si fa colorato, diventa settimanale e negli espositori del giornalaio condivide gli spazi con i giornaletti e i rotocalchi. Ecco Addio alle armi di Ernest Hamingway; ha una copertina bianca e semplice che ostenta in primo piano un soldato dell'esercito italiano che ha il volto del bellissimo Rock Hudson, per il quale le nostre coetanee impazzivano d'amore, protagonista dell'omonimo film tratto dal romanzo qualche anno prima. È il primo numero degli Oscar Mondadori. Costa solo 350 lire. Mio padre sta comprando i suoi quotidiani e si accorge che questo tascabile mi ha attratto e mi chiede se m’interessa. Io rispondo con entusiasmo e lui, ancor più entusiasta, mette mano alla tasca, felice che finalmente il figlio bibliofobo si metta a leggere. Un miracolo, per lui. Divento finalmente lettore. Ma non sono il solo. Addio alle armi moltiplica i miracolati della lettura vendendo subito 75.000 copie. Le settimane successive arrivano in edicola, l'uno dopo l'altro, La ragazza di Bube di Carlo Cassola, La nausea di Sarte, Un amore di Dino Buzzati, Le anime morte di Gogol e La luna è tramontata di Steinbeck. Qualche settimana dopo è la volta di Topkapi di Eric Ambler che ha in copertina un affascinantissimo Maximilian Shell, solo l'anno prima irresistibile protagonista del film di successo, che ha preceduto la pubblicazione della traduzione italiana.

Grazie agli Oscar scoprimmo i nostri autori come Buzzati e Cassola, recuperammo qualche classico e ci appassionammo alla letteratura americana. Erano i primi veri tascabili che incontravamo. Sulla quarta di copertina di ogni Oscar fu riportata una presentazione che, paragonando i piccoli volumetti ai transistor, che in quegli anni stavano miniaturizzando i nostri sistemi di vita, spiegava gli obiettivi della nuova collana. “Gli Oscar, i libri transistor che fanno biblioteca – si leggeva tra l'altro – presentano settimanalmente i capolavori della letteratura e le storie più avvincenti in edizione integrale supereconomica per il tempo libero. Gli Oscar sono i libri del 1965 per gli italiani che lavorano, per gli impiegati, per i funzionari, per i dirigenti, per i professionisti, per gli studenti, per la famiglia, per tutti i membri attivi e informati della società”. Si annunciavano, insomma, come libri per tutti che potevano essere portati ovunque, a casa, in tram, in automobile, in metropolitana, in fabbrica, in ufficio, al bar come amici fedeli da tenere sempre in tasca “sempre a portata di mano”. La frase finale di questa nota di copertina aveva il sapore, indovinato, di uno slogan: “Gli Oscar sono gli Oscar dei libri: si rinnovano ogni settimana, durano una vita”.

Domenico Porzio, direttore dei servizi stampa della Mondadori, a un anno dall'esordio degli Oscar, che avevano riscosso un successo di vendite superiore a qualsiasi aspettativa e che aveva messo in moto altre case editrici con tascabili, scrisse: “Noi avevamo il vantaggio di scendere per primi in gara, ma scendevamo su un terreno sconosciuto e in veste di pionieri, ma anche di cavie”. Da allora noi che avevamo una quindicina d'anni, grazie alla veste invitante di quei libretti, capimmo finalmente la differenza tra il noioso manuale scolastico e l'avvincente libro. E non ne avemmo più paura.