Con la grande crescita della pubblicità progresso verso un cibo sano, una dieta equilibrata e una sana attività fisica, aumentano anche le apparizioni da parte dei fast food sui nostri teleschermi. McDonald, azienda leader nel settore, già nel 1999 spendeva 627,2 milioni di dollari per la pubblicità, non da meno Burger King, che nello stesso anno ha investito 403,3 milioni di dollari. Le potenze del cibo veloce hanno sicuramente maggiori possibilità di raggiungere un gran numero di persone, al contrario delle piccole pubblicità progresso, aiutate spesso da qualche articolo su internet e programmi in seconda serata che, senza ombra di dubbio, non godono degli stessi vantaggi. Da un lato gli investimenti di queste multinazionali aumentano in maniera spropositata di anno in anno, proporzionalmente all’incremento dei guadagni, dall’altro ci sono i governi, che investono la maggior parte dei soldi pubblici nella sanità per la cura di malattie derivanti da cattiva alimentazione.
Si potrebbe, invece, cercare di estirpare il problema dalla radice, investendo in programmi d’insegnamento da svolgere nelle scuole, in maniera tale che già i più piccoli sappiano riconoscere una dieta sana. Quella poca informazione che viene divulgata, inoltre, è indirizzata a un pubblico più adulto, che ormai radicato nelle sue ideologie e abitudini culinarie, non sarà predisposto a modificare la sua routine in nome di qualche consiglio non troppo coinvolgente.
I movimenti per la salvaguardia della salute umana e la tutela dell’ambiente sono senz’altro dei piccoli pesci rispetto al potere degli squali del grande mercato. Davanti a 34.492 McDonald’s contati da The Guardian nel 2012 c’è poco da dire. Se per di più anche il Vietnam si è aperto al fast food del suo acerrimo nemico americano, probabilmente sarà difficile mettere il bastone fra le ruote a un’azienda, che dagli anni ‘50 sta instaurandosi sempre di più nella quotidianità delle persone.
Questa è la ristorazione del cibo economico e veloce, nient’altro. Benché McDonald cerci di convincere tutti del contrario, è a causa dei fast food che negli Stati Uniti – e non solo - c’è un alto tasso di obesità, tutt’ora in continua crescita. Il succulento panino che la maggior parte dei consumatori ritiene innocuo, non è il giusto nutrimento per l’uomo. È un cibo assolutamente disequilibrato, ricco di grassi saturi, colesterolo, conservanti e additivi chimici. Pare che un BigMac costi solo 42 centesimi alla multinazionale. Se questo è veramente il prezzo di cui si parla, nessuno può realmente giustificarsi, affermando che si tratta solo di carne, pane, salse e qualche fetta di cetriolo e verdura. Se comprare un hamburger a 42 cent è possibile, bisognerebbe iniziare a domandarsi quali siano realmente i prodotti che si trovano al suo interno. Per acquistare della carne sana, anche se si trovasse il prezzo più concorrenziale del mercato, sarebbe pressoché impossibile pagare un importo così irrisorio.
Si può forse affermare che McDonald, ormai godendo di una filiera completa grazie a quella che viene chiamata fusione verticale, è in grado di ammortizzare i costi in maniera non indifferente, ma possiamo senz’altro essere tutti d’accordo, che nessuno di noi è in grado di acquistare la carne per un prezzo così infinitesimale; per non parlare inoltre dei costi del pane, delle salse e di tutto il resto. Questo cibo inoltre ha un’altissima quantità di zuccheri e, spesso, quando si mangia un hamburger, non si beve acqua, ma bevande gassate in grandi quantità, il tutto aggiunto a una bella porzione di patatine fritte. Per far sì che non troppi mettano in luce i problemi che può causare il fast food, ci sono i lobbisti. Persone e associazioni, che evitano che il governo possa muoversi contro i loro interessi e nella maggior parte dei casi, oltre a controllare i movimenti dei poteri pubblici fanno sì che lo Stato eserciti a loro favore.
D’altronde, chi è che vorrebbe diminuire l’influenza di potenze che guadagnano miliardi di dollari, aiutando l’economia del paese, in cambio di promuovere una vita sana e salutare? Ma il problema non è solo quello delle lobby. La maggior parte delle associazioni di ricerca, che svolgono studi scientifici, vengono finanziate dalle maggiori aziende alimentari mondiali. Siccome gli stati non hanno la possibilità di stanziare fondi pubblici per la ricerca, sono le grandi aziende che attuano le maggiori donazioni, in cambio “forse” di assicurarsi un responso non troppo negativo nei loro confronti e un aiuto da qualche nutrizionista.