Un racconto ci può trasportare in luoghi lontani, in nuove epoche e culture. Le storie sono magie, viaggi immaginari e interminabili.

Per alcuni il viaggio sembra interrompersi, ma forse, continua in un altro luogo. No, non ci abitueremo mai alla vita, né alla morte. Non accetteremo mai, che una persona ad un tratto non ci sia più. Allo stesso modo, ci sembra incredibile come all’improvviso una nuova vita venga alla luce, cresca e diventi parte del mondo.

C’era una volta un Re seduto sul sofà che disse alla sua serva raccontami una storia e la serva incominciò: C’era una volta un Re seduto sul sofà che disse alla sua serva…

Un bambino di dodici anni si cala da un albero, e approfittando della distrazione del venditore di zucchero filato, sfila un bastoncino dal bancone. Kin ha undici anni, è orfano, arrivato in Italia su un barcone dalla Libia tre anni fa…

L’inizio di una storia è sempre affascinante, suscita curiosità e stupore, racconto nel racconto, viaggio nel viaggio.

I bambini sono i più grandi narratori; parlano con le bambole e con i soldatini, raccontano storie, le inventano, cambiano il finale. Ogni volta, gli stessi oggetti hanno anime diverse, diventano maschere, personaggi, attori capaci di stravolgere la realtà. Si gioca con l’anima e la fantasia, con la libertà delle parole e dei pensieri, e ogni gioco ha una luce illuminante.

Trovarsi in un museo, in un sito archeologico, in una metropoli, in un luogo qualunque, nella vita di un altro racconta sempre qualcosa di noi. Ci siamo dentro. Lo stiamo vivendo. Lo stiamo scrivendo.

Ho sempre amato ascoltare storie, e i racconti di mia zia mi trasportavano in luoghi e tempi passati. In questo modo potevo immaginare mia madre bambina, conoscere i miei nonni, percorrere quelle storie, camminarci dentro. Erano mie. Se leggere vuol dire vivere mille vite, raccontare vale molto di più, significa tramandare, accompagnare qualcuno in un viaggio nel tempo, dargli la possibilità di colmare le distanze, di placare il cuore, di aprirsi ad un infinito imperfetto da costruire.

Se chiudo gli occhi, posso immaginare mia nonna, e posso pensare alla vita di qualsiasi altro sconosciuto. Mettermi nei suoi panni, ascoltare i suoi pensieri. Distanza e tempo si presentano sempre con delle forme imprecise. Bisogna lavorarci come si fa con la creta.

Le storie sono terapeutiche. Guariscono chi le ascolta, rafforzano chi le racconta.

Alcuni romanzi appartengono a tutti, e non parlo solo dei classici. Basti pensare alla Divina Commedia, all’Odissea, a I Promessi Sposi e a tanti altri. Chi non ha mai immaginato il Paradiso e l’inferno? Dante ci ha dato la possibilità di visitarli, ci ha accompagnato dentro le viscere della terra, nel dolore, nella compassione e nel perdono di Dio. L’Odissea racconta il lungo viaggio di Ulisse, della sua voglia di conoscere e di vivere, di tornare alla sua Itaca. Durante il suo percorso fa delle scelte, incontra tempeste, ne esce rafforzato, sogna la sua terra, ma forse, resterà per sempre marinaio, comandante della nave che solca i mari, in un viaggio interminabile verso un sogno. Chi non ha mai fatto un viaggio, chi non ha mai conosciuto le distanze che ci separano da tutto quello che abbiamo nel cuore? Arriveremo mai ad Itaca?

Infine, chi non è mai stato vittima di prepotenze e angherie come Renzo e Lucia?

Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l’aspetto de’ suoi più familiari; torrenti, de’ quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche.

Con l’addio ai suoi monti, Lucia si riferisce a chi, ingiustamente e contro la sua volontà si allontana dalla sua terra. I suoi pensieri sono tristi, sta per lasciare tutto ciò che ha sempre conosciuto e amato.

Ma chi non aveva mai spinto al di là di quelli neppure un desiderio fuggitivo, chi aveva composti in essi tutti i disegni dell’avvenire, e n’è sbalzato lontano, da una forza perversa! Chi, staccato a un tempo dalle più care abitudini, e disturbato nelle più care speranze, lascia que’ monti, per avviarsi in traccia di sconosciuti che non ha mai desiderato di conoscere, e non può con l’immaginazione arrivare a un momento stabilito per il ritorno!

Addio, chiesa, dove l’animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore; dov’era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l’amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio! Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande.

Più certa e grande.

…agli emigranti, ai viaggiatori e a tutte le Lucia.