Intorno a Caterina de’ Medici, la “mercantessa fiorentina” divenuta francese nel 1533, sposando Enrico II, si spandeva una fragranza di agrumi, con la predominanza del bergamotto di Calabria. Protagonista del potere europeo per trent’anni, in modo manifesto dopo la morte del marito e prima di allora con alcuni colpi da politica lettrice del Machiavelli, indefessa nell’aspirare alla pace, inseguita se necessario con azioni dubbie, è raccontata dalla storia come una creatura prismatica dall’intelligenza spiccata, con doti di massaia prestate al regno, capace di sfacchinare come un mulo, dedita alla musica e all’equitazione, madre dall’amorevolezza italiana.

In uno spruzzo di profumo è racchiuso il mistero del suo essere di fede così francese, restando fiorentina. Il profumo è una miscela che olezza solo di sé, pur lasciando trapelare il sentore dei componenti, Caterina era una miscela di più patrie. Ordinava i suoi abiti in Italia e portò con sé a Parigi il suo profumiere personale, Renato Bianco che aprì una boutique sul Pont Neuf e divenne famoso con il nome di René le florentin. Da Firenze, città maestra di profumi, grazie a Caterina, testimonial ante litteram, la mania delle fragranze dilagò nelle corti europee, ben prima del secolo diciottesimo, quando a Colonia Jean Marie Farina creò una soluzione alcolica a base di agrumi, rosmarino e lavanda, l’acqua profumata per antomasia, l’acqua di Colonia.

Furono i padri domenicani di Firenze che, nel 1221, cominciarono o a coltivare nei loro orti le erbe officinali destinate alla preparazione dei medicamenti e delle pomate per l’infermeria del convento e che poi, come tutti tentati dal profano, si dedicarono all’arte effimera del profumo. Nel 1612 fra’ Angiolo Marchissi aprì al pubblico la sua farmacia dagli effluvi inebrianti che il Granduca di Toscana permise di chiamare Fonderia di Sua Altezza reale ovvero l’Officina Profumo Farmaceutica di Santa Maria Novella che ha festeggiato già quattrocento anni, adorata da una Catherine di Francia, la sovrana Deneuve, che è madre dell’italo-francese Chiara Mastroianni.

La miscela armoniosa fra antico e contemporaneo è quella dell’Officina, oggi proprietà di Diana Stefani ed Eugenio Alphandery. La tecnologia e la ricerca vengono impiegate per perpetuare il fascino e l’efficacia delle ricette del passato, per abbreviare i tempi di preparazione dei saponi, dei profumi, delle candele, degli elisir, dei cosmetici, visto che ormai i negozi sono ovunque nel mondo, oltre all’affascinante sede di Firenze, affacciata su uno dei chiostri della basilica di Santa Maria Novella. In certi casi, le accelerazioni sono bandite: il pot-pourri di erbe toscane non accetta che gli si metta fretta e vuole giacere negli orci di terracotta per tutto il tempo che dice lui. Sennò non sprigiona il suo incanto.

Una visita al Giardino di Santa Maria Novella, di recente nascita, spiega l’andamento spedito dell’Officina verso il futuro vagheggiando non il passato, ma i valori intramontabili della bellezza. Il giardino è una vetrina, un sogno e fornisce anche alcune piante per la produzione. In quella che fu l’uliveta della villa medicea della Petraia, un ettaro e mezzo di campagna con 139 ulivi (tutti salvi, tranne uno), crescono una cinquantina di piante officinali e la rosa Novella, creata per l’inaugurazione del giardino. Di colore rosa, dal bocciolo serrato che schiudendosi prende leggerezza. C’è la balsamita major, ritenuta fin dall’antichità ricca di proprietà di interesse erboristico. E’ la componente di uno dei prodotti più famosi dell’Officina, l’acqua anti-isterica che adesso non si può più chiamare così perché le regole impediscono di mantenere una denominazione colta e tradizionale se le proprietà terapeutiche non sono ufficiali, da Ministero della Sanità. Ma può darsi che presto la balsamita, erbacea, perenne e vellutata un po’ simile alla menta un po’ alla salvia, si prenda una rivincita vistosa.

“Investiamo tanto nella ricerca e ci crediamo molto. Abbiamo anche un nuovo laboratorio. - spiega Benedetta Alphandery, figlia di uno dei proprietari, nostra guida insieme a Daniele Ermini, il giardiniere che ha messo a dimora le piante e le accudisce come figlioletti -. Cinque anni di studi universitari stabiliscono che la balsamita è anti-ossidante e, quindi, potrebbe avere proprietà curative”. Benedetta è una ragazza bruna ed elegante, dal sorriso perlaceo, si capisce subito che è di quelle che nell’azienda di famiglia riceve gli ospiti di riguardo, prende en passant uno scatolone consegnato dal corriere e fa tutto quello che c’è da fare fra queste due attività. Si capisce, insomma, che non considera il lavoro all’Officina un lavoro, ma uno stile di vita. Già immagina il giardino, un luogo incantevole e risanante dal quale non si vorrebbe mai uscire e dove si mangiano susine vere, teatro di percorsi didattici e olfattivi. E’ molto orgogliosa dell’orto: “I frati domenicani ce l’avevano e noi torniamo all’antico. Abbiamo già mangiato i nostri carciofi e i nostri baccelli. I dipendenti erano entusiasti di andare via con gli ortaggi”.

C’è anche un laghetto, nel giardino di Santa Maria Novella, con un ponticello dall’essenzialità giapponese. Spalliere di rose Marie Claire, dal fiore sdoppio, e Pierre de Ronsard, dal fiore doppio. Passeggiando fra i suoi vialetti si prova una fiducia novella.