Oggi è martedì 20 febbraio e siamo nella stazione di Luxor. Alle 8,20 Aldo ed io saliamo sul treno diretto al capolinea di Aswan, sul lago Nasser. Città sorta nell’estremo sud del paese, in un territorio molto arido e ricco di storia. Il viaggio dura 5 ore e siamo indecisi tra seconda e terza classe. La seconda ha i sedili reclinabili ma scegliamo la terza classe dai sedili rigidi e senza aria condizionata, tanto contiamo di passare gran parte del viaggio nel vagone ristorante, tra un tè e l’altro. Dai finestrini ci colpisce nel deserto la visione di molte carcasse di animale, un camion a rimorchio carico di dromedari ed i villaggi tra la sabbia, molto belli, specie quelli in prossimità di Aswan.

Usciti dalla stazione, troviamo svariati hotel discreti, come il Rosewan, l’Amer e l’Happi, ma scegliamo il dormitorio del Youth Hostel, la soluzione più conveniente. Ci piace perché, a differenza degli altri ostelli, non pone limiti di tempo per cui possiamo rientrare anche a notte fonda. Solo più tardi vediamo il Continental Hotel, in downtown sul lungo Nilo, ritrovo di occidentali perfetto per scambiare informazioni con altri viaggiatori, ma ormai riteniamo inutile cambiare. Qui incontriamo Stephen, un giovane americano che si dichiara subito innamorato dell’Italia. E’ appena tornato dalla visita ad Abu Simbel in aereo da Aswan per poca spesa. Spiega che è difficile avere il ritorno in giornata ed occorre comunque passare almeno una notte in albergo. Sospetta che ciò sia dovuto ad un tacito accordo tra la compagnia aerea e gli hotel del posto. Si può raggiungere Abu Simbel anche col battello dell’agenzia Sivp e costa ancora meno. Gabriele e Giorgia, entrambi di Como, vanno a Luxor in piroga con egiziani, risalgono il fiume per tre giorni fermandosi la notte. Spesa irrisoria. Con loro anche una coppia di insegnanti inglesi che abitano in una zona residenziale vicino all’aeroporto del Cairo che a loro piace molto. Sentenziano subito: “Italy, lazy Country”. Ci identificano come un popolo di pigroni, ovvero sfaccendati, ma di certo non è il nostro caso che ormai camminiamo per ore ed ore, maciniamo chilometri dall’alba al tramonto senza più sentire la fatica.

Unico modo per raggiungere il Sudan è col battello, ci spiega un temerario italiano che viaggia in camper: “La strada che attraversa il confine lungo la costa del mar Rosso, segnata sulle mappe come asfaltata, in verità è impraticabile”. E aggiunge: “Oltre ad essere stata bombardata durante la guerra è pure zona militare ed occorre un permesso speciale per percorrerla, oltre ad un buon fuoristrada”. E conclude: “Pagando si ottiene tutto!”.

Aswan è più piccola di Luxor e meno inquinata. Anche il mercato nero è migliore nel cambio dei dollari. I negozi inoltre non hanno orario, aperti dall’alba a notte fonda. La parte più pittoresca è il suo ampio bazaar di variopinte e traboccanti bancarelle che offrono di tutto, da indumenti, borse, artigianato in legno, bigiotteria e narghilè a spezie, frutti secchi e tranci di carne appesi a ganci. A differenza del Cairo e di Luxor, ad Aswan i venditori non molestano per vendere. Almeno, non ancora. Facciamo scorta di saponette egiziane M12, dal buon profumo e perché durano di più dei costosi saponi europei. Oltre alla spremuta di canna da zucchero, molto usato e buono anche il loro karkadè, la bevanda rossa rinfrescante e dissetante ricavata dai petali secchi dei fiori di ibisco.

Cominciamo a conversare amabilmente con due giovani studentesse egiziane, tanto da combinare un appuntamento per il giorno seguente alle 16. Dicono che prima della costruzione della diga, era bello e suggestivo vedere i templi di Philae in parte sommersi dalle acque del Nilo. Due anni fa, nel 1977, sono stati smontati e trasferiti nella vicina isola di Agilkia. Come al Cairo e dovunque in Egitto, un anziano poliziotto in uniforme, probabilmente un vigile urbano, subito si avvicina in modo imbarazzante per ascoltare il contenuto della nostra conversazione. Appena gli uomini vedono degli stranieri parlare con donne egiziane, la diffidenza li fa ergere a tutori della morale di tutto il genere femminile nazionale. Interessante anche osservare come gli egiziani guardano le donne: fanno sempre finta di nulla, con lo sguardo perso nel vuoto, poi appena arriva il momento lanciano intense frecciate ai posteriori delle donne con occhiate cariche di libidine mista a frustrazione. Tuttavia, secondo il nostro amico Stephen, gran parte degli uomini che abitano i paesi del nord Africa sono dichiaratamente bisessuali: “Anche qui ad Aswan, quando vedono passare dei giovani viaggiatori occidentali coi capelli lunghi si eccitano, fanno il fischio e tirano baci come fossero ragazze”. E conclude dicendo: “Se poi si tratta di viaggiatori biondi e occhi azzurri, imberbi e magari con l’orecchino ai lobi diventano pazzi, arrivano a palpargli il sedere per strada”. L’orecchino al lobo di un occidentale li disorienta, sia gli uomini che le donne non ne capiscono il senso, il mito della virilità si frantuma. Lo associano ai pirati o agli zingari, gente rude, mai a dei bianchi “ricchi” e, ai loro occhi, effeminati. In effetti, anche a noi gli arabi appaiono ambigui ma è solo questione di cultura. Vedere due militari col mitra a tracolla che passeggiano mano nella mano e si lisciano le dita in segno di amicizia fa sempre un certo effetto. Ancor più quando si voltano per guardare una donna.

Oggi, mercoledì 21 febbraio, nella caffetteria accanto al nostro ostello, conosciamo Pavel, un giovane russo con passaporto russo che si comporta come un freak americano, cosa rara di questi tempi. A noi sembra più uno dei servizi segreti sovietici camuffato da occidentale: la diga di Aswan, voluta da Nasser e in parte finanziata dall’Unione Sovietica, è un punto strategico di grande rilievo. Pavel ci informa che i barconi per Wadi Alfa nel Sudan partono ogni ora, dalle 7 alle 13, dal molo di Sad el Aalie distante 20 minuti di treno a sud di Aswan: “All’arrivo, dalla stazione al posto di frontiera sono circa 500 metri che vi consiglio di percorrere a piedi poiché i taxi sono cari”. Consideriamo di partire all’indomani e ci attiviamo subito per fare una piccola scorta di provviste per il viaggio in barca e per il treno da Wadi Alfa a Karthum: 2 scatole di biscotti, 3 di tonno, 1 sardine, 1 Shimmental, 4 formaggini, 3 litri di latte, 2 bottiglie di acqua Evian e anche 2 mazzi di carte da gioco.

Di fronte ad Aswan, al centro del Nilo, si trova l’isola di Elephantine, antica capitale dell’Alto Egitto. Leggiamo che nel 230 a.C. da quest’isola ricca di storia, il matematico greco Eratosene, calcolò per la prima volta la circonferenza della Terra. C’è un battello gratuito che conduce al lussuoso Oberoi Hotel sull’isola, ma è pieno di guardie e recintato da un muro altissimo che non consente di visitare altro. Non ne vale la pena, se non per andare nei suoi bagni a far scorta di cara igienica in previsione del viaggio in battello e in treno nel Sudan. Al porto di Aswan contrattiamo con un barcaiolo la circumnavigazione dell’isola di Elephantine: da 2.50 Pound infine cala ad 1.50, comunque caro ma per meno non molla. Riusciamo a strappare anche la sosta sull’isola, inizialmente non compresa nel prezzo. Saper contrattare per gli arabi è un arte, un braccio di ferro mentale col quale usano confrontarsi e misurare il rispetto per le persone. A parte ciò, navigare nelle acque del Nilo a bordo di una sinuosa feluca a vela latina, dall’albero tipicamente inclinato verso la prua, è un’emozione impagabile. L’isola ha una forma allungata, con la parte meridionale che termina a ridosso della prima cateratta della diga. Sulla sponda occidentale del Nilo ed in cima ad una collinetta di sabbia svetta il mausoleo dell’Aga Khan III, Imam dei musulmani Ismailiti, fondatore della Lega musulmana indiana e personaggio straordinario della prima metà del ‘900. Ci fermiamo al Botanic Garden dell’isola e, a seguire, visitiamo i ruderi dell’assolato tempio dedicato al dio Khnum, raffigurato con la testa di capro, un ammasso di anonimi sassi e pietre accatastati, stimolanti solo per gli studiosi. Molti i turisti nordici, accompagnati da guide tipiche dei viaggi organizzati, che sono sudatissimi e visibilmente sofferenti da sembrare tanti “zombi” per cui è facile immaginare che molti di loro non vedono l’ora di tornare nel fresco della hall del proprio hotel.

Esperienza velica emozionante che non ci impedisce di notare l’abbondanza di escrementi umani che galleggiano nel Nilo ad Aswan. Il pesce è ottimo ma la sporcizia e l’olio nel quale friggono tutto parrebbero motivi più che sufficienti a togliere l’appetito. Ciò detto, di certo siamo ormai assuefatti al peggio perché mangiamo di gusto nei posti più lerci e fatiscenti di Aswan e non ci facciamo più caso: un atteggiamento di accettazione obbligato quando si viaggia “on the road”.

Alla sera, per curiosare entriamo in un cinema del centro. Proiettano un film egiziano, per noi patetico e ridicolo, ma curiosamente nella colonna sonora di sottofondo hanno messo Soleado, la canzone dei Daniel Sentacruz Ensemble e, in un luogo tanto lontano da casa, ascoltare la voce di mia sorella che canta è una bella emozione.

Oggi, giovedì 22 febbraio, alle 11,20 saliamo sul treno per Sad el Aalie. E’ l’unico treno che conduce fin dentro la stazione, distante solo 100 metri dalla dogana ed altri 30 dall’imbarco al battello. Gli altri treni non si fermano 500 metri prima, come detto da Pavel, ma bensì ad un paio di chilometri dalla dogana. Giunti al molo, affacciato sul lago Nasser, ci dicono che il battello ha dei problemi e la partenza è rinviata di un giorno. Da qui partono anche gli idroscafi per Abu Simbel, in tour di sette ore, non dispendiosi. Ci perdiamo a visitare la diga che è attraversata da due percorsi: la parte superiore è a pagamento mentre la parte sotto è gratuita e la scenografia più bella. Sulla via del rientro, verso il porto, incrociamo due ragazze che ci fissano intensamente e una volta giunte a “quattr’occhi” aprono la bocca agitando la lingua in modo frenetico, sempre continuando a camminare. Cosa vorrà dire?

Alle 14.30 siamo di nuovo in stazione per tornare in città, un ferroviere molto gentile sente che vogliamo andare ad Aswan e si offre di darci un passaggio sulla “sua” locomotiva senza vagoni. Altre persone vedono il gesto e salgono pure loro nella sala macchina, imponendosi con una velata arroganza. Il pilota li asseconda senza fiatare fermandosi a richiesta in luoghi anonimi, anche in mezzo al deserto.

Giunti in ostello incontriamo Fabio e Andrea, i due bolognesi conosciuti al Cairo. Sono di ritorno da Suakin, cittadina sul Mar Rosso vicino a Port Sudan, una zona abitata da coltivatori di marijuana, dettaglio che rende la loro eccitazione e i loro racconti più esaltanti. Contenti di essere di nuovo in Egitto: “Qui almeno c’è da mangiare e costa poco”. A Suakin alloggiavano in una rest-house molto spartana costruita dentro ad un castello sul mare, senza elettricità e priva dei più elementari comfort. Lamentano che il Sudan è più povero ma anche più caro dell’Egitto. Tuttavia, confermano che il mare in Sudan è stupendo e la gente molto brava ed ospitale. Raccontano che sul treno si sono addormentati al suolo ed un poliziotto li ha svegliati mostrando loro un revolver e dicendo: “Dormite pure tranquilli, ci sono qua io”. Di certo loro dormivano più tranquilli prima di essere svegliati da lui con un revolver in mano, ma queste sono le “storie” che si vivono viaggiando.

Fabio e Andrea sono in compagnia di un canadese e assieme raccontano di avere raggiunto Suakin in lorry (camion), viaggio durissimo ma entusiasmante. Ci sfornano una grande quantità di informazioni utili che mi affretto a scrivere nel caso i nostri itinerari diventassero simili o quasi: dal confine sudanese di Wadi Alfa hanno raggiunto Dongali in lorry e da qui, risalendo il Nilo in un lungo giro, sono arrivati in battello a Khartoum. Dalla capitale a Kassala la pista è diretta in mezzo al deserto e in lorry hanno impiegato nove ore, dalle 7 alle 16. Poi però hanno dovuto fermarsi una notte: “Il sacco a pelo è indispensabile!”. Per proseguire verso Suakin e Port Sudan i mezzi sono frequenti per cui è facile continuare il viaggio. Per andare invece a Juba, nella parte cristiana del Sudan, da Kosti, all’andata si risale il fiume e occorrono 15 giorni, al ritorno solo 5.

Valutando i loro racconti, con lorry e barca sarebbe un viaggio certamente più avventuroso ma il nostro è un lungo viaggio in Africa e optiamo per raggiungere Khartoum direttamente in treno, molto meno faticoso e anche più rapido ed economico.