Si è spesso portati a scrivere su tensioni e conflitti latenti o già in atto tra popoli mediterranei, ma raramente si scrive su notizie positive che potrebbero accomunarci, notizie di ciò che tende più a unire che a dividere le popolazioni mediterranee. Notizie di tradizioni antiche che rappresentano ancora oggi insegnamenti morali e che mantengono la loro piena validità nel corso dei secoli.

Il Continente Mediterraneo

Ricordo con piacere la definizione di “Continente Mediterraneo”, che anni fa ho sentito per la prima volta durante una conferenza internazionale, per indicare un grande mare circondato da tanti Paesi che hanno certamente un legame in comune. Un’analogia che potrebbe sembrare strana, ma che in realtà assegna al Mediterraneo e ai bordi costieri abitati che lo circondano il ruolo di un grande “continente”, inteso come un vasto mare circondato da terre che racchiude presenze umane e culture con antiche tradizioni comuni e solo apparentemente tanto diverse. Un mare in cui coesistono le civiltà di tre continenti che, nel corso dei secoli, si sono sovrapposte le lune alle altre creando differenti strutture economiche, sociali, politiche e religiose.

Un’area, dunque, che sembrerebbe destinata a restare relegata come un’entità virtuale che non potrebbe mai rappresentare una vera grande regione, come si tenta di farla diventare con importanti programmi europei. Un’area in cui, alcune popolazioni, non avendo sufficienti informazioni sui Paesi vicini, sembrano nettamente separate tra di loro da grandi barriere culturali, linguistiche e soprattutto religiose, dimenticando spesso che di fatto sono accomunate da antiche tradizioni comuni che si tramandano di padre in figlio. In realtà, se vengono analizzati attentamente alcuni usi, tradizioni e costumi comuni tra le popolazioni dei Paesi direttamente bagnanti dal Mediterraneo, le cose potrebbero essere ben diverse.

Sulla scorta di esperienze personali vissute, di seguito citerò solo uno dei diversi episodi che potrei narrare sulle comuni tradizioni mediterranee. Attraverso tale episodio emergono in maniera inconfutabile comuni tradizioni che vanno ben oltre le apparenti barriere insormontabili che dividono i diversi popoli mediterranei, accomunati da una cultura risultante dalla sovrapposizione di quella fenicia, etrusca, greca, romana, araba, ebraica e normanna che hanno generato quella che possiamo definire la “cultura mediterranea”.

Su antiche tradizioni comuni

Tra le antiche tradizioni comuni si possono ricordare, ad esempio, le modalità di celebrazione di un matrimonio, alcuni modi di vestire e di portare il velo per le donne, la cucina, i canti e molti riti religiosi. Ricordo anche il piacevole modo di negoziare nei mercati arabi o l’usanza di mangiare alcuni cibi prendendoli direttamente con le mani o le tante celebrazioni popolari o profane, ecc.

Tradizioni dovute in parte agli uomini di mare che, nei loro viaggi, si intercambiavano, si trasmettevano di padre in figlio tali tradizioni. Una parte deriva dagli insediamenti che venivano realizzati, ad esempio, dai Greci in Sicilia o dai Romani nei vari paesi del Mediterraneo, dove ancora oggi sono visitabili importanti centri e monumenti storici. Basta ricordare le importanti rovine di opere romane che ritroviamo nei paesi del Maghreb Arabo: intere parti di città, resti di strade di piccola e grande comunicazione e acquedotti di diversi chilometri di lunghezza. Opere che testimoniano la permanenza per decenni, in quei paesi, di popoli stranieri, persone che si univano poi in matrimonio e formavano lì le loro famiglie, non dimenticando mai usi e costumi del paese di provenienza e portando nei paesi d’origine anche usi e costumi dei paesi dove si erano insediati.

Perché non ipotizzare dunque il Mediterraneo come un potenziale spazio per la convivenza umana dei popoli che lo circondano? Purtroppo, questo grande bacino è un’area caratterizzata da politiche spesso contrastanti tra loro, vi sono alcuni Paesi in cui gli aspetti religiosi hanno preso il sopravvento sulle vite stesse delle popolazioni, condizionandole fortemente, soprattutto dove prevalentemente è il fondamentalismo religioso. Perché non fare dunque qualche riflessione su qualche tradizione che unisce i nostri popoli, invece di tendere a separarli? Magari con riferimento a storielle amene e divertenti che nei secoli scorsi hanno rallegrato bambini e adulti, talvolta partecipando anche a distrarre le popolazioni afflitte da forti tensioni sociali e da vere tirannie.

In genere le novelle trasmettevano un insegnamento morale che restava invariato nel tempo. Infatti, se una favola fornisce un insegnamento morale è probabile che essa duri nel tempo e se condivisa da più popolazioni è probabile che essa possa diventare un loro elemento di aggregazione. A tale scopo desidero ricordare, attraverso un’esperienza personale vissuta negli anni scorsi, quella che a mio avviso potrebbe rappresentare la migliore delle intramontabili tradizioni comuni che è riuscita a sopravvivere nei secoli, superando anche i limiti geografici dei popoli mediterranei: i racconti di Giufà.

Giufà

Nel giugno del 2003 ricevetti una telefonata con la quale il presidente di un’associazione culturale mi invitava a Palazzolo Acreide, in Sicilia, per partecipare a una conferenza internazionale dal titolo “Giufà, eroe di più culture” che si doveva tenere il 6-7 luglio 2003. Non riuscivo a capire il nesso che poteva esserci tra “Giufà” e il convegno che mi venne presentato come “internazionale” e di grande importanza. Seppi che il mio nome era stato suggerito da Aharon Cohen 1 e dalla moglie Matilda Sarano2 di Gerusalemme, miei carissimi amici.

Partecipare alla conferenza su Giufà, dopo una mia vastissima ricerca sull’argomento, mi ha aperto gli occhi a orizzonti nuovi sui forti legami culturali che univano i popoli mediterranei, attraverso i racconti di Giufà; legami fino a tale data a me totalmente sconosciuti. Mi sono tornati alla mente le ore trascorse nei primi anni ’50 ad ascoltare i famosi racconti di Giufà, che a tale epoca erano ben diffusi in Sicilia, ma non avrei mai immaginato di trovare alla conferenza relatori provenienti da Israele, Germania, Francia e diverse città italiane per parlare di Giufà. Non avrei mai potuto immaginare una così grande diffusione di quelle novelle in tutto il mondo e soprattutto nel Mediterraneo.

In quella occasione ho potuto scoprire anche il vero volto di Giufà, di questo personaggio proveniente dal folclore arabo, era quasi quello di un Giano bifronte: a volte ricco e altre volte povero, ora furbo e ora sciocco, passando dall’onesto al disonesto, saggio e poi malizioso, nelle diverse vesti di giudice, medico, ladro, facchino. Un personaggio curioso che da bambino credevo di origine siciliana, per scoprire poi che è di origine araba, ma perfettamente integrato nelle diverse culture internazionali e mediterranee in particolare. Ho così cominciato a scoprire anche il profondo significato di alcuni divertenti racconti della mia infanzia.

È quel Giufà che gli arabi chiamano Guhâ o Jafar o Jeufa o Djehà, o, che gli ebrei chiamano Jochà in ebraico o Giochà in giudaico-spagnolo; è Jehà o Hoca per i turchi e Giohan per i maltesi, Dxuhai per gli albanesi e Goha per gli egiziani. In Italia ricordiamo Giuvà a Piana degli Albanesi in Sicilia, Jugali o Juvadi (abbrev. Juvà) o Jucà in Calabria, Giuccà a Roma, nelle Marche e in Toscana, Gioffah in Sardegna, ma trattasi sempre dello stesso personaggio. Scopriamo anche che lo stesso personaggio è poi interpretato in Spagna da Juan el tonto, in Francia da Juan l’imbécil, in Germania da Der dumme Hans, in Norvegia da Matthis lo scemo. Per non dimenticare che anche in Italia abbiamo ulteriori riferimenti similari come Vardiello a Napoli, Simonett in Piemonte, El Mato a Venezia, Meneghino in Lombardia, Bertoldino a Bologna e in tutto il nord-Italia. Insomma, per me è stata l’occasione per scoprire un mondo nuovo che non avrei mai immaginato così vasto, ed è stata l’occasione per potere dare anche un significato più preciso alle storielle che ho avuto modo di leggere, constatando poi che alcune le conoscevo già, perché erano identiche a quelle che ascoltavo da bambino.

È stato un fatto veramente interessante l’avere poi scoperto che alcune delle favole della mia infanzia sono poi le stesse diffuse da secoli in tutto il Mediterraneo, rappresentando così Giufà un legame tra differenti culture e antichi usi e tradizioni.

Le storie sembrano risalire ai racconti di Mullah Nasreddin Hodja, un saggio realmente vissuto in Turchia nel XIII secolo dove fu Imam del suo villaggio per molti anni e successivamente professore alla scuola teologica della città, dove assunse anche il ruolo di giudice. La cosa che forse di più affascina di Giufà e delle sue storie è che ancora oggi dopo secoli si raccontano nelle città del Mediterraneo e del Medio Oriente rappresentando un vero collante per le diverse culture e religioni.

Matilda Sarano, nella sua relazione, illustrava come questo personaggio è rimasto vivo nel tempo, con pieno dinamismo, pur dovendosi adattare a usi e costumi dei tempi moderni e così diceva:

quello che stupisce è come questa figura dalle molte faccette, nata nel mondo arabo, riesca ad integrarsi perfettamente e a continuare a esistere, a fiorire e prosperare dentro le tre grandi culture contemporanee, senza che nessuno trovi in questo qualcosa da ridire. Infatti, non disturba a nessuno se Giochà può essere identificato come cristiano, ebreo e musulmano. Può, infatti, vivere tranquillamente in Turchia, in Egitto, in Israele, in Sicilia ed in Cina. Ed è talmente integrato nelle diverse culture che ogni popolo sente suo questo curioso personaggio.

Matilda Sarano, ebrea sefardita, ha effettuato una grande ricerca raccogliendo i racconti orali tramandati da personalità di diversi paesi, citandone sempre la fonte, e collezionandoli in modo impeccabile inserendo negli antichi racconti anche alcune novelle moderne, sempre riferite allo stesso personaggio, scritte per criticare gli aspetti negativi della moderna società, osservandone i difetti che venivano spesso esaltati. Ha pubblicato libri tradotti in diverse lingue e diffuse in tutto il mondo.

La morale dei racconti

Interessanti riflessioni sulle storie di Giufà sono presenti, oltre che nei libri di Matilda Sarano, nell’articolo di Francesca Maria Corrao3 su “Dialoghi Mediterranei” e alcune delle quali sono di seguito riportate per evidenziare gli insegnamenti che quelle semplici storie sono in grado di fornire.

Cito, ad esempio, l’aneddoto in cui Giufà quando prima di entrare al mercato scavò una fossa nel deserto per nascondere il proprio denaro, prendendo una nuvola come riferimento per poterla poi individuare, ma di fatto non riuscendo poi a poterla ritrovare. L’insegnamento è che

lo stolto sarebbe chi, cercando di approfondire la fede, ancora non riesce a rinunciare all’attaccamento ai beni terreni e talvolta si comporta in maniera contraddittoria, ossia affida i suoi beni a persone o cose inattendibili, perché illusorie o transitorie. L’essere umano che persegue un percorso di approfondimento della fede si affida ad un maestro e al massimo bene, non a beni impermanenti come la nuvola o ad un amico avido.

Oppure la famosa storia di Giufà quando la madre, dovendo andare fuori casa, gli disse: «Quando esci tirati dietro la porta» ed egli, stolto, ma ubbidiente, pensò bene di scardinare la porta e portarsela appresso per andare a raggiungere la madre. L’insegnamento è che

la rigida ricezione dell’ordine produce una distorsione del significato originale al punto da procurare un danno. Questo aneddoto è rivolto ai piccoli che male interpretano gli ordini degli adulti, ma si adatta anche ad ammonire chi legge in modo rigido la religione, come capita a certi fondamentalisti che snaturano il senso profondo e complessivo dell’insegnamento divino.

E così per le altre storie buffe e divertenti che nascondono sempre profondi insegnamenti di vita e rappresentavano anche, in alcuni periodi storici di crisi politica e sociale, un modo per allentare la tensione contro l’oppressore, talvolta in maniera satirica. E di volta in volta in paesi diversi non era raro che alle storie venissero dati significati differenti e più adatti a quel momento storico del paese. Forse questo è stato uno dei motivi perché le caratteristiche di quei racconti restassero poi di valore universale.

Matilda Sarano ha continuato ben oltre la trascrizione dei racconti orali, inserendo nuovi racconti, in lingua giudeo-spagnolo, adeguati ai nostri tempi, ma sempre con lo stesso stile, che nella citata conferenza ha così giustificato:

attraverso il racconto di Giochà nel mondo moderno noi vediamo infatti i difetti di quest’ultimo in uno specchio ingrandente e deformante, e ci rendiamo conto della schiavitù dell’uomo moderno, che è forzato a spostarsi da un paese all’altro e non può più vivere senza le macchine.

Considerazioni finali

È anche grazie a queste fiabe di Giufà, trasmesse a voce, e alla capacità dei narratori che oggi riusciamo a riportare alla nostra memoria un antico modo di vivere dei nostri avi e tradizioni che anticamente li accomunavano.

La ricerca di queste radici comuni è anche un modo per approfondire la nostra reciproca conoscenza attraverso legami invisibili che ci uniscono, legami che possono aiutarci per una migliore reciproca comprensione. La presa di coscienza delle tradizioni comuni deve essere utilizzata come una forza portatrice di armonia. E in ciò può essere incisiva l’attività delle associazioni umanitarie e filantropiche e in genere di quelle che facendo sedere attorno allo stesso tavolo appartenenti a Paesi diversi e con differenti credi religiosi potrebbero fare rivivere lati positivi del nostro passato e tendere a unirci. Nel caso di Giufà è importante l’esempio di come lo sciocco del villaggio può essere preso ad esempio negativo o positivo, un modo come fare emergere che l’apparenza può ingannare.

Il Mediterraneo esiste ancora come legame tra le diverse civiltà che, attorno alle sue sponde, si sono incrociate. Da quella greca alla romana, da quella ebraica a quella araba, ma nessuna di queste civiltà è mai riuscita ad avere l’assoluto predominio su questo grande mare, né a lasciare una precisa caratterizzazione. E questo lo possiamo valutare come un aspetto positivo che lascia la piena autonomia dei popoli pur con delle differenze che sono emerse tra la sponda nord e quella sud.

Ed è in questo contesto che le novelle su Giufà hanno avuto ed hanno ancora un ruolo importante. Il personaggio che in alcune occasioni, con pieno spirito di conservazione, avrebbe preferito scappare, guidato da una furbesca lucidità trovava poi il modo di non essere messo all’angolo. Anzi, a seguito delle sue birichinate o dei malintesi che creava gli finiva quasi sempre bene. Studiosi di Giufà hanno riscontrato che alcune novelle del cosiddetto “Sciocco” avevano origine indiana e egiziana, nate dunque ancora prima della data di nascita ufficiale di Giufà.

Purtroppo i nonni di oggi spesso non raccontano più queste storie ai nipoti. Ma siamo certi che i bambini non le ascolterebbero volentieri anche oggi, magari non comprendendo subito la morale delle stesse? È un’antica cultura che se non alimentata potrebbe morire. È un patrimonio che può essere disperso nel mondo saturo di alte tecnologie. Forse una causa dell’abbandono è dovuta al fatto che queste storielle venivano raccontate preferibilmente ai bambini, mentre sarebbe stato opportuno farle rivivere successivamente ai ragazzi e anche alle persone adulte, a chi cioè era nelle condizioni di recepire il vero messaggio che esse trasmettevano, poichè l’immortalità delle novelle sta proprio nel significato profondo del loro messaggio e nella loro morale.

Le storie di Giufà, al di là del sorriso che suscitano, lasciano sempre chi le ascolta nel dubbio se trattasi di un personaggio sciocco, furbo, ironico o saggio. Infatti, è un personaggio che riesce a prendersi gioco del più forte, con la capacità di svelare, attraverso le sue storie, la cattiva coscienza, l'ipocrisia, l'arroganza e talvolta anche la stupidità del potere. E la cosa veramente affascinante è che essendo Giufà l’idiota senza alcun freno inibitore è libero di muovere pesanti critiche anche al potere politico, economico e religioso, giustificandosi sempre che tali affermazioni sono dovute alla sua idiozia. Sono insegnamenti fuori dal tempo, che non sono tramontati nei millenni e che difficilmente potranno mai tramontare e che ci fanno meglio comprendere alcune assurdità della nostra società moderna.

Approfondendo la conoscenza delle nostre antiche radici, ci ritroviamo non solo figli dello stesso Dio, ma anche con insegnamenti accomunati da esperienze, tramandate dai nostri avi che non tramontano con le generazioni, né con il trascorrere dei millenni. Insegnamenti sicuramente condivisibili che potrebbero farci trovare dei punti di unione nell’apparente nostra diversità.

Note

1 Aharon Cohen, nato a Tel Aviv, di famiglia yemenita morì a Gerusalemme il 7 gennaio 2011 all’età di 76 anni. Fu sin da giovanissimo fortemente impegnato nei movimenti ebraici e in alcuno di essi ne fu il capo. Nel 1976 si è recato in Etiopia per preparare l'esodo in Israele dei Falascia con una delle operazioni denominata “tappeti volanti”, di cui fu uno dei massimi organizzatori.
2 Matilda Sarano, nata a Milano nel 1939, da genitori turchi sefarditi. Durante la Seconda Guerra Mondiale la sua famiglia si nascose tra le montagne italiane per sfuggire alle persecuzioni naziste. Suo padre è stato il segretario della Comunità ebraica di Milano dal 1945 fino al 1969. Oggi vive in una comunità israeliana dove continua a scrivere su aspetti politici e sociali.
3 Francesca Maria Corrao, docente ordinario di Lingua e Letteratura Araba, Luiss Guido Carli Roma, ha studiato in Italia e al Cairo la cultura del mondo arabo e islamico; tra le personalità invitate al convegno su Giufà di Palazzolo Acreide.

Bibliografia

Matilde Cohen Sarano, Storie di Giochà, Sansoni Editore, Firenze, 1990.
Francesca Maria Corrao, Le storie di Giufà, Sellerio Editore Palermo, 2001.
Giuseppe Pitrè, Serafino A. Guastella, L. von Gonzenbach, I racconti di Giufà e altre storie, Greco Edizioni, Milano, 1994.