Con una mostra sui tre capitoli fondamentali della storia dell’art rock britannico, il Padiglione d’arte della Fondazione Luigi Rovati celebra le contaminazioni tra musica, pittura, fotografia e illustrazione e apre al pubblico la visione di una parte della collezione straordinaria di Luigi Rovati in un percorso a cura di Francesco Spampinato. I tre cicli espositivi dal titolo Echoes: Origini e rimandi dell’art rock britannico nella sede della Fondazione a Milano in corso Venezia 52 a partire dal 17 aprile e fino al 5 ottobre interessano esperti e curiosi e continuano a registrare la presenza di diverse generazioni, incantati dalle origini e dagli echi del art rock che hanno preso forma nella Gran Bretagna degli anni Sessanta e Settanta. A partire dal primo appuntamento intitolato The Beatles. Il mito oltre la celebrità e a seguire Pink Floyd, Yes, Genesis. Nuove percezioni della realtà e in corso la terza puntata, fino al 5 ottobre dedicata a: Peter Gabriel. Frammentazione dell’identità.
Tra Installazioni, video, memorabilia, fotografie e dipinti, Luigi Rovati, Presidente Onorario della Fondazione Rovati racconta a Meer la genesi e la colta progettazione di questa esposizione. Fondazione Rovati è nota al mondo internazionale, fin dai suoi esordi, per l’esclusiva collezione di Arte Etrusca, raccolta da Luigi Rovati e conservata nell’ipogeo del Palazzo, concepito e rimesso a nuovo dal genio architettonico di Mario Cucinella, ma si estende e si incontra di volta in volta attraverso new entries espositive o percorsi dove le opere di arte contemporanea raccolte dalla moglie Giovanna Forlanelli, si confrontano con la bellezza dell’antichità. E le diverse facce dell’arte dal passato al presente si coniugano anche con la filosofia ma anche con la scienza – Luigi Rovati e Giovanna Forlanelli sono entrambi medici – per generare armonie insospettabili.
“In embrione tutto è partito con l’idea del museo della Fondazione, di coniugare quello che era l’arte etrusca, la mia passione archeologica con quella per l’arte contemporanea di mia moglie Giovanna. L’arte etrusca si presta in maniera straordinaria ai dialoghi tra la loro arte e quella dei contemporanei. Ci sono delle analogie pazzesche. Chiaramente da lì si è allargato il nostro pensiero. E perché non l’Ottocento e perché non la musica, la musica classica, fino ad arrivare a questa di oggi che è un’altra delle nostre collezioni che curo in particolare con mia figlia Lucrezia e con mio fratello Luca. E qui l’intento era di ritrovare gli artwork originali della musica che piaceva a noi nel periodo tra la seconda metà dei Sessanta e la prima dei Settanta. E partendo dai Beatles, per passare ai Pink Floyd, gli Yes e i Genesis e poi Peter Gabriel per seguirli non solo dal punto di vista musicale ma come loro si interfacciavano con l’arte visiva contemporanea. Fino ad arrivare all’apoteosi di Peter Gabriel che è diventato lui stesso artista visivo con una produzione di video esposti nel Padiglione che sono straordinari e hanno vinto molti premi perché negli anni Ottanta hanno veramente fatto un’arte nuova con i video musicali”.
Peter Gabriel, genio della musica e grande artista anche oggi? “Ha avuto delle intuizioni incredibili e lui stesso frammentava o moltiplicava la sua identità sulle fotografie o nei video che produceva. Sulle copertine dei suoi album, fin dai tempi dell’ultimo album dei Genesis per poi passare ai suoi primi solisti e via via fino ad arrivare ad oggi. Gabriel genera sempre cose nuove, dopo 60 anni di attività”.
Ma entriamo nel vivo della mostra: “Anche qui, in Peter Gabriel. Frammentazione dell’identità mettiamo in correlazione diversi artisti moderni e contemporanei su questa tema della moltiplicazione dell’identità. Dalla fotografia di Man Ray Marcel Duchamp déguisé en Rrose Sélavie (del 1921) fino ad artisti contemporanei come Kiki Smith con l’opera Double Heads, matita su carta del 2000 e quell’ Untitled di Keith Haring del 1985 che è tra i lavori più belli che sono in esposizione”.
Lucrezia Rovati, sua figlia, 32 anni, anche lei medico come i genitori, condivide la passione dell’arte ed è parte attiva di questa mostra? “Lucrezia è medico specialista in medicina d’urgenza e pronto soccorso. Durante la sua adolescenza ha scoperto che la musica classica rock era quella di quegli anni ed è diventata più esperta di noi e poi con il suo orecchio musicale e si è appassionata sempre di più”.
Uno sguardo al pubblico che partecipa a queste esposizioni “Sono venuti tantissimi giovani. E abbiamo scelto questa idea di fare la mostra non all’interno del Museo ma qui nel Padiglione e nell’atrio in maniera che i ragazzi possono entrare senza acquistare il biglietto d’ingresso e possono venire in qualsiasi momento a vederla. E questa è stata ed è un’idea vincente”.
E nel libro Echoes che accompagna il ciclo delle tre mostre, edito dalla Fondazione stessa, Luigi Rovati ripercorre i suoi ricordi “Si tornava a casa dal negozio di dischi e ci si accingeva con emozione ad aprire quelle confezioni incellofanate, a depositare con cura il long - playing (LP) sotto la puntina del giradischi e ad accomodarsi aprendo come un libro quelle enormi copertine per seguire le parole con cui la voce del gruppo ci portava nel suo mondo. Certamente una funzione catartica, ma ripensandoci anche di grande utilità: quanti di noi hanno imparato l’inglese , a cui venivano riservate poche ore nelle scuole secondarie, seguendo i testi del rock progressivo, dove potevamo trovare anche quelle sfumature linguistiche che uscivano dai programmi didattici tradizionali?”.