C’è qualcosa di profondamente necessario nel gesto del ricordare, soprattutto quando il ricordo si fa tessuto condiviso, quando da esperienza individuale si trasforma in linguaggio comune. Questo è il cuore pulsante di "Tessere memoria. Nel fiorire del giorno", la mostra curata da Livia Savorelli e ospitata negli spazi intimi e raffinati della Galleria Zamagni a Rimini. Un progetto espositivo corale che ha saputo restituire corpo, forma e voce a un universo femminile spesso raccontato solo in superficie. In mostra, dodici artiste appartenenti a tre diverse generazioni si confrontano con il tema della memoria, trasformandolo in materia viva: Carla Iacono, Armida Gandini, Silvia Vendramel, Ilaria Margutti, Silvia Margaria, Fatma Ibrahimi, Ilaria Feoli, Anzhelika Lebedeva, Martina Biolo, Camilla Giannotti, Federica Mariani e Federica Gottardello. Le loro opere dialogano in uno spazio dove il tempo non è lineare, ma stratificato, come una trama tessile fatta di intrecci, fili spezzati e ricuciture.

Non si tratta di una semplice collettiva, ma di un rituale condiviso, in cui ogni artista dona un frammento della propria esperienza – talvolta intimo e biografico, talvolta simbolico e archetipico – per contribuire alla costruzione di un arazzo collettivo. Le loro voci si incontrano in un paesaggio della memoria che non è nostalgia, ma resistenza. Memoria come forma di sapere, come gesto creativo, come responsabilità.

Il titolo della mostra è già un manifesto. Tessere memoria, un atto lento, delicato ma necessario, si coniuga con Nel fiorire del giorno, una luce nuova, un risveglio che sa di promessa e di rinnovamento. Al centro, un’immagine antica e potente: il fiore, che da simbolo stereotipato di femminilità fragile diventa, nelle parole della curatrice e in omaggio a Emily Dickinson, figura di consapevolezza e forza. “Essere fiore è una profonda responsabilità”, scriveva la poetessa americana, e la mostra fa sua questa intuizione ribaltando le narrazioni consolidate. Il fiore, qui, non è ornamento, ma gesto di apertura al mondo. Un atto di coraggio che implica esposizione, rischio, vulnerabilità. Fiorire, per una donna, è spesso un processo faticoso, contrastato, eppure profondamente vitale. Le opere in mostra ci parlano proprio di questo: della dolce ostinazione di chi si manifesta malgrado tutto, della capacità di adattamento, della resistenza silenziosa ma radicale.

Il percorso espositivo si muove tra linguaggi diversi – installazioni, fotografie, video, sculture, tessuti, disegni – ma è attraversato da una coerenza profonda: il radicamento nell’esperienza quotidiana. I gesti della cura, i riti domestici, le tracce della memoria familiare diventano strumenti di narrazione e resistenza. È qui che l’arte si fa politica nel senso più alto del termine: non come ideologia, ma come pratica del vivere, come atto che trasforma l’esperienza individuale in discorso pubblico. Ogni opera è una soglia, un invito ad attraversare il visibile per toccare ciò che non sempre si può dire.

Le artiste non rivendicano uno sguardo “femminile” in modo ideologico, ma lo abitano, lo vivono, lo restituiscono con onestà, e in questo modo ne fanno emergere la forza trasformativa. Livia Savorelli firma una curatela misurata e sensibile, che non impone una lettura univoca, ma apre spazi di riflessione e ascolto. La mostra è pensata come un percorso fluido, dove ogni opera si lega alle altre in un dialogo mai didascalico ma profondamente evocativo. La disposizione degli interventi tiene conto non solo della coerenza tematica, ma anche della ritmicità emozionale del percorso: si alternano momenti di raccoglimento e passaggi più visivamente incisivi, pause di silenzio e voci forti che chiedono attenzione.

La curatrice compie un gesto forte ma gentile: ridare profondità a un’immagine abusata come quella del fiore e rileggerla alla luce della resistenza femminile. In questo senso, la mostra diventa un atto di restituzione, di risignificazione, ma anche di guarigione simbolica. “Tessere memoria. Nel fiorire del giorno” è, prima di tutto, un atto d’amore verso le donne, in tutta la loro complessità, nel loro attraversare il tempo portando con sé gesti, ferite e rinascite. È una mostra che si rivolge non solo a chi vive l’esperienza femminile, ma a chiunque voglia comprendere cosa significhi oggi ricordare, tramandare, tenere vivo ciò che rischia di andare perduto.

La dedica finale della curatrice – “a tutte le donne fiore, che ben sanno che il fiorire è una profonda responsabilità” – è l’eco più autentica di questo progetto. Non si tratta di un elogio idealizzato o retorico della femminilità, ma del riconoscimento di un compito, di una presenza costante e spesso silenziosa che tiene insieme il tessuto della vita sociale. Ora che la mostra si è chiusa, resta la sensazione di aver assistito a qualcosa di necessario. “Tessere memoria” non è stata solo una rassegna d’arte contemporanea, ma un dispositivo di ascolto, un laboratorio di consapevolezza, un invito a riconoscere e onorare ciò che spesso resta ai margini del discorso culturale dominante.

In un’epoca segnata da velocità, rumore e smemoratezza, questa mostra ci ha chiesto di rallentare, di fermarci ad ascoltare ciò che le donne hanno da dire non solo con le parole, ma con i gesti, i materiali, i simboli. E ci ha ricordato che la memoria non è mai solo passato: è materia viva, è movimento, è responsabilità verso ciò che saremo.

Come un fiore che sboccia ogni giorno, silenzioso ma indispensabile.