Staccati gli ormeggi e levata l’àncora, spiegando le vele che si gonfiano al vento, Maurizio Laurenti, con un grande senso di pienezza e di libertà, prende il largo sulla veloce e leggera goletta della propria creatività, la prua a fendere sicura le onde, allontanandosi in mare aperto.

Veleggiando nelle derive dell’infinito penetra all’interno di bracci di mare inesplorati e celati alla vista, si introduce tra le insenature nascoste della fantasia, getta l’ancora nelle inaccessibili baie della stravaganza, attraversa i golfi della bizzarria e del capriccio. A volte si tiene distante dalla costa e osserva da lontano, come illusori miraggi, paesi esotici, regioni sconosciute e misteriose, altre volte cerca rifugio in uno scalo sicuro attraccando in porti metafisici, spesso navigando a lungo per ignoti mari surrealisti e remoti arcipelaghi onirici. Non è raro però che debba anche manovrare tra improvvise basse maree, fuggendo il rischio di arenarsi o di incagliare su guglie aguzze che affiorano da acque infide, e governare con fermezza il timone, eludendo gorghi inaspettati e violente correnti che potrebbero trascinarlo giù, nelle oscure profondità degli abissi.

Così è la pittura di Maurizio Laurenti, una navigazione lieve e leggera sull’oceano insondabile dell’arte, senza zavorre che lo appesantiscano, senza scogli che non possa lasciarsi alle spalle, di quanto in quanto approdando in una segreta rada giusto il tempo di raccogliere una storia e fare scorta di un’emozione. Un grande senso di libertà sgorga da questi dipinti: nasce dal sentirsi senza limiti né dal patire confini, una libertà che l’artista infonde genuinamente nelle sue figurazioni e che si trasferisce allo spettatore; essa rappresenta lo stimolo principale e inesauribile del suo erratico fascinoso viaggio. E’ una sensazione profonda, quasi riservata, a tratti inconsapevole, che accompagna lo sguardo e concede serenità, rilassatezza, che appare presente anche quando le immagini sorprendono con episodi drammatici, come Olocausto (2014).

Dedicandosi all’esplorazione della pittura, l’artista si offre all’indagine dei propri sogni ad occhi aperti che, come viscerali intuizioni partorite da limpide aspirazioni, da desideri trasparenti affiorati alla soglia della coscienza, sono raccolti in punta di pennello, prendendo corpo nel colore e forma sulla tela diventano fertili visioni del dolce peregrinare nelle dimensioni dello spazio tempo della memoria. La pittura non è percepita come pungente strumento di denuncia o di contestazione, piuttosto è il luogo della meditazione e dell’immaginazione, dove l’artista ricerca la bellezza e la meraviglia, e dove, distante dagli affanni, può ricaricarsi e gioire, trovando conforto e accoglienza, come significativamente dichiara anche il titolo del dipinto L’isola dell’accoglienza (2010).

Sbaglierebbe però chi la ritenesse un’indagine condotta in superficie, con disimpegno o svago, perché al di là dell’assiduità della ricerca del nostro, condotta con entusiasmo e determinazione, si eluderebbe la sotterranea sfida al panorama attuale che egli lancia, già in quanto scelta del campo artistico in cui operare. Infatti nell'era del virtuale, della computer grafica, dove la realtà viene fotografata e addomesticata con photoshop, nell'era della videoarte e dell'installazione, la predilezione per la pittura è indubbiamente controcorrente e può appunto attestare un valore emblematico che si oppone all’omologazione massmediale, come ad una scena artistica talvolta sconcertante, se non priva di interesse. Conducendo invece la propria ricerca nell’alveo della tradizione pittorica, può sottolineare il piacere manuale partendo dalla stessa dimensione fisica del dipingere ed esercitare il confronto sia con i movimenti artistici e gli autori a lui più rispondenti sia piegando, tra la citazione e la costante sperimentazione, le possibilità pratiche e conoscitive del medium pittorico, in definitiva restituendo al dipingere la dimensione colta che la storia gli ha conferito.

Ciò risulta evidente soprattutto in relazione ai dipinti presentati qualche anno fa nella mostra dal titolo Il mio atelier che, tra l’altro, traevano ispirazione anche dai prolifici territori massmediali, quali fumetto, illustrazione e cinema. Invece l’aspetto a cui in particolare ha guardato in questa seconda personale, pur conservando il suo caratteristico nomadismo tematico, il rifuggire uno stile univoco e l’omogeneità stilistica, si concentra sulle opportunità qualitative offerte dalla pittura che gli permettono, con maggior misura e consapevolezza, di interpretarla come sano divertissement, scoperta e invenzione che si esplicita soprattutto nella dimensione del gioco, come in Mammatrioska (2015), spesso scherzando con la percezione e il trompe l’oeil, ne sono esempio La cascata (2014), Vero non vero (2013), Parto surrealista (2014) che si affiancano a dipinti di ispirazione classica come Il tempio dei Dioscuri (2014), o allo straniante vedutismo di Le tre lune (2013), Sole lunare (2015), per non tacere della bellezza metafisica di Natura morta sospesa (2014). Alla ricerca di ciò che di magico può offrire la pittura, Maurizio Laurenti, tracciata la rotta e impugnato il timone, la prua a solcare le onde, veleggia sulle sponde di mari lontani e noi con lui, passeggeri della sua goletta, nelle derive dell’infinito.

La mostra Nelle derive dell'Infinito, a cura di Michele Loffredo, sarà presentata alla Galleria Cavour 85 di Danielle Villicana D’Annibale, ad Arezzo.