Primo articolo dell’anno, nuova rubrica, nuove idee ed obbiettivi.

Ho sentito la necessità di raccontare il significato di ciò che il corpo rappresenta manifestandosi con la malattia. E parto dal silenzio che non c’è: mi è stato dato questo spunto dalla persona a me più vicina, perché parlo spesso del silenzio che fa rumore e sotto a quel silenzio ci sono dei significati profondi.

Quante volte riusciamo a rimanere in silenzio? Uno o due secondi e poi? Veniamo distratti da rumori, da pensieri, da qualcosa o qualcuno in movimento. Tutto nella norma fintanto che riusciamo a mantenere un equilibrio tra rimanere vigili e ascoltarci, perché ascoltarci è la chiave che apre le porte.

Siamo maggiormente consapevoli di ciò che accade fuori di noi, fuori dal nostro sé in gergo psicologico, ma poco attenti a ciò che si muove dentro di noi: dico sempre che ci ricordiamo di avere un corpo quando ci fa male.

Indissolubili fissiamo la nostra attenzione al di fuori, come quando si dà la colpa di ciò che ci succede o non funziona all’altro o si chiede una conferma ad un’altra persona come spesso capita:” ehi Doc cosa dici se…?”… "Tu cosa senti” rispondo io. Attenzione, “senti”, non “pensi”, è diverso. Diverso perché “pensare” è della mente razionale che ci può ingannare, “sentire” è del nostro “Io interiore”, colui che apre le porte.

Si “pensa” di andare a fare la spesa, di lavorare, di studiare etc etc...Si “sente” se quella persona ci piace, se quel cibo che si è mangiato ci ha fatto bene/male, se abbiamo bisogno di qualcosa. Quando mi stacco dal mondo per pura necessità di ripulirmi e sento che ho bisogno di ricaricarmi, vado in ritiro spirituale tra i boschi e in alta montagna: ricordo anni fa che pronunciai per la prima volta “questo silenzio fa un rumore assordante”.

Ero a 1900 mt, eravamo in due tra le nevi e un sole pazzesco. Rimasi ad ascoltare l’apparente “nulla”: non c’erano telefoni, traffico, aerei, grida di persone, solo il respiro e il vento: profumava di novità, qualche aquila passeggiava tra i cieli e stop. Il mio respiro faceva rumore. Mi ero fermata di colpo, stanca per lo sforzo fisico, bloccai la mia passeggiata tra le nevi. I muscoli pulsavano, il respiro e il cuore si stavano calmando. Le orecchie iniziarono a “sentire” non ascoltare, il fiuto si apriva, le mani bollenti, sentivo muoversi l’energia attorno a me. Mi sentivo quasi come un lupo.

Mi sentivo quasi stordita da tanta pace e lì iniziarono ad arrivare alcune risposte e capii determinate cose, successivamente riuscii a risolvere e come sistemare un disturbo fisico che non mi mollava un attimo da anni. Il punto è che non per forza si deve arrivare a 1900 mt per trovare uno spazio personale che permetta di entrare in contatto con sé stessi e comprendere come rifocillarci, riequilibrare o sistemare determinate cose. La cosa importante è trovarlo e non fuggire.

Sempre più spesso si parla di Psicosomatica e questa è un po' l’idea del 2023 di questa rubrica: vorrei riuscire nell’intento di portare il lettore attraverso un viaggio affinché possa riconoscersi tramite l’ascolto attivo rispecchiandosi in alcune scene che racconterò.

Non serve a nulla leggere qua e là il significato di questo e quel disturbo se poi non si ha il coraggio, la spinta, la motivazione di trovare il proprio modo per sistemarlo: questo mio scrivere non avrebbe senso, sarei una semplice scrittrice e non una terapeuta.

Il corpo e la mente sono in perfetta connessione sia biologica sia energetica: fisicamente sono stati scoperti svariati collegamenti presenti nel nostro corpo che inviano e ricevono input da diverse aree non necessariamente vicine tra loro. Energeticamente abbiamo già abbondantemente l’esempio di altre discipline, quelle orientali che intrecciano questi collegamenti da secoli.

Non hai più scuse caro lettore: ora non si può più esimersi e nascondersi dietro ad un dito e far finta che il corpo non parli. Non ho moltissima esperienza ma i miei 15 anni di lavoro sul campo mi danno un po' di testimonianze e materiale: un disturbo fisico è collegato ad una risposta emozionale e viceversa infatti solitamente in presenza di una problematica, ovviamente gestibile con la medicina naturale per il mio lavoro in studio, segue poi la strada per comprendere il significato o lo stato emotivo che rappresenta quel disturbo. Vedo spesso più persone essere consapevoli di questa esistenza di “doppia via” e ne sono molto felice ma ancor più felice sono se vogliono affrontarsi.

Si perché si tratta di Sé, non di altri, del mondo, di sé stessi. Non tutti però si prendono la responsabilità di farlo, perché fa male, tanto, si attraversa il proprio inferno. Alla fine del viaggio poi ci si guarda indietro e le spalle sono più leggere, sia ha la sensazione di aver digerito bene, di aver poi lasciato andare e dentro rimane quella consapevolezza di essere forti abbastanza per attraversarsi.

È una sensibilità, ma con tanta più forza interiore, direi quasi a tratti una sensazione di gioia e risolutezza. Per qualcuno un atto liberatorio, per altri una rimpolpata di sana autostima, altri sogghignano quando un amico magari, racconta una storia simile appena iniziata.

Si diventa poi più sicuri di sé, si riesce ad aiutare persone che stanno vivendo la stessa situazione con quella calma raggiunta di chi ha già visto certe scene e sa come procedere. Per altri sono scalini, massi da spostare, montagne invalicabili, porte da lasciar chiuse, ognuno di noi si affronta quando si hanno le risorse per poterlo fare e si vuole andare oltre. Per altri va bene rimanere dove si è e vedono sempre il ri-presentarsi delle stesse problematiche o scene simili come un cane che si morde la coda.

Perché è così: il corpo e la mente ripresentano la stessa scena se non si è dapprima capita la lezione che ci sta dietro a quel disturbo senza poi averla trasformata e ri-programmata.

Fa rumore entrare nel proprio silenzio.