Il linguaggio tardo medievale di Neri di Bicci, considerato il maggiore rappresentante nella seconda metà del Quattrocento della pittura fiorentina in terra aretina, pone l’accento più sulla forma simbolica che sulla resa realistica delle scene, con un stile limpidamente didascalico. Di altro spirito invece gli affreschi dell’altare Carbonati, nella basilica di San Francesco, eseguiti da Lorentino d’Andrea, seguace e collaboratore di Piero della Francesca, e non solo per l’approccio operativo manifestamente distinto, se non altro per le dimensioni della predella rispetto all’affresco, ma soprattutto per l’influenza di Piero che in quegli anni stava dipingendo il ciclo della Leggenda della Vera Croce (17).

Nella cappella Carbonati - ricostruita con elementi antichi nel restauro della basilica dei primi anni del Novecento eseguito da Umberto Tavanti, mentre gli affreschi sono stati restaurati recentemente a cura della Soprintendenza di Arezzo - Lorentino vi dipinge la Madonna della Misericordia, i cui accostamenti con il Polittico della Misericordia di Piero sono evidenti, ed illustra quattro storie di San Bernardino. Gli affreschi portano la data del 1463 ed il nome del committente si legge nell’iscrizione: “Ioannes a Valle lanifex de Aretino fecit feri - a dì II febbraio venne sco Bernardino a predicare Arezzo predicò nella quaresima morì a dì XX di maggio MCCCCXLIIII… dotavit hanc capellam anno domini MCCCCLXIII” (18).

Purtroppo una grossa lacuna centrale compromette la lettura integrale di due episodi, il primo dei quali si suole riferire alla predica del santo, che gli studiosi considerano effettuata nella basilica di san Francesco e che precede la distruzione della fonte (19). Ad una analisi più attenta non credo che possa riferirsi con assoluta certezza a tale episodio, poiché non sembrerebbe la scena di un interno, piuttosto l’esterno e non di san Francesco, più verosimilmente potrebbe essere il duomo vecchio. Infatti, a sinistra del pulpito del santo, solo parzialmente visibile per la lacuna, si intravede una solida forma absidale che richiama quella del duomo vecchio così come lo conosciamo dalle raffigurazioni pervenuteci. Inoltre fu proprio al Pionta, nella piazza antistante il duomo vecchio, dove il santo fu costretto a parlare per la numerosa folla, che avvenne il “miracolo” della pioggia, riportato dalle cronache. A favorire questa ipotesi vi è inoltre la quarta scena, della morte del santo, avvenuta a L’Aquila, il che non rende necessariamente consequenziale anche la prima scena.

Quelle invece sulle quali può appuntarsi la nostra analisi, che offrono maggiori informazioni sulle caratteristiche della Fonte Tecta, sono la scena della processione, nella quale un confratello incappucciato sorregge la croce precedendo san Bernardino, risultando più aderente ai documenti, e la scena successiva nella quale viene faticosamente distrutta la fonte. Rispetto al dipinto di Neri di Bicci, Lorentino colloca la fonte sotto un colle rigoglioso di vegetazione, alberi e animali, come evidenzia anche il particolare naturalistico di un uccello in volo, presentandone l’ingresso, con un arco a tutto sesto, che penetra all’interno della collina e nella parte bassa una sorta di gradino di contenimento, aperto al centro, dal quale scorre dell’acqua.

Nel riquadro successivo, sulla sinistra il santo attorniato da alcuni gentiluomini, mentre ben sette operai distruggono la fonte con picconi, scalpelli e mazzuoli, in particolare smantellando le pietre dell’arco che appare chiaramente come una galleria. Non è questo lo spazio né è interesse di questo contributo produrre un confronto dello stile di Lorentino con Piero, sebbene si possa confutare l’ipotesi di un cartone di mano del maestro realizzato dal discepolo come vuole il Renzi (20), ed è ben evidente che sia la narrazione, sia le molte figure siano marcatamente debitrici dell’artista di Sansepolcro (21), piuttosto ci preme avvicinarci al possibile aspetto “originario” della Fonte Tecta nel confronto con le varie raffigurazioni.

A questo proposito è illuminante un’altra opera di Lorentino d’Andrea, già presa in considerazione da studiosi come il Tafi, la pala della Madonna con Bambino tra san Gaudenzio e beato Columato, attualmente al Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna di Arezzo, ma eseguita per l’oratorio di S. Bernardino, dove era anche la pala di Neri di Bicci, e dove si suppone siano state almeno fino alla fine dell’Ottocento (22). Infatti, nella prima delle quattro storie della predella sono raffigurati san Gaudenzio ed il beato Columato che battezzano in una fonte le cui caratteristiche sono simili a quelle della Fonte Tecta. Si tratta della medievale Fonte Tuta che il Tafi sostiene, a ragione, possa identificarsi con la Tecta ed è utile, a questo proposito riportarne un brano del Razzi: “(…) trovarono una certa villa, che si chiamava Tuta (perciocché quivi era una fonte, dove Pantheos, secondo l’uso della gente si celebrava: onde dal popolo, per lo bere di essa si diceva, che era fatta Tuta, cioè sicura) e quivi cominciarono a Habitare appresso un certo cristiano, che aveva nome Savino; non cessando ogni giorno di tutti invitare alla cultura del vero Dio: e battezzando nel Rio, che quivi era accanto. (…) allo intorno erano tenuti da alcuna infermità, venivano a lui dall’onda et acqua del battesimo bagnati, e parimenti unti dal sacro crisma, sani e lieti se ne tornavano alle case loro” (23).

Nel dipinto, realizzato nel 1482 e quindi posteriore di una ventina di anni agli affreschi Carbonati, Lorentino d’Andrea riprende nella raffigurazione della Fonte Tuta, il cui significato è “protetta” “sicura”, la forma della Fonte Tecta, con una serie di archi che si inoltrano all’interno di una collina ed, in questo caso, con un battezzando immerso nel bacino d’acqua. Poche sono le notizie che conosciamo dell’artista aretino, che ancora non era nato quando la fonte veniva distrutta, ma si può credere che le sue pitture non si fondino su una personale interpretazione, piuttosto su testimonianze che aveva raccolto e di certo aveva constatato nella tavola di Neri di Bicci. Chi invece con molta probabilità aveva conosciuto la fonte, è Parri di Spinelli (al quale, come si ricorderà, S. Bernardino aveva commissionato la Madonna della Misericordia) che, in un disegno (1430?) conservato al Kupferstichkabinett di Berlino, raffigura tre monaci ed una fontana con relativa vasca che Machtelt Israels ipotizza essere la Fonte Tecta (24). Un’ipotesi che appare poco plausibile per l’aspetto da fontana di strada e non di una cavità naturale o artificiale aperta nel fianco del colle così come evidenziato dalle testimonianze documentarie.

Un’indicazione in tal senso ci proviene anche dal nome “tecta”, che il Salmi (25), ed altri studiosi con lui, riferiscono al fatto che fosse evidentemente “coperta” (26). Non possiamo sapere se la copertura fosse in muratura, ma anche in base all’analisi dei dipinti possiamo convenire con il Tafi che “la Fonte Tecta consisteva in un piccolo bacino d’acqua formatosi dentro una grotta naturale”, probabilmente dove “anticamente era un tempio sotterraneo consacrato agli idoli, un ninfeo il quale era crollato formando un piccolo laghetto dentro la cavità a causa delle acque che vi penetravano dalla soprastante collina” (27). Verosimilmente quindi, prima di essere distrutta, la fonte si presentava come una cavità naturale, all’interno della quale il piccolo bacino d’acqua, e nella parte che portava all’esterno costruzioni in muratura che ne rafforzavano la struttura e ne consentivano l’accesso, più difficile è ipotizzare invece dove fosse con esattezza. Ancora il Tafi, tra i pochi che si è espresso sulla possibile posizione, sostiene che doveva trovarsi nel punto preciso dove oggi s’innalza l’altare maggiore, e porta a sostegno della sua tesi le disposizioni impartite da san Bernardino ed il dislivello della chiesa con l’altar maggiore.

Una tesi che sembra difficile da suffragare sia perché nelle chiese il piano del transetto, e quindi dell’altare, è usualmente soprelevato di alcuni gradini rispetto alla navata, sia perché le prescrizioni di san Bernardino potrebbero non essere state eseguite alla lettera, considerando inoltre che il santo partì per Milano prima della costruzione della cappella. Nel corso dei secoli la chiesa di Santa Maria delle Grazie, arricchitasi dell’oratorio, del portico e del convento, ha subìto diversi rimaneggiamenti ed interventi di restauro che ne hanno modificato alcune strutture. Uno degli ultimi interventi di ristrutturazione è stato compiuto negli anni Settanta ed ha riguardato alcuni ambienti nell’ala a sinistra della chiesa. In quei locali vi sono tre pozzi e siamo propensi a credere che uno di questi, coperto da una botola ma la cui acqua sorgiva sgorga ancora, e in corrispondenza del quale, incassato nella parete, vi è il trigramma in pietra, simbolo iconografico di san Bernardino, possa essere considerato l’antica fonte terapeutica.

Rielaborazione del saggio pubblicato su Notizie di Storia n. 27 giugno 2012.

Leggi anche la Prima parte: http://wsimag.com/it/arte/8357-il-culto-delle-acque-ad-arezzo

Note:
17. V. Curzi, Lorentino d’Andrea copista di Piero della Francesca. Gli affreschi dell’altare Carbonati nella Chiesa di San Francesco ad Arezzo, in Piero interpretato. Copie, giudizi e musealizzazione di Piero della Francesca, a cura di C. Prete e R. Varese, Il lavoro editoriale, Ancona, 1998, pp. 9-12
18. Il committente sarebbe collegato a Benedetto di Giovanni Antonio da la Valle lanaiolo, ma non è possibile risalire al perché della commissione di storie di san Bernardino da parte della famiglia Carbonati che, attiva nel campo della manifattura della lana, (nella chiesa di san Francesco si riuniva la Corporazione della Lana) aveva anche il patronato su di una cappella in S. Maria in Gradi
19. In questo senso anche M. Salmi, San Domenico e san Francesco ad Arezzo, Del Turco Editore, Roma, 1951, p. 33; G. Renzi, Piero della Francesca Pittore teologo nella Basilica di San Francesco di Arezzo, Provincia Toscana dei Frati Minori, Centrooffset Siena, 1990 p. 7; A. Rorro, Lorentino d’Andrea. Discepolo di Piero della Francesca, Fratelli Palombi Editori, Roma 1996, pp. 34 – 43; V. Curzi, Lorentino d’Andrea…, cit., p. 12
20. Padre G. Renzi, Piero della Francesca Pittore teologo…, cit.
21. Per un confronto vedi V. Curzi, Lorentino d’Andrea copista…, cit.
22. S. Pieri, Il Santuario …, cit. p. 147
23. S. Razzi, Vite de’ santi e Beati Toscani de’ quali in fino ad oggi si ha comunemente cognizione raccolte, e parte ancora o scritte o volgarizzate dal Padre Abate Silvano Razzi Camaldolese, dedicate al Santissimo e Beatissimo Padre e Signor Nostro, Papa Clemente VIII. In Fiorenza per gli eredi di Iacopo Giunti, 1593, pp. 67 e ss.
24. Machtelt Israels, L’assunzione del Sassetta e la fortuna del Trecento. Un caso senese, in Presenza del passato. Political ideas e modelli culturali nella storia e nell'arte senese, Roma - Siena, 2008., p.9
25. M. Salmi, Il piazzale di Santa Maria delle Grazie ad Arezzo (estratto dagli Atti e Memorie dell’Accademia Petrarca di Lettere, Arti e Scienze di Arezzo, voll. XXXIX N. S., anni 1968-1969, Arezzo, Stabilimento tipografico Zelli, 1971
26. Fatucchi ha suggerito che il termine “tecta” possa indicare le mammelle, in relazione alle qualità galattofore delle acque (A. Fatucchi, Tracce e testimonianze dei culti precrisiani nel territorio aretino, “Scriptoria”, 1971, pp. 49-94)
27. A. Tafi, S. Maria delle Grazie…, p. 38