La prima sensazione che si prova, varcato il grande androne della Certosa di Pavia, è stupore, meraviglia. L’armonico equilibrio tra la leggiadra facciata della chiesa e il curatissimo giardino all’italiana di fronte, in cui si insinuano stradine ghiaiose e siepi parallele dalla precisione geometrica, concentra su di sé l’attenzione. Intorno all’elegante prato, vanto dei signori rinascimentali, un insieme di costruzioni monumentali gode del silenzio e della quieta atmosfera, che pervade l’ambiente circostante. In questo posto speciale, immerso in un paesaggio fuori dal tempo, a un osservatore attento non sfugge sulla destra una prestigiosa residenza, che per elementi architettonici e stilistici appare in perfetta sintonia con l’impianto strutturale della chiesa. È il cinquecentesco Palazzo ducale, allora adibito a foresteria nobile per l’accoglienza degli ospiti di riguardo in visita o in pellegrinaggio alla Certosa, adesso raffinata sede museale.
Impensabile immaginare un giro turistico alla basilica, senza una sosta in quest’affascinante museo che, concepito sin dagli anni 1887-1888 per riunire quadri, affreschi, sculture e arredi liturgici provenienti dal complesso religioso, si appresta a vivere una nuova stagione di studi, esposizioni ed eventi d’arte.
Il Museo della Certosa si propone -commenta il dottor Giacomo Maria Prati,- come un’ulteriore offerta culturale. Le collezioni in mostra, complementari e inscindibili dalla Certosa stessa, non solo permettono di apprezzarne appieno la ricchezza storico-artistica, ma offrono la possibilità di comprendere meglio le dinamiche politiche, religiose ed economiche, che ne hanno determinato la costruzione e lo sviluppo.
A cominciare dalla nascita, ricordata dal grande ovale con l’immagine di Caterina Bernabò Visconti, posto nella seicentesca Sala dei Ritratti dei Visconti e degli Sforza, che raccoglie le effigi dei duchi di Milano a partire dal primo, Gian Galeazzo Visconti, sino all’ultima duchessa, Cristina di Danimarca. Sposato in seconde nozze Gian Galeazzo, Caterina Bernabò Visconti fece un voto alla Madonna per la nascita dei figli e la conversione del marito. La discendenza fu assicurata, quindi ella ritenne esaudito il voto e convinse il consorte a innalzare la Certosa.
La posa della prima pietra risale al 1396. La consacrazione avvenne 101 anni dopo, nel 1497, lo stesso anno in cui il duca di Milano Ludovico il Moro, vivente, fece eseguire il cenotafio per sé e per la moglie Beatrice d’Este. Il monumento funebre si trova nella chiesa, mentre il calco è collocato al pianterreno del museo, nella cappella dedicata all’architetto Luca Beltrami, al quale si deve il primo allestimento della raccolta, inaugurata nel 1911-1912.
L’importanza religiosa e politica del monastero si evince anche dal grande fervore architettonico, che nei decenni cavallo tra la fine del XIV e gli inizi del XV secolo coinvolse sia Milano che Pavia. Non a caso i lavori per la realizzazione del tempio pavese cominciarono in contemporanea con quelli della fabbrica del Duomo di Milano e si conclusero con quelli del santuario milanese di Santa Maria delle Grazie.
Il fortissimo file rouge che unisce il Museo alla Certosa, però, non si esaurisce nell’esposizione delle opere d’arte, ma continua nel costante gioco di rimandi tematici e allusioni metaforiche ben evidente negli affreschi, che ornano la sala dell’oratorio, in passato luogo di culto della foresteria. Infatti nella volta il Fiammenghino tra il 1630 e il 1635 rappresentò con un sorprendente effetto a trompe d’oeil la Gloria di San Bruno (Colonia, 1030 - Serra San Bruno, 1101), fondatore dell’Ordine certosino. Nel dipinto, accanto a varie personificazioni di virtù morali, fanno capolino da un finto loggiato alcune figure di frati, riprendendo il leitmotiv dei monaci che si affacciano dalla balaustra, che scherzano, che volgono lo sguardo ai fedeli, ricorrente nell’edificio culturale.
La profonda devozione dei certosini pavesi nei riguardi di Bruno di Colonia traspare pure nell’affresco del Fiammenghino, che adorna la volta della Gipsoteca, ospitata nella galleria o corridoio di San Bruno, a pianterreno del museo. Considerata una delle mostre di calchi più ricche d’Italia, essa è custode di oltre duecento gessi, ricavati dalle sculture nella facciata della basilica e dai manufatti in cotto dei chiostri. Le copie, prodotte nel corso dei restauri del monumento, sono state commissionate a fine ‘800 a scopo didattico, come studio per gli allievi delle scuole d’arte, e conservativo, come “ausilio” per la salvaguardia di una straordinaria facciata-cantiere, insigne espressione della scultura rinascimentale lombarda.
Le sale del primo piano, nei secoli scorsi probabilmente adibite a salottini dove ricevere e intrattenere gli ospiti, sono dedicate alla scultura e alla pittura di fine ‘400 - inizi ’500. Accanto a pitture a fresco di Bernardino de’ Rossi, staccate dal chiostro grande, si ammirano apparati decorativi, fregi, lunette, parti di bifore, che attestano la presenza di due spunti di osservazione dipendenti l’uno dall’altro: quello nobiliare, con stemmi viscontei e sforzeschi, e quello umanistico, con temi agiografici tratti dall’Antico e dal Nuovo Testamento. Straordinarie le preziose sculture in marmo del ‘400 della Crocifissione di un anonimo artista lombardo, dell’Orazione nell’Orto, del Cristo portacroce e della Flagellazione, firmati dallo scultore Antonio Mantegazza. Invece all’Amadeo è attribuita un’altra suggestiva Flagellazione, che collocata nella stanza a fianco, esibisce resti di finiture policrome, a indicare l’originale esistenza di pigmenti, probabilmente utilizzati per decorare diverse opere marmoree.
Al primo piano del Palazzo nobiliare si trova anche lo studiolo ducale che, denominato Stanza del Priore, rappresenta un autentico gioiello tardo rinascimentale. Vero protagonista di questa Camera picta, adibito prima a studio privato dei Duchi, poi del Priore dei Certosini, è il ricchissimo apparato decorativo di tradizione simbolica con ninfe, satiri, mascheroni, pegasi, mostri, molto fantasiosi e ibridi. Raffinate grottesche e suggestivi paesaggi, simili a quelli disegnati da Aurelio Luini nel monastero di San Maurizio Maggiore a Milano, insieme a figure immaginarie e filologiche, creano ripetuti effetti illusionistici nella magica composizione del prezioso scrigno e fanno da sfondo a racconti di santi eremiti, anche certosini.
Nel soffitto, al centro della volta, appare la raffigurazione del Sogno di Costantino, episodio ripreso da Piero della Francesca. Attorno all’ovale, personificazioni allegoriche delle arti celebrano l’importanza delle scienze matematiche e umanistiche, mentre nelle sottostanti lunette monocrome le storie di papi e imperatori, accompagnate da motti morali in latino, palesano i due temi principali: quello religioso e quello politico, che costantemente dialogano e interagiscono fra loro nella composita e grandiosa architettura sacra.
Il percorso si conclude con la Sala dei capolavori, che accoglie splendidi quadri dei secoli XV e XVI. La ricchezza e la continuità della ricercata committenza ducale prima e certosina poi, è attestata dalle coppie di Angeli oranti di Ambrogio Bergognone, dal Sant’Ambrogio e dal San Martino e il povero di Bernardino Luini, dalla pala di Bartolomeo Montagna con la Madonna con il Bambino in trono fra i santi Giovanni Battista e Gerolamo e angeli musicanti e dai dipinti su tavola della fine del XVII secolo, riproduzione dei quadri del Luini.
L’impegno nel cantiere della Certosa di questi tre autori, assai differenti tra loro, permette un confronto fra eccellenti protagonisti della rivoluzione umanistica, che coinvolse il linguaggio pittorico tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500. Infatti da un’analisi più approfondita emerge che tra il 1490 e il 1492 Leonardo da Vinci risiede a Pavia, chiamato come consulente per il Duomo e i lavori alla Chiesa di S. Maria in Pertica. In città stringe amicizia con l’architetto Bramante e lo scultore Amadeo. Tra i tre maestri, fondamentali nella storia del rinascimento lombardo, si instaura un rapporto di contatto, di dialogo, di scambio reciproco al punto che l’Amadeo, nell’ardita prospettiva e nella teatrale “messa in scena” della Flagellazione nel museo della Certosa riprende il disegno, eseguito da Bramante, di una testa descritta di nuca (da cui l’incisione Prevedari, 1481). Bramante appare alluso pure in un’altra opera del museo, un anonimo e alquanto suggestivo Cristo risorto, influenzato dal Cristo alla colonna conservato nella Pinacoteca di Brera.
Giovanni Antonio Amadeo, forse meno conosciuto al grande pubblico, non lavora solo con il Mantegazza alle formelle nella fronte della Certosa, ma è coinvolto nella costruzione del Duomo di Pavia e in quella del tiburio di Santa Maria delle Grazie a Milano. Inoltre è autore dell’Arca nella chiesa di San Lanfranco a Pavia, dell’Arca dei Martiri Persiani nel Duomo di Cremona e della Cappella Colleoni a Bergamo.















