Nutro da sempre un forte interesse, e non credo di essere il solo, per le “differenze”. Non si tratta del combattere la monotonia, attività peraltro dotata di un proprio senso ed ancor più di valore. Molto più interessante è ricercare le diversità tra elementi apparentemente omogenei. Qui, infatti, variazioni anche minime possono assumere contorni ed importanza potenzialmente importanti, se non addirittura illuminanti. Ciò ovviamente non accade sempre ma “solo” molte volte, più di quanto ci aspetteremo. Dipende, ovviamente, solo ed esclusivamente non dalle cose ma dalla nostra capacità di osservazione con gli occhi ma vale molto ciò che coglie quello “interno”. In particolare, risulta davvero interessante analizzare i modi in cui affrontiamo, rappresentiamo e via dicendo le stesse “cose” in modo assai diverso, a seconda della cultura cui apparteniamo.

Il tutto -naturalmente!- senza giudizio di merito ed ancor meno classifiche, vincitori e vinti, approvati e respinti. Sgomberato il campo dai più facili paragoni e dall’inutile -se non dannosa- volontà/bisogno di distinguersi, fine a sé stessa nei casi migliori, gli esempi virtuosi non mancano. Uno di questi, che personalmente ritengo a dir poco straordinario, consiste nel modo in cui vengono trattate al punto visivo le forze, ovviamente soprattutto quella di gravità, negli enormi edifici religiosi del gotico cristiano, le cattedrali, ed i corrispondenti fabbricati islamici, le moschee.

La premessa è d’obbligo: come già indicato nessun confronto religioso, valoriale o di altro tipo sarà fatto oggetto neppure della più semplice, banale e scontata osservazione, cui anzi nemmeno si farà cenno. Lo scopo dello scritto è, infatti, solamente quello di confrontare l’incredibile modo di affrontare i problemi costruttivi di edifici tanto grandi e complessi, in particolare per il tempo in cui vennero edificati, e di come sia stato trattato l’aspetto visivo che riguarda da vicino anche noi, posteri e -forse, quanto meno in molti, pur se non tutti- semplici fruitori di tanta grandezza.

Qui in Occidente, ed ancor di più in noi occidentali -nati, vissuti e convinti dei principi che, generazione dopo generazione, sono giunti fino a noi- quello del gotico è davvero un mito, purtroppo spesso distorto ed utilizzato per scopi diversi da quelli che trattiamo in questa sede e che, impossibile nasconderlo, si contrappongono ad un altro “sentire”, assolutamente superficiale, in una sola parola: non-gotico! La bellezza delle cattedrali, per la quale più di qualcuno -non proveniente dai telequiz ma davvero (!) esperto- ha parlato di perfezione, quindi non proprio poco e senza alcun “quasi”, è nota.

Questo è il motivo per cui ci viene fatta studiare fin dalla scuola dell’obbligo, perché si ritiene debba essere parte del bagaglio culturale di ciascuno di noi. Non è il caso di sprecare del tempo con chi ritiene -beata ingenuità (o ignoranza?)- che ciò che conta sia solo quanto produce denaro, basti pensare per un solo secondo all’uso che questi sapienti hanno fatto -ed ovviamente continuano a fare- dei loro soldi. Altri, con atteggiamento ben diverso, se non diametralmente opposto, hanno invece sentenziato che solo "La bellezza salverà il mondo". Ma non erano i soldi? Come noto a molti la frase è attribuita a Fëdor Dostoevskij e proviene dal romanzo, guarda caso, L'idiota, qui l’autore evidentemente già sapeva dell’esistenza dei geni di cui abbiamo parlato: non sappiamo se per preveggenza o perchè erano presenti già allora.

Non ci interessa, come è naturale: cosa potrebbe cambiare se siamo in presenza di sciocchi nati oggi o di “figli-di-figli-di-figli-di-sciocchi-che-più-sciocchi-non-si-può”? Più interessante -invece- la visione che il protagonista del romanzo ha della bellezza di cui tratta, che non sembra limitarsi all'estetica ma includere la bontà, la compassione e l'amore. In un certo senso, sembra che l’autore consideri la bellezza una manifestazione del divino, tale da consentirci di entrare in relazione con entità soprannaturali. Fuor di retorica, la bellezza quale bontà e amore disinteressato, ha -al contrario del bello di nostro uso quotidiano, che corrisponderebbe a ciò che piace (lasciamo stare a chi...)- potrebbe perfino redimere l'umanità. Non siamo, infatti, in presenza di una bellezza, che potremmo definire “superficiale”, ma di una vera e propria forza interiore, capace di ispirare sensazioni positive alle persone, contrapponendo speranza e redenzione a -maledetta retorica- materialismo ed egoismo.

Sembra si stia parlando di tensioni, se non di vere e proprie forze! Questo ci spinge ad un confronto, sicuramente e cacofonicamente “forzato”, tra diverse interpretazioni proprio di questo tema in alcune architetture religiose di diverso credo.

Iniziamo dal gotico e dalle sue “favolose” cattedrali. Il tema del “pilastro fasciato” ha da sempre affascinato gli studiosi di ogni epoca e così i turisti che, pure se spesso a digiuno di ogni nozione, subiscono il movimento dei bulbi oculari che percorrono dal basso verso l’alto -e viceversa- la serie di “nervi” che circondano i pilastri e proseguono sulle volte di copertura, da cui discendono percorrendo lo stesso tragitto su un costolone generatosi all’incrocio lassù, potenzialmente senza che la cosa abbia -quasi- mai fine. Siamo letteralmente catturati da quello che vediamo, e ci sembra che tutto -contrafforti compresi- risponda ad un principio statico, come se la funzione -da sola!- fosse capace di progettare queste straordinarie architetture e dar loro questa immagine, tanto forte da sembrare che non potesse che essere così! Fatto che, inequivocabilmente, dimostra l’assoluta grandezza della cosa, tanto che diversi secoli dopo, non proprio un millennio ma quasi, siamo ancora qui a parlarne con entusiasmo!

Un accenno deve essere fatto anche alla ripresa del principio profondo di costruzione, non quindi quello che, solo per chiarezza, potremmo definire “architettonico”, da parte della comunità riproposto circa un secolo fa da Antoni Gaudì i Cornet per la costruzione della Sagrada Famiglia a Barcellona. Tale originalissimo edificio, infatti, viene edificato a poco a poco con le offerte dei fedeli e quindi è tuttora in costruzione, come appunto avveniva un tempo. Gli storici narrano che Gaudì subentrò nella costruzione già iniziata e ne modificò lo stile da neogotico a liberty. Qui poco importano stili e definizioni, ci interessa solo il principio profondo che, da sotto, spinge l’edificazione la quale, se come viene ottimisticamente previsto sarà terminata nel 2034, considerato l’inizio nel 1831 sarà durata 203 anni. Un cantiere plurisecolare, quindi, proprio come quelli che hanno portato alla costruzione delle note cattedrali che hanno caratterizzato il gotico.

Se ne siamo capaci, dato che farlo oggi è tutto fuorché semplice, facciamo lo sforzo di immaginare -ma perché no?- e cerchiamo di immedesimarci nello spirito di quel tempo, non quello incarnato dal significato che diamo oggi al termine “gotico”, ma ciò che consentiva alla comunità di esprimersi ed identificarsi nella costruzione e nell’utilizzo di questi straordinari edifici che, infatti, incarnano la natura più profonda della collettività, fatto che innalza entrambi, se possibile, ancora più in alto!

Questo non è però il solo modo di fare possibile e nemmeno il più corretto. Dopo migliaia di anni di scontri, ideologici e fisici, molti di noi -purtroppo non tutti- hanno capito la ricchezza della diversità, l’importanza del fare altrui, anche, se non soprattutto, quando rappresenta il frutto di civiltà diverse. Sia chiaro come non ci stiamo di certo riferendo a quelle falsità intrise di retorica che propongono ingenui pensierini quali soluzioni a problemi immensi, che nemmeno vengono sfiorati ma che assicurano a chi le pronuncia un benessere apparentemente profondo, quello di chi si ritiene l’unico dalla parte del giusto, e quindi ha il diritto -che però ritiene, chissà perché, un dovere- di guardare gli altri dall’alto.

Qui e ora, infatti, si propone di osservare l’altro come fanno i più “bravi” turisti: con interesse e rispetto, per comprendere ed apprezzare l’altrui cultura! Il turista degno di tale nome, infatti, non visita quello che conosce ma si espone mettendosi in gioco per visionare, apprendere ed assimilare, in tutte le sfaccettature possibili, l’operato di chi si comporta diversamente da noi. In caso contrario, infatti, che senso avrebbe il viaggio, reale o virtuale che sia? Meglio starsene a casa!

L’applicazione di questo atteggiamento a quanto abbiamo già esposto sembra invitarci ad osservare e confrontare, senza giudicare e men che meno classificare, opere di altrettanta grandezza di quelle citate ma espressione di culture diverse. Nel caso si riescano a contrapporre elementi omogenei, come potrebbero essere edifici aventi la medesima destinazione, il confronto potrebbe essere ancora più arricchente. È proprio il nostro caso. La nostra attenzione, infatti, si posa ora sulle moschee, edifici per il culto di una religione differente da quella che ha prodotto le cattedrali ma paragonabili per importanza, tipologia e dimensioni. Ripetuto -per l’ultima volta- che non è una partita, non ci sono né vincitori né vinti, come non notare le profonde differenze tra le due tipologie di manufatto, soprattutto per -e grazie a- i principi che li hanno generati, più da dentro che da sotto.

Il nostro interesse, come a questo punto dovrebbe essere chiaro, non è rivolto ai riti che qui si svolgono, per i quali si ha il massimo rispetto, ma al modo in cui gli edifici sono stati pensati, progettati e realizzati nonché al come questi si mostrano a noi. Il tema delle “forze”, di cui abbiamo già accennato, risulta particolarmente azzeccato, ed illuminante. Le moschee più note, segnatamente quelle pensate da Mimar Sinan, sembrano, ed a tutti gli effetti sono, caratterizzate da una apparente mancanza di peso, come se questi edifici, per una probabile intercessione soprannaturale, fossero esentati dalla forza di gravità. Il risultato è perciò di una grandezza assoluta, rappresentando in modo tangibile l’impossibile.

Il confronto tra questi componenti degli edifici non può perciò che contrapporli: la spinta verso l’alto contro l’immobilità, il verticale contrapposto all’orizzontale, da una parte il singolo elemento e dall’altra l’insieme e così via. Anche la curvatura delle strutture di copertura è molto diversa nei due casi: nelle cattedrali siamo in presenza di carene di nave rovesciate mentre nelle moschee si hanno sorta di volte complesse ma molto dolci nella curvatura. Nelle prime le strutture portanti sono evidenti ed anzi esplicitamente mostrate, nelle seconde tutto è nascosto, come se non potessero che star su senza bisogno di nulla. Di nuovo l’una l’opposto dell’altra ma entrambi spettacolari. Anche la sequenza degli spazi e la forma di ciascuno -del resto, come potrebbe non esserlo?- sono diverse, se non opposte.

Nelle cattedrali alla fortissima spinta verso l’alto si aggiunge, anzi: aggiungono, quella orizzontale, che dal momento dell’ingresso ci porta -spingendoci e tirandoci- all’abside, la parte terminale della chiesa, quella in cui viene ospitato l’altare principale e dove i religiosi tengono le loro funzioni rivolgendosi ai fedeli. L’avanzare si presenta però “ostacolato”, in realtà “arricchito”, da quanto è stato collocato nell’ideale percorso pensato per il fedele, che potrà ammirare ai lati una sequenza più o meno estesa di cappelle fino a giungere, poco prima del termine del tragitto, al transetto, spazio più grande, quasi una ulteriore navata, di fatto una seconda chiesa, disposta di traverso alla principale.

Nelle moschee, invece, la sequenza degli spazi, in certi casi confinati, presenta la sala di preghiera, la nicchia che indica la direzione -la Mecca!- cui i fedeli devono rivolgere la preghiera ed un pulpito per il sermone. Generalmente gli spazi più vasti hanno forme ampie e regolari, prive dell’orientamento geometrico già visto. Qui più che di una linea sembra -quanto meno a chi scrive- di essere in presenza di un centro. Il risultato, anche per chi non ha la specifica fede, è il vivere una esperienza, più o meno prolungata, di assoluto valore culturale!

In questo, al contrario di quanto abbiamo fin qui espresso, le due tipologie si accomunano: le visite sono straordinariamente diverse ma ugualmente di assoluto valore! Forse potremmo arrivare ad affermare che l’avvicinarsi a culture diverse dalla propria può generare un maggior interesse, se non altro per la novità che il non noto suscita in tutti coloro che -poveretti- non sono arroccati nel proprio “piccolo mondo antico”. Le forze di cui si è parlato sono perciò apparentemente visibili in un caso e nascoste nell’altro, se però non ci limitiamo alla sola statica ma osserviamo -ed ammiriamo- gli edifici nel loro insieme, non potremo che notare l’incredibile loro capacità di emanare messaggi a noi diretti, assolutamente grandiosi e che -guarda caso- non sono riassumibili in poche parole ma che, volendolo comunque fare, dovremmo utilizzare i termini bellezza ed -appunto- forza.