Con Pellizza da Volpedo. I capolavori, la GAM – Galleria d’Arte Moderna di Milano dedica a Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868-1907) la sua prima monografica in oltre un secolo, restituendo al pubblico non soltanto l’autore del celeberrimo Quarto stato, ma un artista dalla sensibilità complessa, capace di coniugare ricerca tecnica, tensione etica e profonda capacità immaginativa. Fino al 25 gennaio 2026, il museo milanese offre un percorso di quaranta opere — tra dipinti, disegni e studi preparatori — che raccontano in modo esaustivo la parabola di un pittore troppo spesso ridotto a un’unica icona.

La mostra si apre infatti proprio con l’intenzione di liberare Pellizza da Volpedo dalla semplificazione. Prima del suo capolavoro simbolo, vi è un artista in formazione, un giovane pittore che guarda al realismo, che studia in Italia e all’estero, che osserva i maestri, che esplora la figura e il paesaggio, che cerca un linguaggio in cui etica ed estetica possano trovare equilibrio. Le prime sale raccontano questa fase con opere che riflettono una grande attenzione al vero: ritratti intensi, scene di vita reale, paesaggi che restituiscono una campagna piemontese ancora intatta.

Già qui, tuttavia, il visitatore coglie un tratto distintivo: la vocazione morale di Pellizza. L’artista cerca nel reale non solo il dato visivo, ma il valore umano, la dignità del vivere, il peso delle relazioni, il ruolo sociale dell’individuo. È questa dimensione etica a fare da filo rosso nell’intera sua opera e che, negli anni successivi, troverà espressione compiuta nella poetica divisionista.

Il passaggio al divisionismo — che la mostra documenta con precisione attraverso studi, appunti cromatici e tele di ricerca — non è soltanto una scelta tecnica, ma un cambiamento di sguardo. La scomposizione del colore in punti e filamenti luminosi diventa per Pellizza una forma di conoscenza e di verità: la luce, scomposta e riorganizzata, permette di dare intensità meditativa all’immagine. Non un semplice effetto visivo: un modo per esplorare la realtà emotiva e sociale.

La mostra si svolge come un percorso ascendente che culmina al primo piano della GAM, dove Il quarto stato — conservato dal museo — appare come l’apice naturale di un cammino di pensiero, prima ancora che di pittura. L’opera, che emerge da una lunga serie di studi preparatori, è resa ancora più potente dal confronto con le tele precedenti. Qui, l’immagine iconica dei lavoratori che avanzano, fermi e compatti, trova radici profonde: nella dignità delle persone semplici, nel realismo degli esordi, nella tensione morale che attraversa ogni suo dipinto.

L’esposizione restituisce però molto di più del Quarto Stato. Le opere meno note — alcuni ritratti, studi di luce, opere simboliste, piccoli paesaggi divisionisti — compongono un ritratto sorprendentemente ricco e vario. Nell’ultimo Pellizza convivono introspezione, sperimentazione e impegno civile. L’artista guarda al mondo non per descriverlo, ma per interpretarlo: la sua pittura diventa un luogo di riflessione, un laboratorio di idee.

Alcuni lavori simbolisti, come Il sole o L’amore nella natura, mostrano un lato più lirico, quasi metafisico, che completa l’immagine del pittore sociale. Qui, l’uomo non è più soltanto figura sociale, ma creatura immersa nella natura, nella luce, nel mistero dell’esistenza. Pellizza si rivela dunque non come artista ideologico, ma come creatore profondamente spirituale, attento ai moti interiori e alle vibrazioni del reale.

Un altro nucleo interessante è quello dei disegni: fogli rapidi, schizzi minuziosi, studi di gesti e di volti. In essi pulsa la sua capacità di osservazione minuta e affettuosa. Sono materiali che permettono di entrare nel suo metodo: la costruzione lenta, quasi scientifica dell’immagine, e al tempo stesso l’emergere di un’intuizione luminosa che trasfigura tutto.

L’allestimento della GAM favorisce questo viaggio: le sale costruiscono una progressione naturale, mai didascalica, che permette allo spettatore di cogliere i passaggi, le svolte, le invenzioni. Il Quarto Stato non viene presentato come un monumento isolato, ma come la punta di un iceberg fatto di tentativi, ripensamenti, ricerche. E in questo processo la mostra diventa un racconto appassionante, quasi un romanzo visivo della vita dell’artista.

La scelta di collegare la mostra milanese a quella di Novara — tramite una riduzione reciproca del biglietto — sottolinea poi un’idea curatoriale intelligente: il dialogo tra identità collettiva e visione individuale. Se L’Italia dei primi italiani racconta la nazione attraverso un coro di voci, Pellizza da Volpedo. I capolavori mostrano come un singolo artista possa farsi interprete di quella stessa storia, incarnandone sogni, tensioni e contraddizioni.

La grandezza della monografica milanese sta infatti nel restituire la complessità di un autore troppo spesso legato a una sola immagine. Qui Pellizza emerge nella sua interezza: sperimentatore rigoroso, osservatore sensibile, interprete del sociale, poeta della luce. Un uomo che ha vissuto nel cuore delle trasformazioni dell’Italia post-unitaria e che ha saputo trasformare quella realtà in immagini iconiche e profonde.

Per il pubblico di oggi, la mostra è un’occasione unica per riscoprire un artista che parla ancora con forza al presente: per la sua visione etica, per la sua attenzione agli individui e alla collettività, per la sua capacità di usare l’arte come strumento di pensiero, non di celebrazione. Pellizza ci invita a guardare il mondo con occhi più attenti, a leggere la dignità nei gesti quotidiani, a comprendere la luce — quella reale e quella interiore — come forza generatrice di conoscenza.

Una mostra, dunque, intensa e capillare: non un semplice tributo, ma un invito a entrare nel laboratorio di un artista che, pur avendo vissuto solo 39 anni, ha lasciato un’eredità luminosa e ancora sorprendentemente attuale.