Il Ponte Leproso, posto a sud-ovest rispetto al cento città di Benevento, è uno dei simboli della civiltà romana nel Sannio e consente l’attraversamento del fiume Sabato e l’ingresso nel cuore storico della città. Voluto dal censore Appio Claudio Cieco nel III secolo a. C. si trova sul tracciato della via Appia. La strada entrava all’interno della città di Benevento e dopo aver attraversato via Magistrale arrivava all’Arco, eretto da Traiano, per dirigersi verso Brindisi. Forse il ponte sorgeva su una preesistenza sannita ma non sono presenti notizie scritte.
Sul ponte transitarono diversi personaggi illustri come: Cicerone, Orazio, i consoli Sesto, Giulio, L. Marcio, Giulio Cesare e L. Silla, Cecilio Metello, Vespasiano, Augusto, Galieno, Giuliano, i dottori Basilio e Gregorio Nazianzeno; nonché i sommi pontefici Gregorio VII, Adriano VI e Alessandro III. Nel 704 venne distrutto da un’alluvione ma fu subito ricostruito e reso più stabile. Questo restauro gli diede il nome di ponte marmoreo, per via dei materiali utilizzati, ma dall’undicesimo secolo il nome si trasformò in ponte Leproso a causa di un ospedale lebbrosario posto nelle vicinanze, del quale non ci sono tracce scritte.
Secondo il cardinale Stefano Borgia, autore di molte opere storiografiche e studioso della città di Benevento, il nome del ponte non era dovuto ad un lebbrosario ma alla scabrosità della sua superficie lapidea che ricordava la pelle di un malato di lebbra. La prima volta che il ponte compare con questo nome è nel ll’830 quando viene fondato l’ospizio ad esso adiacente.
Per quanto riguarda il primo documento scritto che nomina senza alcun dubbio il ponte, bisogna aspettare Landolfo VI, principe di Benevento, che nel 1071 concedeva a favore di Dacomario, rettore della città, il passaggio sul ponte. A questo periodo si fanno risalire alcune modifiche subite dal ponte, come la costruzione di un canale, per la canalizzazione dell’acqua del fiume sabato, che consentì la costruzione di diversi mulini.
Il ponte è un accesso importante alla città, che si trova tra due fiumi, per questo motivo venne distrutto diverse volte nel corso della storia, una tra tante è quella del VI secolo quando Totila, re dei Goti, impose la propria forza e conquistò la città. Il monumento è stato palcoscenico di diverse battaglie tra queste la battaglia di Benevento del 1266, combattuta dalle truppe guelfe di Carlo D’Angiò e quelle ghibelline di Manfredi di Sicilia che decretò la conquista angioina del Regno di Sicilia e la morte del re Manfredi. La tradizione popolare riporta presso il ponte il luogo di sepoltura del re di Sicilia ma molti studiosi non sono concordi. Il monumento in memoria di Manfredi è presente in città ma sul fiume Calore in adiacenza del ponte Vanvitelli e senza fonti certe non è possibile dare notizie certe dell’evento.
Nel 1702 il Sannio venne colpito da un evento sismico che interessò anche l’Irpinia e rese gli edifici della città di Benevento in condizioni critiche perché già lesionati e in dissesto a causa del terremoto del 1688. La calamità rese le strade impraticabili a causa dell’enorme quantità di detriti che si riversavano sulle strade e gli edifici già in condizioni precarie risultarono inaccessibili. L’arcivescovo Vincenzo Maria Orsini stilò una stima dei danni e fece richiesta alla Reverenda Camera Apostolica di un tecnico che ne delineasse un programma d’intervento.
La situazione era molto difficile c’erano state vittime e solo a Benevento se ne contavano centocinquanta. Le scosse durarono giorni e il clima era particolarmente rigido e questo rese difficile i soccorsi. Era importante mettere in sicurezza l’intera città per non creare ulteriori disagi.
Tra i tanti edifici da restaurare c’era anche il Ponte Leproso e i lavori, da attribuire all’architetto Giovanni Battista Nauclerio autore, tra l’altro, di palazzo Andreotti Leo nel centro storico della città. Nel 1712 anno iniziano i lavori di rifacimento e allo stesso anno risale un disegno autografo dell’architetto. La città era diventata un laboratorio edilizio, dando la possibilità agli architetti locali di apprendere l’organizzazione cantieristica utilizzata dalle grandi imprese accorse sul territorio. Gli anni che seguirono i terremoti furono caratterizzati da un fermento edilizio che portò la città ad una nuova rinascita.
Il ponte subisce nuove modifiche alle quattro arcate ne venne costruita una quinta, questa aggiunta è dimostrata dallo studioso beneventano Meomartini che attribuisce l’arcata in più al periodo medioevale. La forma è a schiena d’asino, cioè, rialzata al centro e pendente verso i lati collegandolo al sistema viario. L’andamento a schiena d’asino era una caratteristica dei ponti romani utilizzato per facilitare la costruzione di ponti in condizioni disagevoli.
Il restauro successivo al terremoto inserisce nell’estradosso dell’arco una doppia ghiera costituita da mattoni di terracotta decorando in modo semplice ed elegante il ponte. In alcuni punti della muratura sono ancor oggi visibili i fori che furono utilizzati per l’alloggio delle centine che ne consentirono la costruzione e le modifiche necessarie per l’adeguamento del ponte. La storia del ponte si legge sulle arcate a nord, quelle adiacenti alla sponda destra, quelle più antiche, che includono grossi blocchi lapidei squadrati con filari irregolari e con facce a vista sbozzate in modo irregolare.
Questa parte di ponte fa dedurre che l’essere interamente di pietra calcarea gli diede il primo nome “ponte marmoreo” che si vede scritto nei documenti del 1077. Grazie a questa testimonianza possiamo immaginare la raffinatezza e l’importanza che il ponte aveva nel sistema viario antico.
Sulla sponda opposta, quella con direzione Roma, c’era il mulino di proprietà Pacca-Ventura, forse quello edificato da Dacomario dopo la concessione del principe Landolfo VI. L’istallazione dei mulini trasformò il ponte e ne modificò l’aspetto che oggi è solo immaginabile data l’inesistenza di elementi visibili. Forse questi edifici rimasero lì fino agli anni Cinquanta fino all’ultimo restauro. Per esigenze del nuovo mulino il il pilone che si trovava tra queste arcate venne rimpiazzato con uno più grande e irregolare che presentava materiale ci spoglio e nuovi archi in mattoni.
Se quel mulino non fosse esistito, forse nel Settecento avremmo perso anche l'ultima traccia antica, perché è grazie ad esso riuscì a resistere alle piene del fiume. Dagli studi fatti da Meomartini il ponte era costituito da cinque arcate uguali di circa 8.70 m ma Neuclerio nel suo restauro ne ricostruì solo tre con caratteristiche simili tra loro ma meno spaziose delle originali e ne aggiunse un'altra al capo opposto per ridare spazio alle acque del Sabato.
Il ponte presenta nelle pile centrali un rostro cioè una struttura aggettante simile ad un contrafforte, con pianta triangolare ad est e semicircolare sul lato opposto. Il rostro aveva una funzione oltre che di sostegno anche di tagliare la corrente e di diminuire la corrente che altrimenti avrebbe potuto causare seri danni alla struttura.
Al centro dei piloni sono presenti due luci di sfogo circolari che consentono alle acque di defluire con più velocità e al ponte di non subire danni in caso di piene particolarmente violente. Nei piloni che si attraversano venendo dalla città sono visibili dei pezzi di reimpieghi di epoca romana che fecero dedurre allo storio Meomartini che il ponte aveva subito modifiche in epoche successive all’edificazione dell’arco romano presente in città. Alcuni elementi presenti nei piloni sembrano provenire proprio dall’arco Traiano.
Parte dell’immagine originale del ponte ci viene restituita da uno dei piloni sui cui sono presenti elementi marmorei quasi integri ed è visibile la cornice aggettante sopra la quale si elevano le arcate. Le arcate sono per lo più ricostruite e modificate in epoche successive e si adattano alle esigenze costruttive restringendosi e divenendo irregolari.
L’immagine che oggi abbiamo del ponte Leproso non è certo quella del 1958 quando venne approvato il piano Regolatore generale affidato a Luigi Piccinato che si opponeva agli sventramenti ma proponeva il ripristino degli spazi sconvolti dai bombardamenti che la città subì durante la guerra. Anche se il ponte ha subito delle modifiche continua a regalare alla città una testimonianza del suo passato e della sua lunga storia. Peccato la mancata manutenzione della vegetazione perché, se è vero che l’unica operazione con un senso è la rimozione del legname secco che potrebbero sbarrare l’acqua in sezioni critiche, il ponte presenta in prossimità dei piloni vegetazione spontanea che potrebbe creare problemi sia alle strutture che allo scorrere delle acque.
La posizione decentrata non consente la giusta importanza che il ponte merita ma è un’opera di grande interesse storico e merita attenzione soprattutto fa parte dei beni con i quali la città potrebbe rivalutare la sua posizione all’interno del circuito turistico. Benevento è ricca di monumenti poco valorizzati e questo la pone in svantaggio rispetto a città che hanno meno da offrire ma più valorizzato.
Bibliografia
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