All'inizio del 1900, le relazioni tra l'Italia e la Libia erano caratterizzate da una crescente ambizione italiana di espandere la propria influenza coloniale nel Nord Africa.

La Libia era, agli inizi del 1900, una provincia dell'Impero Ottomano e rappresentava per l'Italia una grande opportunità economica. L'Impero Ottomano era in fase di declino e quindi non in grado di esercitare un controllo efficace sulla Libia. Questa debolezza creava un vuoto di potere che l'Italia sperava di colmare. Si poteva vedere nella Libia un'importante testa di ponte nel Mediterraneo, utile per proiettare lontano la propria potenza navale e commerciale. La sua posizione geografica era considerata strategica per il controllo delle rotte marittime e per l'influenza nella regione.

Le altre potenze europee (Francia, Gran Bretagna) avevano già esteso i loro domini coloniali in Nord Africa (Algeria, Tunisia, Egitto). L'Italia sentiva la necessità di non rimanere esclusa dalla spartizione del continente africano e vedeva nella Libia l'ultima grande area ancora disponibile. Un forte movimento nazionalista spingeva per l'acquisizione di colonie, considerate un simbolo di prestigio e potenza della nazione prima e del regime in seguito.

La Libia, percepita come una terra "vicina" e con una storia di legami con la Roma antica, era un obiettivo popolare. In quegli anni non erano ancora state scoperte significative risorse energetiche nella regione, di conseguenza l'Italia nutriva aspettative circa lo sfruttamento agricolo del territorio e la possibilità di creare nuovi mercati per i prodotti italiani. Alcuni gruppi economici come il Banco di Roma avevano iniziato a stabilire interessi proprio in Libia.

L'Italia del XX secolo era un paese con limitate risorse energetiche. La dipendenza dal carbone importato era elevata e rappresentava un costo significativo per l'economia in via di industrializzazione. L'energia idroelettrica stava iniziando a svilupparsi, ma non era sufficiente a soddisfare la crescente domanda. In questo contesto, l'idea di poter accedere a nuove fonti di risorse naturali era vista con interesse.

Lo sfruttamento delle risorse altrui era ancora e solo potenziale, perché non essendo ancora stati scoperti giacimenti di petrolio o gas naturale, l'interesse non poteva che concentrarsi sull’agricoltura. A priori, questo ragionamento può sembrare incredibilmente limitante, eppure sviluppare l'agricoltura in alcune zone costiere della Libia e renderle produttive per l'esportazione era l’unico modo per creare gli insediamenti dei coloni italiani. Le risorse minerarie erano considerate di scarso rilievo. Il salgemma, per esempio, non rappresentava un fattore trainante per l'interesse italiano. Quindi possiamo dire che, inizialmente, la Libia altro non era che un'opportunità per rafforzare la posizione nel Mediterraneo, partecipare, cioè, alla corsa coloniale soddisfacendo le ambizioni nazionaliste.

L'impresa coloniale, iniziata con la guerra italo-turca e proseguita fino alla perdita della colonia durante la Seconda Guerra Mondiale, può essere considerata un'occasione d’oro sfumata per mancanza di una visione futura da parte dell'Italia. E questo per diverse ragioni. Nonostante le iniziali ambizioni e i costi sostenuti, la conquista e il mantenimento della Libia si rivelarono molto più difficili del previsto. I governi italiani non avevano saputo pesare la resistenza locale, soprattutto in Cirenaica, e le spese militari, amministrative e di infrastrutturazione che andarono a gravare sul bilancio italiano. Non ci si doveva aspettare che venissero generati ritorni economici nel breve termine, ma, con una maggiore avvedutezza, si sarebbe dovuto creare un legame solido tra i due paesi. Questo avrebbe permesso, grazie alle scoperte tecnologiche dei decenni successivi, di avvicinarsi all’indipendenza energetica con grande agilità.

Invece, contrariamente alle aspettative, la Libia non si rivelò un Eldorado di ricchezze facilmente sfruttabili fin all'inizio. L'agricoltura stentò a decollare a causa delle condizioni climatiche e, appunto, della resistenza locale. La scoperta di significative risorse petrolifere avvenne, come detto, solo successivamente, proprio quando il controllo italiano sulla colonia era ormai precario. Il mercato libico per i prodotti italiani rimase limitato. La guerra e la repressione della resistenza libica ebbero un impatto negativo sull'immagine internazionale dell'Italia.

Le atrocità commesse dalle truppe italiane minarono la credibilità del paese. Internamente, l'impresa coloniale divise l'opinione pubblica e non riuscì a generare un consenso duraturo. L'annessione della Libia fu spesso guidata da motivazioni di prestigio o da pressioni di gruppi di interesse piuttosto che da una solida pianificazione e da una comprensione approfondita della realtà locale. La gestione della colonia fu spesso improvvisata e caratterizzata da errori politici e amministrativi. L'impegno in Libia distrasse risorse e attenzioni da altre aree di potenziale interesse per l'Italia e la indebolì nel contesto delle dinamiche internazionali. Quelle stesse dinamiche che portarono alla Prima Guerra Mondiale. Anche dopo la scoperta di giacimenti petroliferi significativi negli anni '30, lo sfruttamento fu condotto principalmente da compagnie straniere, con benefici limitati per l'economia italiana nel suo complesso.

Come una gestione "migliore" della Libia avrebbe potuto portare vantaggi durante il Fascismo

Se l'Italia avesse investito in modo più oculato nello sviluppo agricolo e nella ricerca avrebbe potuto ridurre la propria dipendenza energetica dall'estero e rafforzare la propria economia. Un flusso costante di materie prime dalla Libia avrebbe potuto alimentare l'industria italiana, inclusa quella bellica. Una colonia libica prospera e pacificata avrebbe potuto essere un potente strumento di propaganda per il regime fascista, dimostrando la grandezza e la capacità dell'Italia di "civilizzare" e amministrare territori oltremare. Questo avrebbe potuto rafforzare il consenso interno e migliorare l'immagine internazionale del regime (almeno inizialmente). Una Libia ben controllata e organizzata con le infrastrutture avrebbe potuto rappresentare una base strategica più solida nel Mediterraneo, utile per eventuali operazioni militari.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, una Libia più stabile e con una popolazione meno ostile avrebbe potuto rendere più concrete le intenzioni belliche italiane. Uno sviluppo economico efficace della Libia avrebbe potuto creare un mercato più ampio e dinamico per i prodotti italiani, sostenendo l'industria nazionale. Sebbene in misura limitata, una Libia accogliente e con opportunità economiche avrebbe potuto assorbire una parte dell'emigrazione italiana, alleviando le tensioni sociali presenti in patria. La storia, invece, ha detto che il regime in Italia era tutt’altro che organizzato, affidabile e visionario. Le scelte fatte si sono rivelate assolutamente sbagliate, il problema energetico è rimasto un tallone d’Achille per la nostra penisola, influenzando la crisi del Mezzogiorno diventata endemica.

Perché anche in uno scenario migliore l'Italia avrebbe comunque affrontato difficoltà

Lo sviluppo economico e sociale di una colonia vasta e complessa come la Libia avrebbe richiesto tempo e ingenti investimenti. I benefici non sarebbero stati immediati. La resistenza della popolazione libica al dominio coloniale italiano è stato un fattore costante e significativo. Anche una gestione propositiva non avrebbe eliminato completamente il desiderio di indipendenza dei libici. Le ambizioni coloniali italiane si scontrarono, inoltre, con gli interessi di altre potenze europee nel Mediterraneo e in Africa. Una Libia prospera significava per l'Italia il dovere di affrontare dinamiche geopolitiche complesse e competizione internazionale sfrenata. Era necessario avere un governo davvero illuminato per portare a casa l’impresa.

L'Italia negli anni del fascismo presentava debolezze strutturali nella sua economia, proprio come la dipendenza da alcune materie prime che dovevano essere reperite altrove. E il processo di industrializzazione era tutt’altro che completo. I benefici di una Libia ben gestita avrebbero potuto alleviare alcune di queste difficoltà, ma non risolverle completamente. Alcune politiche del regime fascista, come l'enfasi sull'autarchia e la spesa militare eccessiva, avrebbero comunque rappresentato un peso per l'economia italiana, indipendentemente dalla situazione in Libia.

I rapporti tra Italia e Libia nel dopoguerra

I rapporti tra Italia e Libia nel corso del tempo sono stati profondamente segnati dalla parentesi coloniale italiana (1911-1943) e dalle sue conseguenze, evolvendo poi verso relazioni bilaterali complesse e spesso tese. Ma anche di cooperazione. Soprattutto in campo energetico. È importante precisare che il termine "conquistare" in riferimento alle fonti di energia è anacronistico per l'inizio del XX secolo, quando l'interesse primario non era ancora focalizzato sul petrolio. È solo negli anni '50 e '60, che la Libia divenne un importante produttore di oro nero. L'Italia, come altri paesi industrializzati, cercò di stabilire rapporti commerciali e accordi con il nuovo Stato libico per garantirsi l'approvvigionamento energetico.

L'Ente Nazionale Idrocarburi (ENI), fondato nel 1953, giocò un ruolo cruciale nella politica energetica italiana. ENI intraprese relazioni con la Libia, partecipando a joint venture e ottenendo concessioni per l'esplorazione e la produzione di petrolio e gas. L'Italia e la Libia stipularono nel tempo diversi accordi bilaterali in campo energetico, commerciale e politico. Questi accordi permettevano di accedere alle risorse libiche in cambio di investimenti, tecnologia e cooperazione in altri settori. I rapporti tra le due nazioni furono spesso influenzati dal peso del passato coloniale, dalle politiche del regime di Gheddafi e dalle dinamiche geopolitiche regionali. La dipendenza italiana dal petrolio libico mantenne un filo conduttore negli anni.

Diverse aziende italiane, in primis ENI, hanno effettuato significativi investimenti nel settore energetico libico, contribuendo allo sviluppo delle infrastrutture e alla produzione di idrocarburi. Ciò che l'Italia non aveva conquistato all'inizio del '900 divenne una seconda possibilità in anni successivi grazie soprattutto all’amicizia tra i due Stati e alla diplomazia.

Relazioni commerciali e accordi bilaterali con lo Stato libico

La storia degli inizi del Novecento e le dinamiche che la caratterizzarono (espansione coloniale, ricerca di risorse energetiche, nascita di grandi compagnie petrolifere) crearono il contesto in cui figure come Enrico Mattei poterono emergere e sviluppare nuove strategie nel panorama energetico italiano e internazionale del dopoguerra. Gli inizi del '900 furono caratterizzati dalla crescente industrializzazione e dalla consapevolezza della dipendenza dal carbone, spesso importato. Questa necessità di autonomia energetica divenne una costante nella politica italiana e fu una delle motivazioni che spinsero la ricerca di nuove fonti di energia e la creazione di un ente nazionale, guidato proprio da Mattei.

Il consolidamento delle grandi compagnie petrolifere internazionali, le cosiddette "Sette Sorelle", portò a un dominio del mercato globale degli idrocarburi per gran parte del secolo. La situazione di oligopolio rappresentò una sfida per i paesi come l'Italia, che non avevano proprie compagnie di tale portata. La strategia di Mattei fu quella di sfidare questo dominio, cercando accordi diretti con i paesi produttori e proponendo condizioni più vantaggiose, un approccio che affondava le sue radici nella necessità storica italiana di garantirsi l'accesso all'energia in un mercato controllato da altri. La crescente importanza del petrolio creò il contesto in cui una figura come quella di Mattei poteva mettere in campo le sue capacità di stratega dell'energia.

Sebbene Enrico Mattei e il caso del suo omicidio siano fenomeni del secondo dopoguerra, la storia comincia agli inizi del Novecento in cui si formava il terreno economico e politico per le vicende che seguirono. Non si tratta di un collegamento diretto, ma di un'evoluzione storica. Le dinamiche degli inizi del secolo scorso prepararono il terreno per le sfide e le strategie economiche ed energetiche da attuare del dopoguerra.

In questo contesto, l'obiettivo principale di Enrico Mattei, in qualità di presidente dell'ENI, era di sottrarre il dominio delle grandi compagnie petrolifere internazionali. E questa fu la causa della sua morte. Perché per raggiungere questo scopo, Mattei si dimostrò oltremodo audace e innovativo, articolando la sua politica su diversi fronti. Mattei puntò con decisione sulla ricerca e lo sfruttamento delle risorse energetiche presenti in Italia, in particolare il metano nella Pianura Padana. Credeva fermamente nel potenziale del sottosuolo italiano e investì massicciamente nelle esplorazioni.

Rivoluzionò il modo di fare affari nel settore petrolifero internazionale, proponendo accordi più equi e vantaggiosi per i paesi produttori di petrolio, soprattutto in Medio Oriente e Nord Africa. La "formula Mattei" prevedeva una divisione dei profitti più favorevole ai paesi ospitanti (spesso il 75% contro il tradizionale 50% o meno) e la loro partecipazione attiva nello sviluppo delle risorse. Questo gli permise di stringere accordi con paesi come l'Egitto, l'Iran e la Libia, scavalcando le "Sette Sorelle". Oltre agli accordi con i paesi produttori, Mattei cercò di diversificare le fonti di energia per l'Italia, aprendo anche al nucleare e stringendo accordi commerciali con l'Unione Sovietica per l'importazione di petrolio a condizioni vantaggiose, rompendo così il monopolio occidentale.

Mattei non si limitò all'estrazione, ma creò un'ENI verticalmente integrata, che comprendeva attività di esplorazione, produzione, trasporto (con la costruzione di metanodotti e oleodotti), raffinazione e distribuzione di prodotti petroliferi e gas. Questo permetteva all'Italia di controllare l'intera filiera energetica. Utilizzò l'ENI come strumento di politica estera, sostenendo i movimenti di liberazione nazionale nei paesi in via di sviluppo e promuovendo un modello di cooperazione economica paritaria, in contrasto con l'approccio neocoloniale delle grandi potenze. In Italia, Mattei si impegnò per rendere l'energia accessibile a un vasto pubblico, mantenendo i prezzi dei carburanti relativamente bassi e promuovendo l'uso del metano anche per scopi civili e industriali.

Cosa sarebbe successo se Mattei avesse pienamente realizzato i suoi obiettivi?

Se Enrico Mattei avesse pienamente realizzato la sua visione, l'Italia avrebbe potuto beneficiare di numerosi vantaggi. La sua morte avvenuta il 27 ottobre 1962 con la caduta sospetta del Morane-Saulnier MS.760 Paris nelle campagne di Bascapè, vicino a Pavia, ha sottratto all’Italia la possibilità di imporre un controllo diretto e sicuro sulle proprie fonti di approvvigionamento energetico, riducendo la sua vulnerabilità alle fluttuazioni del mercato internazionale e alle pressioni politiche esterne. Grazie agli accordi vantaggiosi e allo sviluppo delle risorse nazionali, l'Italia avrebbe potuto godere di costi energetici più stabili e potenzialmente più bassi, con un impatto positivo sulla competitività dell'industria e sul potere d'acquisto dei cittadini. La politica estera indipendente di Mattei avrebbe potuto conferire all'Italia un ruolo più influente sullo scenario internazionale, specialmente nel Mediterraneo e nei rapporti con il mondo in via di sviluppo.

Un approvvigionamento energetico sicuro ed economico avrebbe sostenuto la crescita industriale italiana, creando posti di lavoro e benessere. Il modello di cooperazione paritaria promosso da Mattei avrebbe potuto contribuire a un sistema internazionale più giusto ed equilibrato nei rapporti tra paesi produttori e consumatori di risorse. L'ENI avrebbe potuto consolidarsi come una delle maggiori compagnie energetiche a livello globale, con una forte impronta internazionale e un ruolo centrale nell'economia italiana. Ma è importante considerare che la piena realizzazione degli obiettivi di Mattei avrebbe probabilmente incontrato ancora maggiori resistenze e ostacoli da parte degli oligopolisti presenti nel mercato di quegli anni. Diverse potenze occidentali vedevano la sua politica come una minaccia al loro dominio.

Il "caso Mattei" e la sua tragica fine suggeriscono che le sue ambizioni avevano toccato interessi molto in alto. Se avesse avuto successo nel portare a termine il suo progetto, Mattei avrebbe cambiato le sorti dell'Italia e gli scenari sarebbero stati molto diversi da quelli che conosciamo. La sua visione di un'Italia energeticamente indipendente rimane uno dei sogni più grandi che il nostro paese abbia avuto nel dopoguerra ed è ancora oggi un punto di riferimento per chi ha a cuore il futuro della nostra nazione.