La verità e la misericordia non fanno sensazione perché si trovano spesso (nell’arte, s’intende). L’allegoria della Siberia non la si nega se il destinatario del monumento fu un filantropo russo. È la Musa dei festini che fa riflettere. Detta anche dei conviti è forse un simbolo del carattere gioviale di Nicola Demidoff, nato Nikolaj Nikitič Demidov a San Pietroburgo nel 1773, e di una Firenze che, secondo alcuni, non era mai stata gioiosa come in quel periodo: nell’Ottocento. Altro che nell’abbagliante Rinascimento che, ci spiegò il filosofo Eugenio Garin, fu un’epoca di splendore, non felice.

Lorenzo Bartolini (1777-1850), protagonista della cultura toscana della Restaurazione, scultore delle statue dedicate a Demidoff, collocate al principio nella villa di San Donato in Polverosa, ora nell’omonima piazza, è il genius loci che si incontra nella Gipsoteca della Galleria dell’Accademia di Firenze. Il David di Michelangelo a pochi metri, troneggiante eppur conscio, ma sì attribuiamogli il discernimento di un vivente, di essere arcinoto, ma non l’unico capolavoro da estasi.

Appena rinnovata, dipinta di un celeste tipo Wedgwood ma ancora più etereo sul quale risalta il candore dei gessi, la Gipsoteca ricrea l’atmosfera fascinosa dell’atelier di Bartolini, autore della maggior parte degli oltre quattrocento gessi esposti, fra busti, bassorilievi, sculture monumentali, modelli originali. La collezione, acquisita dallo Stato italiano dopo la morte dell’artista, fu trasferita in questo salone immenso, già sede della corsia delle donne dell’antico ospedale di San Matteo, dopo l’alluvione del 1966. Sui muri sono appese tele di maestri ottocenteschi che studiarono o insegnarono all’Accademia di Belle Arti.

Gli interventi di restauro sono stati statico-strutturali, di climatizzazione e di illuminazione. Per motivi statici e di stabilità climatica sono state chiuse varie finestre, consentendo di recuperare uno vasto spazio espositivo, arricchendo la Gipsoteca anche di quei modelli in gesso che erano conservati negli uffici della Galleria. Le mensole, rinnovate e ampliate, accolgono i busti-ritratto che, per la prima volta, hanno potuto essere messi in sicurezza grazie a un sistema d’ancoraggio non invasivo.

Cecilie Hollberg, direttrice del museo, nel giorno dell’inaugurazione è colma di riconoscenza per le tante persone, addirittura affettuosa quando cita il suo “piccolissimo staff”, perché le pare di aver assistito a un miracolo: “Grazie a tutti coloro che hanno creduto in questa impresa titanica e sono stati disposti a seguire, assistere, consigliare, aiutare. La Gipsoteca è l’ultimo preziosissimo tassello del processo di rinnovamento della Galleria dell’Accademia di Firenze, compito che mi è stato affidato dalla riforma Franceschini, ovvero traghettare dall’800 nel XXI secolo un’inedita e moderna galleria. L’allestimento è stato riordinato e ammodernato nel pieno rispetto di quello storico, e ringrazio l’amico Carlo Sisi per i preziosi consigli. I gessi, restaurati e ripuliti, sono esaltati dal leggero azzurro polvere delle pareti, tanto da sembrare vivi, con le loro vite, i loro racconti. Il risultato è magnifico!”.

L’amico Carlo Sisi è anche vicino di ‘casa’ poiché è presidente della confinante Accademia di Belle Arti di Firenze, un altro dei lati del quadrilatero perfetto, creato dal duca Pietro Leopoldo, insieme con il Conservatorio di musica e l’Opificio delle pietre dure.

“La restituzione è esemplare - spiega Sisi - e nel rispettare il precedente allestimento della Gipsoteca ideato da Sandra Pinto negli anni Settanta del Novecento si configura come un vero e proprio atto critico, un'operazione museale che conserva un episodio cruciale della museografia nazionale rinnovandone con intelligenza metodologica la struttura compositiva e la grazia dei dettagli. Il nuovo colore scelto per le pareti consente infatti di recuperare la corretta lettura delle opere, esposte ora nella loro completezza, e la rimozione degli obsoleti condizionatori permette di ammirare la sequenza delle opere senza disturbanti interruzioni, ma con la continuità 'poetica' che può finalmente attrarre il visitatore in quella che nell'Ottocento si chiamava l'avventura nell'atelier".

L’avventura dell’atelier ovvero il passare dal bello ideale al bello relativo. Lorenzo Bartolini che, fresco professore dell’Accademia di Belle Arti, fu biasimato per aver chiesto ai discepoli di ritrarre un gobbo, si difese sul Giornale di Commercio del 12 gennaio 1842, spiegando le finalità didattiche della scelta: "Non ho inteso di prendere un gobbo per modello di proporzioni, ma ho voluto assuefare lo scolaro a rendersi padrone di quello che vede senza sistemi e senza il pregiudizio dell'Idealismo. La natura è tutta bella... E chi saprà copiarla saprà tutto quello che deve sapere un artista".

Bartolini, nato a Savignano di Prato, vissuto a Parigi, Carrara e a Firenze, fu uno spirito libero a lungo amico di Ingres che lo ritrasse almeno tre volte. Una caricatura rappresenta i due artisti inginocchiati, in atto di aspergersi a vicenda di incenso. Nel suo studio fiorentino passarono tutti i personaggi di spicco del tempo.

“Firenze, in nome di un Rinascimento molte volte incompreso da un punto di vista critico, ma soltanto venerato, per una prerogativa cittadina ha insultato l’Ottocento” aggiunge Carlo Sisi.

Simbolo di questo insulto lo sprezzo verso le tombe dello spazio prospiciente la Cappella dei Pazzi a Santa Croce. Quella di Virginia de Blasis, soprano marsigliese specializzata nel canto lirico, interprete lodata di Donizetti, morta a Firenze poco più che trentenne, è opera di un allievo di Bartolini, Luigi Pampaloni, che nel 1839 la volle eternare inginocchiata, lo sguardo rivolto al cielo, con ai piedi lo spartito con l’aria della Beatrice di Tenda di Bellini che la cantante interpretò al Teatro della Pergola, poco prima di morire: “Se un'urna è a me concessa, senza un fior non la lasciate”.

“Aria perfettamente adatta a un sepolcro - commenta Sisi -ma gli intellettuali e i curatori dei beni culturali degli anni Sessanta e Settanta del Novecento non lessero mai quell’iscrizione e con una spietatezza inaudita rasero tutto al suolo. Ricordiamocelo questo. Guardiamo le facciate di Santa Croce, di Santa Maria del Fiore, guardiamo l’Ottocento della Gipsoteca per capire come quel secolo fu per Firenze un secolo importante legato a una rifondazione “.

Insomma viviamo anche noi su raccomandazione di Sisi l’avventura dell’atelier: ”La possibilità di stabilire rapporti sentimentali con figure enigmatiche, ma che i sentimenti rivelano nella loro pienezza, credo sia un viaggio educativo oggi che siamo abituati a preconfezioni sentimentali. Come diceva il mio maestro Carlo Del Bravo, colui che ha rifondato l’avventura dell’Ottocento: leggiamo la forma per capire il sentimento perché il sentimento si esaurisce in fretta”.