Quando un luogo antico entra nell’immaginario collettivo per la sua storia, per quello che avvenne al suo interno o per l’importanza che ha rivestito all’interno di una città, quasi inevitabilmente nel corso dei secoli fioriscono storie, leggende o falsi miti al suo riguardo. Per quanto riguarda il Colosseo, storture storiche e travisamenti di vario genere sono sorti e sono stati alimentati nell’ultimo secolo anche dal cinema, in particolare dalle grandi produzioni che si sono susseguite nel corso dei decenni.

Uno dei film più popolari sull’antica Roma è sicuramente Il gladiatore di Ridley Scott del 2000, che ebbe un successo internazionale grandissimo ed è tuttora uno dei più amati sul tema dei gladiatori e dei giochi al Colosseo. Un mito da sfatare alimentato da questo come da molti altri film che lo hanno preceduto riguarda il famoso gesto del pollice verso con cui si voleva esprimere la grazia negata al gladiatore sconfitto. Anche se la questione è ancora oggi dibattuta, i Romani molto probabilmente negavano la grazia ponendo il pollice in orizzontale, a riprodurre il colpo di grazia che veniva inferto con la spada all’altezza della nuca o alla gola del gladiatore che aveva perso il combattimento. Verosimilmente, il pubblico accompagnava questo gesto gridando «Iugula, iugula!» (“Sgozza, sgozza!”), manifestando in modo inequivocabile la loro volontà sul destino del gladiatore perdente. Nel caso in cui invece si voleva concedere la grazia, con ogni probabilità gli spettatori non facevano il gesto del pollice in su ma tendevano la mano oppure facevano un gesto che assomigliava a quello di rinfoderare la spada, una sorta di segno di pace e, quindi, di clemenza per lo sconfitto.

Ne Il gladiatore ci si riferisce all’Anfiteatro Flavio usando il nome oggi più comune, Colosseo, ma come sappiamo, questo nome cominciò a essere usato solo nel Medioevo, alcuni secoli dopo la caduta dell’impero romano d’Occidente. Si vedono poi alcune scene dell’interno del Colosseo dove è interessante notare come ci siano delle donne in mezzo agli uomini, cosa che non avremmo mai visto all’interno di questo anfiteatro dal momento che le donne dovevano obbligatoriamente sedersi all’ultimo livello, quello più in alto e più lontano dall’arena, insieme ai plebei e agli schiavi.

Sempre nello stesso film, le persone sono sedute una accanto all’altra ma si può immaginare con ragionevole certezza che gli spettatori quando assistevano agli eventi fossero letteralmente pigiati gli uni sugli altri. Lo spazio assegnato a ogni singola persona, a eccezione delle prime file dove i posti erano più ampi, non deve essere stato particolarmente largo, così come era minima anche la distanza fra una fila di posti e l’altra. È vero che gli antichi Romani erano in media più magri e più bassi di noi (l’altezza media di un uomo adulto si aggirava intorno a 165 centimetri) ma anche gli spazi erano ristretti e, se consideriamo che la capacità del Colosseo si aggirava tra i sessantamila e i settantamila spettatori, possiamo concludere che se ne stessero seduti spalla a spalla e le gambe di chi sedeva toccassero la schiena di chi era davanti. Non c’era dunque molta libertà di movimento, come invece sembra suggerire la disposizione degli spettatori nel film.

Un altro falso mito riguarda la famosa frase pronunciata (nei film) dai gladiatori prima dei combattimenti, «Ave Caesar morituri te salutant», ossia “Ave, Cesare, coloro che stanno per morire ti salutano”. Questa frase in realtà non venne mai usata se non in un’occasione specifica: durante una grandiosa naumachia svoltasi nel lago Fucino in Abruzzo nel 52 d.C., prima del suo prosciugamento realizzato sotto il regno di Claudio. Non abbiamo alcun tipo di prova documentaria o epigrafica che ci dica che questo saluto fosse pronunciato dai gladiatori prima dei combattimenti. L’unica attestazione in letteratura è in Svetonio, che appunto la riferisce alla naumachia avvenuta al lago Fucino. Un altro dettaglio curioso nel film Il gladiatore riguarda la frase in cui Massimo, il protagonista interpretato da Russell Crowe, racconta che la moglie e il figlio furono crocifissi mentre lui era lontano da casa. Poiché Massimo e la sua famiglia erano cittadini romani, è altamente improbabile che ciò possa essere accaduto. I cittadini romani, infatti, non venivano praticamente mai crocifissi, perché questo tipo di morte era considerato umiliante ed era riservato solo a chi non godeva della cittadinanza.

Una bella scena del film, poi, ci mostra Massimo mentre combatte contro due tigri, cosa che nell’antica Roma sarebbe stata impossibile a vedersi: affrontare le bestie feroci era infatti compito dei venatores, ovvero dei cacciatori, che proprio per questa loro specialità seguivano anche un diverso tipo di allenamento. Altro errore comune a tutti i film sull’antica Roma, incluso Spartacus di Stanley Kubrick, che rimane a tutt’oggi uno dei film più accurati sull’antichità romana (nonostante l’anacronistica cicatrice da vaccino esibita dal protagonista Kirk Douglas!), riguarda certamente i cavalli, che in tempi antichi erano per la maggior parte più piccoli rispetto a quelli odierni, forse poco più grandi dei nostri pony.

Inoltre, il modo di salire sul cavallo non prevedeva la staffa, che era sconosciuta ai Romani e venne introdotta in Europa alcuni secoli dopo la caduta dell’impero romano d’Occidente. Su questo particolare aspetto basta guardare la statua del Marco Aurelio in piazza del Campidoglio, dove si nota chiaramente l’assenza delle staffe. Data la non elevata altezza dell’animale e l’assenza della staffa, dunque, si tendeva a salire a cavallo prevalentemente saltandoci sopra da dietro. Questo gesto, ripetuto milioni di volte dagli antichi Romani e non solo, con il passare dei secoli fu all’origine della specialità odierna della ginnastica artistica che prevede l’uso di un attrezzo ginnico chiamato proprio cavallo a maniglie e che, guarda caso, ha la forma di un piccolo cavallo stilizzato (senza testa).

Un altro mito da sfatare, molto duro a morire, riguarda l’uccisione di cristiani all’interno del Colosseo: non abbiamo infatti prove documentarie, testuali o archeologiche che questo anfiteatro sia stato usato per mettere a morte i cristiani. Più precisamente, si può dire che quasi certamente alcuni cristiani saranno stati uccisi nel Colosseo durante la sua lunga storia, ma la religione non rappresentò l’elemento determinante della loro condanna. Moltissime delle informazioni che abbiamo sulle condanne a morte che si tenevano negli anfiteatri dell’impero vengono dai primi autori cristiani, che testimoniavano la fede dei correligionari assistendo alle loro condanne. Proprio per questo motivo ci sono arrivate più informazioni sulle condanne a morte che sugli spettacoli gladiatori ma poiché non abbiamo nessun testo affidabile e nessuna prova di alcun genere sull’uccisione di cristiani nel Colosseo, ne dobbiamo necessariamente concludere che esso non venne usato per questo particolare scopo.