Ho sempre pensato che i libri abbiano un grande potere, e continuo a sostenerlo. Si dice che chi legge vive cento vite. Umberto Eco diceva che chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni.

I libri raccontano, e una domanda sorge spontanea: il racconto può avere controindicazioni? Può influenzare il nostro pensiero? Certo, le storie creano qualcosa dentro di noi, ci colpiscono, rafforzano le nostre convinzioni, ci preparano alla vita, ci formano. Eppure, spostando l’attenzione dai libri alla narrazione, lo sguardo si allarga a nuove considerazioni.

Forse, bisogna maneggiare con cura le storie, le quali possono salvare, ma possono anche distruggere, possono addirittura manipolare la nostra mente.

Avere uno sguardo profondo sul mondo, su come vanno le cose, su come dovrebbero andare e poi leggere, studiare, ma più di ogni altra cosa cercare di capire. Questo è forse il metodo per vivere felici, pur non avendo la verità in tasca. Il nostro destino di eterni nomadi ci viene a cercare e così siamo sempre alla ricerca di qualcosa, pieni di dubbi, in balia di una narrazione (web, radio, Tv, giornali, libri) che può confondere la nostra mente.

Il viaggio di un essere umano è straordinario, ma può esserlo solo se accettiamo le sfumature dei nostri pensieri e della nostra essenza, rinunciando ai pregiudizi. Straordinaria è la vita, se comprendiamo che la natura umana è concepita proprio per esprimere la sua “diversità”. Nessun essere è uguale ad un altro, chiediamoci perché.

Oggi abbiamo il web, dal quale possiamo attingere tutto, forse troppo, di certo molto più di ciò che ci serve davvero.

Le risposte

Trent'anni fa, a scuola non si parlava di orientamento agli studi e le scelte erano affidate un po’ al caso. Non era accessibile a tutti quel mondo globale, piccolo e grande allo stesso tempo, che oggi abbiamo fra le mani.

Se prendevi un brutto voto, se un professore ti metteva una nota o se le prendevi da qualche compagno, magari tua madre, senza se e senza ma, ti diceva “Bene, così impari”.

Oggi, esiste il dialogo, a volte non proprio profondo (non c’è mai tempo), magari più formale, come se fosse quasi una moda. Ma c’è, e i genitori o gli educatori sanno che devono dare risposte. Così il razzismo, il mondo dei gay e tanti altri temi sono stati sdoganati e oggi, a differenza di ieri, se ne parla. Ma camminiamo ancora su un campo minato, siamo equilibristi su un filo talmente fragile che bisogna fare molta attenzione. Parlare, raccontare o dare risposte, non sono la stessa cosa.

I più attempati sostengono che prima “certe cose” non esistevano, ma non è così ovviamente. La verità è che si evitava di parlare di alcuni argomenti, per ignoranza o per una conoscenza non adeguata, tanto che molti dei problemi che oggi affrontiamo, semplicemente non esistevano (perché ignorati) di default, per assenza di risposte. Perché un ragazzo affamato di risposte dall’altra parte trovava semplicemente il nulla.

Le differenze nella nostra testa

“La prima donna premier”, “un uomo alla guida di”, “un gay”, “un ebreo”, “un musulmano”, “un uomo di colore”, “un africano”. Più ci ostiniamo in un linguaggio che divide, che crea categorie, che generalizza più ci allontaniamo dall’essenza di ciò che siamo.

Una lettura interessante - ma anche molto impegnativa dal mio punto di vista - è Il lato oscuro delle storie, un libro nel quale Jonathan Gottschall attinge alla psicologia, alla scienza della comunicazione, alle neuroscienze e alla letteratura per raccontare fino a che punto le storie siano in grado di influenzare il nostro cervello e la nostra vita.
Nell’introduzione, l’autore fa un’osservazione sulla quale riflettere e che in qualche modo si scontra con ciò che ho sostenuto poche righe fa riguardo alla diversità, al fatto che nell’interpretare il mondo e la verità bisogna credere proprio in questa diversità, come elemento che caratterizza il genere umano.

Normalmente quando osserviamo una folla di persone, zoomiamo su una sequenza di individui. Ma quella sera sono riuscito a notare la folla, non i singoli individui: la foresta, non gli alberi. Fa sentire bene noi esseri umani presupporre che il nostro comportamento sia vario, differenziato, imprevedibile. Invece non lo è affatto. È uniforme, stereotipato e prevedibile. E infatti tutte le persone nel bar stavano facendo la stessa cosa. Agitavano le mani, muovevano le labbra, chiudevano e aprivano la bocca. Tutta l’instancabile comunicazione che effettuiamo nel corso della nostra vita ha uno scopo: influenzare le menti di altre persone, spingere in una certa direzione il modo in cui pensano, percepiscono e in ultimo si comportano.

Ogni volta che comunichiamo, usiamo parole vuote e inconsistenti per suggestionarci a vicenda, per alterare l’opinione altrui, anche se di poco, riorganizzando così il mondo a nostro favore.

Raccontare storie è una forma di comunicazione. Si tratta di una cosa meravigliosa, ogni volta che la straordinaria capacità delle storie di fare del bene viene incanalata per promuovere l’empatia, la comprensione, l’altruismo e la pace. Ma la magia condizionante della narrazione è altrettanto efficace nel seminare divisione, sfiducia e odio.

Brano tratto da Il lato oscuro delle storie

Questa è una parte di ciò che Gottschall afferma nell’introduzione del suo libro. Dopo essersi seduto al bar e aver ordinato da bere, aveva aspettato che l’alcol facesse effetto. Poi aveva iniziato ad osservare le persone e le immagini che passavano in tv. Forse, bisogna essere poco lucidi per pensare di scrivere un libro così complesso, capace di attraversare secoli, di analizzare il comportamento di chi entra in una sinagoga e inizia a sparare, dicendo che tutti gli ebrei devono morire.

Sarebbe interessante capire dal punto di vista di Gottschall perché i Talebani vietano alle donne di lavorare, di andare a scuola, di entrare nei parchi giochi. Riusciremo forse a comprendere la narrazione che c’è dietro alle guerre, alla fame nel mondo, al colonialismo, al terrorismo, al consumismo. Tutto sommato, però, penso che, alla fine Gottschall non ci dice nulla che non sapevamo già.

E pensare che…anche tutto questo, tutta questa cappa di morte e di dolore è dovuta a una storia.

Se può esserci utile guardare il mondo dopo aver bevuto un bourbon, facciamolo! Se un libro, una persona, una storia può farci cambiare idea, può farci immaginare che le cose possano non essere come sembrano, ben venga! Se un cane, un canguro possono convincerci a calarci in una storia per capirla fino in fondo, allora va bene così! Oltre l'orizzonte c'è sempre qualcosa di inaspettato, bisogna avere soltanto un buon vento che soffia sulle nostre vele e nella direzione giusta...e allora va bene, va tutto bene. Avanti tutta!